Visualizzazione post con etichetta 1922. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta 1922. Mostra tutti i post

mercoledì 5 aprile 2017

Femmine folli - Erich von Stroheim (1922)

(Foolish wives)

Visto in Dvx.

Un nobile russo che vive a Montecarlo con le cugine, sottomette psicologicamente la propria cameriera con la promessa implausibile di un matrimonio mentre seduce la figlia di un falsario. Quando arriverà un diplomatico americano cercherà (con successo) di sedurne la moglie per avere da lei del denaro.

Esempio classico del titanismo smisurato di von Stroheim che arrivò a quasi 10 ore di girato complessivo, da cui tirò fuori una versione definitiva di 8 ore (dimostrando, a mio avviso, di non conoscere perfettamente il linguaggio cinematografico, ma di ignorarne la funzione e la fruibilità). Per fortuna il produttore accorciò in due riprese il film arrivando al minutaggio finale di quasi due ore. La versione da me vista è una via di mezzo, dove veniva ricostruita in parte la versione originale arrivando a 2 ore e 20 minuti... Sinceramente non comprendo le ragioni di questa ricostruzione sicuramente non si avvicina che di pochissimo a quella pensata dal regista (solo 20-30 minuti in più rispetto alle quasi 6 ore perdute) e ipertrofizza quella uscita nelle sale che ne determinò il grande successo di pubblico; l'operazione mi suona tanto di nostalgia canaglia, ma che non dona molto all'opera così come la si è conosciuta finora.

Il titanismo di von Stroheim però non si ferma al minutaggio, ma si esemplifica nella messa in scena. La città di Monaco venne ricostruita in studio (tutte le scene in esterni del film sono in realtà delle ricostruzioni), scene in esterni continue e comparse a uso ridere (un titanismo che, bisogna ammettere, è efficace e rende tutte le ambientazioni iperrealistiche e ricche di dettagli). A livello economico fu uno sfacelo per lo studio.

Dietro la macchina da presa von Stroheim si dimostra estremamente moderno, sopratutto nella gestione dinamica del montaggio con alcuni picchi creativi che riescono a rendere l'emotività della vicenda in maniera molto convincente (c'è, a esempio, un dialogo con un campo-controcampo in cui i due personaggi parlano guardando dritto nella macchina da presa).
Infine si nota un uso creativo dei cartelli, spesso portatori di frasi spezzate o anche solo di liste di parole che rendono un mood e un ambiente più che veicolare un dialogo; una sorta di variazione poetica sul tema delle parole nel cinema muto.
Infine von Stroheim mi ha impressionato per la naturalezza nella recitazione superiore ad alcuni suoi colleghi dello stesso periodo.
Un film non semplicissimo da abbordare, ma incredibilmente appagante per l'alta qualità generale e per una storia di decadenza sempre affascinante.

venerdì 27 marzo 2015

Fantasma - Friedrich Wilhelm Murnau (1922)

(Phantom)

Visto in Dvx.

Un uomo comune, impiegato del comune, appassionato di letteratura, scrittore amatoriale di poesie, timido e che vive ancora con la famiglia; si innamora improvvisamente di una ragazza ricca. Quando scoprirà che è già promessa sposa farà di tutto per mettere le mani sui soldi di una sua zia (tenutaria di un banco dei pegni); la sua onestà sarà messa alla prova, non senza enormi sofferenze.

Il fantasma del titolo è quello di un amore impossibile, non ci si lasci ingannare dal fatto che sia uscito lo stesso anno di "Nosferatu"; quest'opera è molto più simile a "L'ultima risata" sia per tematiche (un dramma psicologico su uno sconfitto dalla società), sia per stile (asciutto e impeccabile).

Se quello che salta all'occhio fin dall'inizio è la pulizia della fotografia, l'impeccabile realizzazione delle inquadrature e la colorizzazione essenziale, ma utilitaristica (soprattutto sul blu per gli interni e le scene di notte,  l’ocra per gli esterni o gli interni degli altri edifici; più alcune parti in rosso o in bianco e nero classico).                                  

In un secondo livello però colpisce la ricchezza di idee di Murnau. Utilizza la messa fuoco (o meglio, del fuori fuoco) per posizionare degli inserti che mostrano le speranze o i sogni del protagonista; buoni inserti di montaggio alternato (anche se esisteva già da almeno 6 anni qui è proprio ben fatto per ritmo e accostamenti); vi sono inoltre un paio di brevi scene da incubo con un calesse fantasma e la città che si piega verso il protagonista; in più vi è una sequenza, quella del protagonista che spende i soldi truffati senza riuscire a goderseli che è una serie di scene statiche perfettamente costruite (in cui i protagonisti vengono incastrati un florilegio di oggetti) e di intermezzi della coppia che balla con una macchina da presa che ondeggia.

Unico neo il ritmo altalenante e l'eccessivo drammatizzare ogni inquadrature che a lungo andare stanca (tutta la malattia della madre è proprio da melò di bassa lega).

giovedì 17 marzo 2011

Robin Hood - Allan Dwan (1922)

(Id.)

Visto in VHS.
Allan Dwan è forse il più misconosciuto dei mostri sacri del cinema. Si può dire che assieme a Griffith (cominciò solo 2 anni dopo di lui) ha creato l’arte cinematografica come oggi la conosciamo. Se Griffith ha inventato il linguaggio dei film, Dwan ha inventato le tecniche per realizzarli; è infatti merito suo l’invenzione del carrello (la prima inquadratura in movimento è in un suo film), il dolly (tecnicamente una macchina da presa montata su una gru) e fu il primo a creare l’inquadratura dall’alto (questa volta lo fece proprio per Griffith). Inoltre tenne a battesimo alcuni dei futuri registi più importanti, da Ford a von Stroheim fino a Fleming; oltre che alcuni attori, da Ida Lupino a Lon Chaney e creò il mito di altri come Shirley Temple o Gloria Swanson (la scena in cui Norma Desmond si traveste da Chaplin in “Viale del Tramonto”, cita proprio un film di Dwan “Manhandled”)… e questo è solo parte del suo merito.

Detto ciò bisogna aggiungere che scoprì e rese celebre pure Douglas Fairbanks; il primo eroe americano; protagonista indiscusso dei più importanti film d’azione del muto, autore di personaggi vincenti ma intrisi di una spacconeria ironica e comica che ebbero un successo sconvolgente (e Fairbanks fu il prototipo anche degli stuntman, realizzando di persona ogni scena action).

Questo film fu quello che decretò il successo della coppia Dwan/Fairbanks. Ovviamente la storia è sempre quella di Robin Hood con poche differenze (storia che non mi ha mai entusiasmato), ma il film si fa apprezzare per un gioco di inquadrature fisse reso molto snello dal montaggio piuttosto serrato che alterna al campo lungo/campo medio, la figura intera o il primo piano in un campo-contro campo rapidissimo che tiene desta l’attenzione in maniera continua. Le scenografie poi si fanno ricordare, più che per la bellezza in se per l’imponenza (un castello con stanze enormi e mura altissima, davvero impressionante) e che vengono sfruttate per le perfomance di un Fairbanks in stato di grazia, molto fisico e sempre efficace.

In ultima analisi, nonostante la non eccezionalità del soggetto, il film scorre via senza intoppi e senza momenti di stanca nonostante sia muto; un pregio indicibile. Nessun colpo di genio, ma una capacità di tenere le redini del film davvero impressionante.

martedì 23 novembre 2010

La stregoneria attraverso i secoli - Benjamin Christensen (1922)

(Häxan)

Visto in VHS.

Il film si sviluppa come una sorta di documentario su ciò che si credeva fosse la stregoneria nel medioevo e sulle metodiche utilizzate per “scoprirla”, con diverse scene rappresentate in chiave drammatica e con considerazioni di parte del regista che si schiera apertamente a favore delle condannate.

Il film sarebbe già di per se eccezionale per il punto di vista non scontato (io immagino gli anni ’20 come una propaggine del medioevo) e per la realizzazione pratica che non lesina in creature mostruose e demoni vari, realizzati con maschere decisamente efficaci per l’epoca. Come dicevo il film sarebbe già eccezionale per le ragioni tecniche se nel finale non mostrasse un animo illuminista oltre ogni dire, mostrando come le streghe del medioevo altro non sono che le attuali (per l’epoca) isteriche, rendendo evidente come una malattia psichiatrica potesse essere confusa e storpiata dalla superstizione, ma il film va oltre ancora e dichiara più o meno apertamente che tra le torture perpetrate dalla chiesa cattolica e le cure psichiatriche dell’epoca non c’è una gran differenza. Uno spirito critico davvero notevole al di là dell’esattezza delle situazioni mostrate.