(Spellbound)
Visto in DVD.
Una psichiatra scopre che il nuovo direttore dell'istituti dove lavora (e di cui si innamora immediatamente) non è chi dice di essere. Verrà ricercato dalla polizia per omicidio, ma lei, sicura della sua buona fede e certa che vi sia un trauma alla base della sua amnesia circa la propria indentità, lo aiuta a fuggire.
Un film dalla storia particolarmente inverosimile, progettato a tavolino per essere il primo a tema psicoanalitico. Di fatto si riduce tutto a una caccia all'uomo con l'uomo già presente (questa sì è un'idea buona) con molto chiacchiericcio (questa invece è la pecca fondamentale).
Al netto delle critiche che gli si possono muovere (molte dovute a Truffaut); questo è un film realizzato da dio.
Al di là degli hitchcockismi classici che rappresentano il minimo sindacale. Regia molto mobile e diverse soggettive (di cui quella della pistola nel finale è piuttosto brutta) sono solo la punta dell'iceberg; questo è, soprattutto, un film fatto di montaggio interno. Sembra che Hitchcock non sia riuscito a inquadrare Peck senza farlo muovere all'interno della scena; si va dall'incontro dei due protagonisti, con Peck in avvicinamento fino allo scambio di sguardi, al loro re-incontro in albergo; ma su tutte le scene è da enciclopedia la sequenza dell'incontro notturno con il vecchio professore in cui la macchina da presa si muove in maniera minima, ma, carica di un panfocus, passa dal campo medio al dettaglio del rasoio senza nessuno stacco... e lo vorrei sottolineare, se a volte queste chicche sono gesti di stile, in quella specifica sequenza tutto è funzionale.
Noto per la sequenza onirica realizzata da Dalì (che Hitchcock avrebbe voluto più lunga) devo ammettere che ha una fama immeritata; sicuramente interessante, ma senza idee fondamentali. Il film si pregia inoltre di una delle più brutte scene di sci della storia del cinema e di un'incursione brevissima di colore (rosso) nello sparo finale, efficace per rendere anche a livello visivo l'impressione dello sparo.
Buona come sempre la Bergman che fa il suo, terribile Peck per lo più inespressivo (e da giovane era sempre inquietante, anche quando faceva la vittima).
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mercoledì 11 ottobre 2017
mercoledì 28 settembre 2016
Un angelo è caduto - Otto Preminger (1945)
(Fallen angel)
Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
Un uomo senza soldi, ma belle speranza (e pochi scrupoli), finisce in una sperduta cittadina della California. Si unisce brevemente con un medium da baraccone per guadagnare qualche soldo, nel frattempo si innamora di una barista che però non vuol saperne finché lui non sarà ricco. Per avere molti soldi facili lui si sposa con una (non vecchia) zitella del posto. Ma la barista non vorrà saperne, di nuovo. Verrà trovata morta.
Era una vita che non guardavo un film di Preminger e sono rimasto stupito da quanto bravo sia. Non lo ricordavo così tecnicamente raffinato e moderno.
Ma andiamo con ordine.
Poco dopo "Vertigine", Preminger, torna a lavorare con Andrews in un noir. Dato l'incredibile successo (e qualità del precedente) è ovvio che si voglia bissare. Tuttavia ci si dimentica troppo spesso che per avere un buon film ci vuole anche una buona sceneggiatura.
La trama parte benissimo; mette rapidamente insieme una manciata di archetipi perfetti per il noir, li pone in una situazione senza vie di fuga, toglie quel minimo di bontà che i protagonisti del noir spesso anno... però nella seconda metà decide di cambiare registro e dal noir si passa a un giallo classico a cui viene attaccato un finale immotivatamente consolatorio.
Altro neo importante legato alla trama... il film è noioso. Solo questo.
Il cast, sulla carta buono annovera il già citato Andrews che, dato il successo del precedente, decide qui di rimanere impassibile per tutto il film. Migliori le due protagoniste femminili, anche se l'unica completamente in parte (e completamente accettabile) è Linda Darnell.
Se il film è noioso indubbiamente parte della colpa va data anche al regista, che però per tutto il resto da il meglio di sé. Al solito Preminger si muove benissimo con una macchina da presa che non rimane mai ferma; non sono i suoi piani sequenza la cosa migliore, ma il fatto che ci siano continui, lievi, carrelli che rendono dinamico il film senza appesantirli (tra le cose migliori il dialogo "nascosto" fra Andrews e la Darnell, o Andrews che guarda nella stanza della donna se c'è qualcuno o, ancora, la sorella che spia nell'ombra i due amanti).
In definitiva un brutto noir con una regia strepitosa.
Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
Un uomo senza soldi, ma belle speranza (e pochi scrupoli), finisce in una sperduta cittadina della California. Si unisce brevemente con un medium da baraccone per guadagnare qualche soldo, nel frattempo si innamora di una barista che però non vuol saperne finché lui non sarà ricco. Per avere molti soldi facili lui si sposa con una (non vecchia) zitella del posto. Ma la barista non vorrà saperne, di nuovo. Verrà trovata morta.
Era una vita che non guardavo un film di Preminger e sono rimasto stupito da quanto bravo sia. Non lo ricordavo così tecnicamente raffinato e moderno.
Ma andiamo con ordine.
Poco dopo "Vertigine", Preminger, torna a lavorare con Andrews in un noir. Dato l'incredibile successo (e qualità del precedente) è ovvio che si voglia bissare. Tuttavia ci si dimentica troppo spesso che per avere un buon film ci vuole anche una buona sceneggiatura.
La trama parte benissimo; mette rapidamente insieme una manciata di archetipi perfetti per il noir, li pone in una situazione senza vie di fuga, toglie quel minimo di bontà che i protagonisti del noir spesso anno... però nella seconda metà decide di cambiare registro e dal noir si passa a un giallo classico a cui viene attaccato un finale immotivatamente consolatorio.
Altro neo importante legato alla trama... il film è noioso. Solo questo.
Il cast, sulla carta buono annovera il già citato Andrews che, dato il successo del precedente, decide qui di rimanere impassibile per tutto il film. Migliori le due protagoniste femminili, anche se l'unica completamente in parte (e completamente accettabile) è Linda Darnell.
Se il film è noioso indubbiamente parte della colpa va data anche al regista, che però per tutto il resto da il meglio di sé. Al solito Preminger si muove benissimo con una macchina da presa che non rimane mai ferma; non sono i suoi piani sequenza la cosa migliore, ma il fatto che ci siano continui, lievi, carrelli che rendono dinamico il film senza appesantirli (tra le cose migliori il dialogo "nascosto" fra Andrews e la Darnell, o Andrews che guarda nella stanza della donna se c'è qualcuno o, ancora, la sorella che spia nell'ombra i due amanti).
In definitiva un brutto noir con una regia strepitosa.
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lunedì 20 giugno 2016
Dieci piccoli indiani - René Clair (1945)
(And then there were none)
Visto in Dvx.
La storia di "Dieci piccoli indiani" della Christie credo sia nota, qui per un ripasso, ma meno se ne sa e meglio è.
Questa versione del romanzo della Christie si basa però sull'adattamento teatrale (fatta dall'autrice stessa) che è decisamente meno inquietante e più consolatorio.
Inoltre dietro la macchina da presa c'è René Clair che non riesce a non aggiungere molti tocchi leggeri. L'effetto finale quindi, pur riuscendo benissimo, sarà meno perturbante del libro originale.
Detto ciò il film è bellissimo. Una gallerie di facce prima ancora che di personaggi (per me spiccano la sempre gelida Anderson, il sempre buffo Auer e il sempre british Fitzgerald).
Clair poi è garanzia di intelligenza; crea costantemente inquadrature gustose (si pensi al ritrovamento del cadavere del maggiordomo o il gomitolo di lana che conduce a un altro cadavere) e gestisce il numero spropositato di personaggi (almeno all'inizio) con la dovuta ironia e grazia (bella l'idea dell'incipit di presentare i rapporti fra i personaggi sfruttando il vento; i personaggi poi si presenteranno letteralmente guardando direttamente in camera per maggior chiarezza). Tutto questo viene fatto senza dimenticare di essere in un giallo e se l'inquietudine si ottiene solo nel finale, è innegabile che la costruzione di un ambiente paranoico dove tutti sospettano di tutti è perfettamente riuscita quasi fin da subito. Viene anche mantenuto l'aroma di perversione di un deus ex machina che vuole portare la giustizia a ogni costo.
Il finale alternativo, come dicevo, è meno soddisfacente di quello originale, ma, per chi come me già conosceva il libro, ha l'indubbio vantaggio di lasciare il dubbio su come verrà conlcusa la complicata vicenda.
Il film ricevette il plauso della Chritstie stessa.
Visto in Dvx.
La storia di "Dieci piccoli indiani" della Christie credo sia nota, qui per un ripasso, ma meno se ne sa e meglio è.
Questa versione del romanzo della Christie si basa però sull'adattamento teatrale (fatta dall'autrice stessa) che è decisamente meno inquietante e più consolatorio.
Inoltre dietro la macchina da presa c'è René Clair che non riesce a non aggiungere molti tocchi leggeri. L'effetto finale quindi, pur riuscendo benissimo, sarà meno perturbante del libro originale.
Detto ciò il film è bellissimo. Una gallerie di facce prima ancora che di personaggi (per me spiccano la sempre gelida Anderson, il sempre buffo Auer e il sempre british Fitzgerald).
Clair poi è garanzia di intelligenza; crea costantemente inquadrature gustose (si pensi al ritrovamento del cadavere del maggiordomo o il gomitolo di lana che conduce a un altro cadavere) e gestisce il numero spropositato di personaggi (almeno all'inizio) con la dovuta ironia e grazia (bella l'idea dell'incipit di presentare i rapporti fra i personaggi sfruttando il vento; i personaggi poi si presenteranno letteralmente guardando direttamente in camera per maggior chiarezza). Tutto questo viene fatto senza dimenticare di essere in un giallo e se l'inquietudine si ottiene solo nel finale, è innegabile che la costruzione di un ambiente paranoico dove tutti sospettano di tutti è perfettamente riuscita quasi fin da subito. Viene anche mantenuto l'aroma di perversione di un deus ex machina che vuole portare la giustizia a ogni costo.
Il finale alternativo, come dicevo, è meno soddisfacente di quello originale, ma, per chi come me già conosceva il libro, ha l'indubbio vantaggio di lasciare il dubbio su come verrà conlcusa la complicata vicenda.
Il film ricevette il plauso della Chritstie stessa.
lunedì 17 agosto 2015
Breve incontro - David Lean (1945)
(Brief encounter)
Visto in Dvx.
Una donna sposata incontra un uomo sposato durante la sua visita settimanale in città. Tra loro comincia a nascere empatia, poi affetto e poi... chissà. Ma siamo negli anni '40, si fermeranno prima di cadere nel pantano del tradimento coniugale.
Film di romanticismo e agnizione strafamoso, complessivamente mi è sembrato molto bello, ma pure un poco sopravvalutato.
I difetti più evidenti sono un sentimentalismo semplicistico, un buonismo ingenuo molto retrò (ok, è un film degli anni '40, e infatti questa è un'attenuante); la voice off della protagonista che, soprattutto nell'inizio, è di una pedanteria minuziosa non facilmente sopportabile.
Inoltre, a parte i due protagonisti, quasi tutti i comprimari sono terribili.
Però David Lean non è mai stato l'ultimo dei cretini e si vede. Ci sono un paio di soluzioni interessanti: la sovrapposizione fra il sottopassaggio (nel ricordo) e il soggiorno di casa, così come una costruzione su più piani (di solito nella casa della protagonista) e delle bellissime luci (ma negli anni ’40 c’era un’attenzione enorme per le luci) si pensi, come esempio, alle immagini finali di lei sulla banchina mentre passa il treno.
A questo si deve aggiungere una storia ingenua, ma con una descrizione molto bella della nascita del sentimento, delicata e credibile; dei dialoghi vitali e verosimili; un'attenzione al contorno che da spessore al mondo in cui è ambientata la vicenda (si pensi alla barista della stazione che da sfondo diventa spesso protagonista di piccole scenette); infine c'è un uso della musica di Rachmaninov che... beh l'uso non è niente di che, ma apprezzo la scelta.
Visto in Dvx.
Una donna sposata incontra un uomo sposato durante la sua visita settimanale in città. Tra loro comincia a nascere empatia, poi affetto e poi... chissà. Ma siamo negli anni '40, si fermeranno prima di cadere nel pantano del tradimento coniugale.
Film di romanticismo e agnizione strafamoso, complessivamente mi è sembrato molto bello, ma pure un poco sopravvalutato.
I difetti più evidenti sono un sentimentalismo semplicistico, un buonismo ingenuo molto retrò (ok, è un film degli anni '40, e infatti questa è un'attenuante); la voice off della protagonista che, soprattutto nell'inizio, è di una pedanteria minuziosa non facilmente sopportabile.
Inoltre, a parte i due protagonisti, quasi tutti i comprimari sono terribili.
Però David Lean non è mai stato l'ultimo dei cretini e si vede. Ci sono un paio di soluzioni interessanti: la sovrapposizione fra il sottopassaggio (nel ricordo) e il soggiorno di casa, così come una costruzione su più piani (di solito nella casa della protagonista) e delle bellissime luci (ma negli anni ’40 c’era un’attenzione enorme per le luci) si pensi, come esempio, alle immagini finali di lei sulla banchina mentre passa il treno.
A questo si deve aggiungere una storia ingenua, ma con una descrizione molto bella della nascita del sentimento, delicata e credibile; dei dialoghi vitali e verosimili; un'attenzione al contorno che da spessore al mondo in cui è ambientata la vicenda (si pensi alla barista della stazione che da sfondo diventa spesso protagonista di piccole scenette); infine c'è un uso della musica di Rachmaninov che... beh l'uso non è niente di che, ma apprezzo la scelta.
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lunedì 16 marzo 2015
Spirito allegro - David Lean (1945)
(Blithe spirit)
Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
Una coppia, lui giovane vedovo, lui bella (e forse un poco gelosa della prima moglie) decidono di organizzare una seduta spiritica con degli amici; il padrone di casa fa lo scrittore e gli serve materiale sull'argomento. Per la seduta viene invitata una buffa medium locale. Qualche piccolo fenomeno si verifica, ma tutti finiscono per non aver visto o percepito molto; ma quando tutti se ne sono andati il padrone di casa vede il fantasma della ex moglie. Dovrà convincere l'attuale moglie della cosa e insieme cercheranno di disfarsene, ma sarà il fantasma ad avere (accidentalmente) la meglio.
Commedia surreale tratta da un'opera teatrale (che portò grande fortuna alla Lansbury a Londra) di poco precedente. La trama è condotta perfettamente e fa strano vedere Lean confrontarsi con un tema così leggero lo stesso anno di "Breve incontro".
Il film è in technicolor per permettere ai fantasmi di essere immediatamente riconoscibile con un monocromo grigio-azzurro (i vestiti e la pelle), idea semplice, ma efficace che sarà ripresa anche in Italia.
I l tono della commedia leggera è ben tenuto per tutto il tempo con alcuni momenti meglio riusciti. Ottimi gli effetti speciali (utilizzati poco, ma decisamente all'avanguardia, vinsero infatti un Oscar).
Su tutti i pregi del film però regna la performance della Rutherford; magnifica medium impettita e piena di se, dalle tecniche buffe e dalla spensierata gaiezza infantile.
Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
Una coppia, lui giovane vedovo, lui bella (e forse un poco gelosa della prima moglie) decidono di organizzare una seduta spiritica con degli amici; il padrone di casa fa lo scrittore e gli serve materiale sull'argomento. Per la seduta viene invitata una buffa medium locale. Qualche piccolo fenomeno si verifica, ma tutti finiscono per non aver visto o percepito molto; ma quando tutti se ne sono andati il padrone di casa vede il fantasma della ex moglie. Dovrà convincere l'attuale moglie della cosa e insieme cercheranno di disfarsene, ma sarà il fantasma ad avere (accidentalmente) la meglio.
Commedia surreale tratta da un'opera teatrale (che portò grande fortuna alla Lansbury a Londra) di poco precedente. La trama è condotta perfettamente e fa strano vedere Lean confrontarsi con un tema così leggero lo stesso anno di "Breve incontro".
Il film è in technicolor per permettere ai fantasmi di essere immediatamente riconoscibile con un monocromo grigio-azzurro (i vestiti e la pelle), idea semplice, ma efficace che sarà ripresa anche in Italia.
I l tono della commedia leggera è ben tenuto per tutto il tempo con alcuni momenti meglio riusciti. Ottimi gli effetti speciali (utilizzati poco, ma decisamente all'avanguardia, vinsero infatti un Oscar).
Su tutti i pregi del film però regna la performance della Rutherford; magnifica medium impettita e piena di se, dalle tecniche buffe e dalla spensierata gaiezza infantile.
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mercoledì 18 aprile 2012
La casa di Dracula - Erle C. Kenton (1945)
(House of Dracula) aka La casa degli orrori.
Visto in DVD.
Il quinto film della Universal su Dracula (dopo “Dracula”, “La figlia” e “Il figlio” ci sarebbe stata “La casa di Frankestein” che sto cercando di recuperare); nonché il secondo film reunion dei mostri classici (dopo la già citata casa di Frankestein) e sempre il secondo film in cui il conte è interpretato dall’ossuto e anemico John Carradine. Scelta che sulla carta potrebbe funzionare (e dopo il tracagnotto e buffo Lon Cheney Jr è decisamente un passo avanti), ma che nella realtà non trasmette un solo grammo di fascino o di emozioni di qualunque tipo. D’altra parte Dracula (nonostante il titolo italiano) è solo un comprimario e direi anzi che è in secondo piano.
La storia è quella di uno scienziato che si trova a dover curare quasi in contemporanea Dracula e l’uomo lupo (i cui goffi panni sono di nuovo vestiti da Lon Cheney), inciampa sul corpo della creatura di Frankestein e per un morso di troppo diventa una specie di Dr Jekyll.
In definitiva un’accozzaglia inutile di situazioni sempre al limite del WTF? (limite spesso valicato), che non appassiona a nessun livello e non riesce portare a termine neppure una storia in maniera accettabile (Dracula semplicemente se ne va). Decisamente un riempitivo più che un film.
Ho visto di peggio: Van Helsing (almeno questo film dure poco).
Visto in DVD.

La storia è quella di uno scienziato che si trova a dover curare quasi in contemporanea Dracula e l’uomo lupo (i cui goffi panni sono di nuovo vestiti da Lon Cheney), inciampa sul corpo della creatura di Frankestein e per un morso di troppo diventa una specie di Dr Jekyll.
In definitiva un’accozzaglia inutile di situazioni sempre al limite del WTF? (limite spesso valicato), che non appassiona a nessun livello e non riesce portare a termine neppure una storia in maniera accettabile (Dracula semplicemente se ne va). Decisamente un riempitivo più che un film.
Ho visto di peggio: Van Helsing (almeno questo film dure poco).
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martedì 23 marzo 2010
La scala a chiocciola - Robert Siodmak (1945)
(The spiral staircase)
Visto in DVD.
La storia di un serial killer che ama fare fuori le ragazze con problemi fisici, così, per nazismo.
Ovviamente si accanirà su una ragazza muta amata dal medico del paese. E ovviamente il serial killer sarà svelato in un ovvio colpo di scena finale.
Il film è un'ottima rova di noir d'appartamento, quasi tutto girato al'interno della stessa casa, proprio come amerà fare più tardi pure Polanski.
Siodmak si concede visioni surreali ma efficaci, come il volto senza bocca, o l'occhio dell'assassino che riflette il volto della vittima.
Anhce se il finale è prevedile, il clima creato è splendido e le soggettive dell'assasino assolutamente meritevoli di applauso. Come in giallo tutti i personaggi verranno messi fuori uso ad uno ad uno fino allo scontro finale tra vittima e (tentato) carnefice.
La sequenza finale, realizzata su una specie di scala a chiocciola che da il titolo al film è un esempio di buona regia e ottimo montaggio.
Bravi gli interpreti tra cui la giovane McGuire.
...e poi mi fa sempre piacere vedere la Barrymore in un film, non so perchè, ma fa sempre la sua figura.
Visto in DVD.
La storia di un serial killer che ama fare fuori le ragazze con problemi fisici, così, per nazismo.
Ovviamente si accanirà su una ragazza muta amata dal medico del paese. E ovviamente il serial killer sarà svelato in un ovvio colpo di scena finale.
Il film è un'ottima rova di noir d'appartamento, quasi tutto girato al'interno della stessa casa, proprio come amerà fare più tardi pure Polanski.
Siodmak si concede visioni surreali ma efficaci, come il volto senza bocca, o l'occhio dell'assassino che riflette il volto della vittima.
Anhce se il finale è prevedile, il clima creato è splendido e le soggettive dell'assasino assolutamente meritevoli di applauso. Come in giallo tutti i personaggi verranno messi fuori uso ad uno ad uno fino allo scontro finale tra vittima e (tentato) carnefice.
La sequenza finale, realizzata su una specie di scala a chiocciola che da il titolo al film è un esempio di buona regia e ottimo montaggio.
Bravi gli interpreti tra cui la giovane McGuire.
...e poi mi fa sempre piacere vedere la Barrymore in un film, non so perchè, ma fa sempre la sua figura.
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martedì 9 marzo 2010
Detour - Edgar George Ulmer (1945)
(Id.)
Visto in DVD.
Un autostoppista viene raccolto da un uomo piuttosto magnanimo nel dispensare soldi e informazioni su di se, ma piuttosto cagionevole di salute. Morirà infatti durante il viaggio, ma per un colpo di sfiga l'autostoppista potrebbe essere considerato colpevole di quella morte. Costretto dalle circonstanze ne ruba l'identità e continua il viaggio. Stupidamente darà un passaggio ad una donna, che presto darà vita ad uno dei personaggi più irritanti della storia del cinema, e l'autostoppista si troverà in una situzione peggiore della precedente. Il destino però non ha ancora finito di prenderlo per il culo.
Film noir anni '40, parecchio cinico e senza speranza che si appoggia ad un'idea semplicemente splendida. Peccato però che la sceneggiatura latiti. Il soggetto è buono, ma troppo esile per tirarci fuori un intero film; e infatti la durata è di un'oretta o poco più, con la storia tutta raccontata dal protagonista, in flashback, con dovizia di verbosità messe tanto per tirare qualche minuto in più. Un peccato; in un telefilm non avrebbe sfigurato, magari in "Ai confini della realtà".
Visto in DVD.
Un autostoppista viene raccolto da un uomo piuttosto magnanimo nel dispensare soldi e informazioni su di se, ma piuttosto cagionevole di salute. Morirà infatti durante il viaggio, ma per un colpo di sfiga l'autostoppista potrebbe essere considerato colpevole di quella morte. Costretto dalle circonstanze ne ruba l'identità e continua il viaggio. Stupidamente darà un passaggio ad una donna, che presto darà vita ad uno dei personaggi più irritanti della storia del cinema, e l'autostoppista si troverà in una situzione peggiore della precedente. Il destino però non ha ancora finito di prenderlo per il culo.
Film noir anni '40, parecchio cinico e senza speranza che si appoggia ad un'idea semplicemente splendida. Peccato però che la sceneggiatura latiti. Il soggetto è buono, ma troppo esile per tirarci fuori un intero film; e infatti la durata è di un'oretta o poco più, con la storia tutta raccontata dal protagonista, in flashback, con dovizia di verbosità messe tanto per tirare qualche minuto in più. Un peccato; in un telefilm non avrebbe sfigurato, magari in "Ai confini della realtà".
domenica 3 gennaio 2010
La strada scarlatta - Fritz Lang (1945)
(Scarlet street)
Visto in DVD.
Film strepitoso, ingiustamente perduto nei recessi della memoria.
Un onesto cassiere di banca (l'ottimo Robinson) con velleità pittoriche si invaghisce della onnipresente femme fatale che lo sfrutterà su consiglio del fidanzato, costringendo il banchiere a compiere atti che mai avrebbe osato; e fin qui niente di nuovo... Ma quando Robinson si accorgerà di cosa realmente succede si scatenerà fino in fondo, distruggendo gli artefici della beffa arrivando anche a sacrificare se stesso, o meglio ciò a cui più tiene, la sua stessa pittura ed il successo tramite questa; giungendo quindi ad una sorta di autocannibalismo. Il finale originale, poi eliminato dallo stesso Lang, era un capolavoro di cinismo, con Robinson che si arrampica su un palo del telegrafo di fronte alla prigione per vedere le scintille della sedia elettrica. Invece nel film sarà preda degli inevitabili rimorsi, meno originale forse, ma molto più "greco".
I temi base sono comunque quelli tipicamente langiani, con il destino che gioca contro gli uomini, l'assassinio che si nasconde anche nella più inerme delle persone e con l'assoluta fallibilità della giustizia umana.
Il film è terribilmente disfattista (in fondo è pur sempre Lang) ed estremo per l'epoca (ed infatti non passerà la valutazione del codice Hays in tutti gli stati americani) con allusioni sessuali e violenza solo in parte nascosta, oltre naturalmente alla vittoria del cattivo, vittoria parziale di un cattivo parziale.
Se devo essere sincero non ho apprezzato completamente i personaggi, troppo esagerati (il fidanzato troppo banalmente brutale, o la moglie del cassiere troppo macchiettistica) e neppure gli attori (tranne Robinson) ma forse in questo caso la colpa maggiore è dei doppiatori italiani.
Un film decisamente da riscoprire. Finalmente un grande Lang.
Visto in DVD.
Film strepitoso, ingiustamente perduto nei recessi della memoria.
Un onesto cassiere di banca (l'ottimo Robinson) con velleità pittoriche si invaghisce della onnipresente femme fatale che lo sfrutterà su consiglio del fidanzato, costringendo il banchiere a compiere atti che mai avrebbe osato; e fin qui niente di nuovo... Ma quando Robinson si accorgerà di cosa realmente succede si scatenerà fino in fondo, distruggendo gli artefici della beffa arrivando anche a sacrificare se stesso, o meglio ciò a cui più tiene, la sua stessa pittura ed il successo tramite questa; giungendo quindi ad una sorta di autocannibalismo. Il finale originale, poi eliminato dallo stesso Lang, era un capolavoro di cinismo, con Robinson che si arrampica su un palo del telegrafo di fronte alla prigione per vedere le scintille della sedia elettrica. Invece nel film sarà preda degli inevitabili rimorsi, meno originale forse, ma molto più "greco".
I temi base sono comunque quelli tipicamente langiani, con il destino che gioca contro gli uomini, l'assassinio che si nasconde anche nella più inerme delle persone e con l'assoluta fallibilità della giustizia umana.
Il film è terribilmente disfattista (in fondo è pur sempre Lang) ed estremo per l'epoca (ed infatti non passerà la valutazione del codice Hays in tutti gli stati americani) con allusioni sessuali e violenza solo in parte nascosta, oltre naturalmente alla vittoria del cattivo, vittoria parziale di un cattivo parziale.
Se devo essere sincero non ho apprezzato completamente i personaggi, troppo esagerati (il fidanzato troppo banalmente brutale, o la moglie del cassiere troppo macchiettistica) e neppure gli attori (tranne Robinson) ma forse in questo caso la colpa maggiore è dei doppiatori italiani.
Un film decisamente da riscoprire. Finalmente un grande Lang.
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sabato 5 dicembre 2009
La iena - Robert Wise (1945)
(The body snatcher)
Visto in VHS registrato dalla tv.
Nell'ottocento, un medico per poter operare si avvale di un "amico" di lunga data per procurarsi cadaveri su cui studiare e sperimentare; ovviamente ci sono segreti e rancori neppure tanto sopiti che si nascondono tra i due...
Un film decisamente bello sotto tutti gli aspetti.
La trama è ben condotta e pecca, a mio avviso, solo nel finale troppo gotico (ma li la colpa è di Stevenson da cui è tratto il soggetto del film) e ci presenta un film sull'immoralità del bene; sulle vie che deve talvolta percorrere per poter agire; la parte di Karloff rasppresenta infatti il male necessario.
La regia è affidata a Wise che sembra meno rigido di altri suoi contemporanei, più disposto al movimento, alla costruzione meno convenzionale delle scene, al nascondere e allo svelare con calma, all'inquadratura ad effetto. Riesce a sottointendere senza dire, a raccontare senza mostrare. Alla sua terza prova come regista, Wise, riesce a fare ciò che deve con vera e propria maestria.
Il cast è all'altezza e su tutti torregga il mefistofelico Karloff, mai così in parte, e presta il suo volto adattissimo ad un grande personaggio; per quello che ho potutto vedere credo sia la sua migliore interpretazione. L'unico vero neo del film è che Lugosi sia sfruttato così poco per una parte tutto sommato secondaria.
Ancora una volta Lewton, il produttore, azzecca tutti gli ingradienti per un grande film di atmosfera... a voler fare paragoni poi, Lewton appare come il Corman degli anni quaranta, in cui film a basso costo hanno permesso la nascita di nuovi autori, la crescita di ottimi attori e la sperimentazione più libera.
Visto in VHS registrato dalla tv.
Nell'ottocento, un medico per poter operare si avvale di un "amico" di lunga data per procurarsi cadaveri su cui studiare e sperimentare; ovviamente ci sono segreti e rancori neppure tanto sopiti che si nascondono tra i due...
Un film decisamente bello sotto tutti gli aspetti.
La trama è ben condotta e pecca, a mio avviso, solo nel finale troppo gotico (ma li la colpa è di Stevenson da cui è tratto il soggetto del film) e ci presenta un film sull'immoralità del bene; sulle vie che deve talvolta percorrere per poter agire; la parte di Karloff rasppresenta infatti il male necessario.
La regia è affidata a Wise che sembra meno rigido di altri suoi contemporanei, più disposto al movimento, alla costruzione meno convenzionale delle scene, al nascondere e allo svelare con calma, all'inquadratura ad effetto. Riesce a sottointendere senza dire, a raccontare senza mostrare. Alla sua terza prova come regista, Wise, riesce a fare ciò che deve con vera e propria maestria.
Il cast è all'altezza e su tutti torregga il mefistofelico Karloff, mai così in parte, e presta il suo volto adattissimo ad un grande personaggio; per quello che ho potutto vedere credo sia la sua migliore interpretazione. L'unico vero neo del film è che Lugosi sia sfruttato così poco per una parte tutto sommato secondaria.
Ancora una volta Lewton, il produttore, azzecca tutti gli ingradienti per un grande film di atmosfera... a voler fare paragoni poi, Lewton appare come il Corman degli anni quaranta, in cui film a basso costo hanno permesso la nascita di nuovi autori, la crescita di ottimi attori e la sperimentazione più libera.
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Boris Karloff,
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Robert Wise,
Val Lewton
lunedì 26 ottobre 2009
Giorni perduti - Billy Wilder (1945)
(The lost weekend)
Visto in DVD
Il primo film serio sull’alcoolismo di Hollywood è anche il più spietato sul’argomento. Non fa sconti, non concede nulla, il protagonista per la bottiglia sacrifica tutto e fa ogni cosa, ruba e, anche se solo moralmente (in fondo erano gli anni 50), si prostituisce e con una prostituta. Neanche l’happy ending finale, che a mio avviso lo è solo fino ad un certo punto riesce a scalfire questo film solidissimo. Gli attori sono adatti, Ray Milland è giusto, un filino troppo esagerato in certe scene, ma complessivamente regge bene il compito del protagonista… e poi c’è Wilder a dirigere...
La regia è sempre contesa fra l’autoriale e l’invisibilità, mobile il giusto, niente svolazzi alla Welles, ma zoom estremi. Più che muoversi la camera si avvicina di continuo al protagonista, le scene sono pensate al dettaglio anche quando non si direbbe… duemila gli esempi da portare perché duemila sono i dettagli che Wilder ha pensato, dall’inquadratura iniziale, a quella nel negozio di liquori, dalla camera che si tuffa nel bicchiere a quella che esce dall’occhio del protagonista, al sistema per contare il numero di whiskey al bar, e che dire della scena in cui Milland cerca la bottiglia nascosta, e mentre se lo chiede ad alta voce in secondo piano risalta il lampadario dove lo spettatore sa essere il nascondiglio.
Questo film entra di diritto in quel periodo d’oro di Wilder in cui semplicemente ha sfornato solo capolavori, o quasi.
Visto in DVD

La regia è sempre contesa fra l’autoriale e l’invisibilità, mobile il giusto, niente svolazzi alla Welles, ma zoom estremi. Più che muoversi la camera si avvicina di continuo al protagonista, le scene sono pensate al dettaglio anche quando non si direbbe… duemila gli esempi da portare perché duemila sono i dettagli che Wilder ha pensato, dall’inquadratura iniziale, a quella nel negozio di liquori, dalla camera che si tuffa nel bicchiere a quella che esce dall’occhio del protagonista, al sistema per contare il numero di whiskey al bar, e che dire della scena in cui Milland cerca la bottiglia nascosta, e mentre se lo chiede ad alta voce in secondo piano risalta il lampadario dove lo spettatore sa essere il nascondiglio.
Questo film entra di diritto in quel periodo d’oro di Wilder in cui semplicemente ha sfornato solo capolavori, o quasi.
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