venerdì 31 luglio 2015

Strange circus - Sion Sono (2005)

(Kimyô na sâkasu)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Una bambina viene costantemente vessata (psicologicamente e sessualmente) dal padre (che è anche il preside della sua scuola). Durante una lite con la madre avviene un'incidente...
Poi la scena si sposta... (Volendo già SPOILER) e si scopre che quanto avvenuto nella prima mezzora è l'incipit di un romanzo di una scrittrice paraplegica a cui si affianca un giovine Tokio Hotel per insistere ad avere la fine del libro; quello che lui non sa è che lei (Secondo SPOILER) in realtà non è paraplegica... Vabbé poi la storia ha ancora uno o due colpi di scena che non sto qui a dire. (STOP SPOILER)

Sono ci piace perché è spregiudicato, mostra quello che vuole senza battere ciglio; lo fa con una grazia di regia magnifica; le storie sono estreme e accattivanti... Beh questo è quello che si può pensare vedendo "Cold fish".
Questo film ha una trama intricata che inserisce piani onirici continui nella prima mezzora senza nessun senso apparente e con un gusto per l'estremo e lo shock che appare piuttosto gratuito; poi inizia una serie di colpi di scena giustapposti in maniera casuale, fino a un finale che potrebbe anche essere bello (beh, bello no... diciamo originale), però è realizzato in maniera idiota e messo alla fine di una serie che lo svilisce.
Lo stile visivo è figlio di questa stessa bulimia di twist; potrebbe essere bello se non sfondasse nel kitsch inutile.
Sono è riuscito a fare molto di più in brutti film (per me) riusciti a metà, come "Suicide club".

lunedì 27 luglio 2015

...E tu vivrai nel terrore! L'aldilà - Lucio Fulci (1981)

(Id.)

Visto in Dvx.

La morte violenta di un uomo negli anni '20 in un hotel... non ho capito bene... apre le porte dell'inferno? vabbé comunque sessant'anni dopo una tizia compra l'hotel e si scatenano i morti viventi e le visioni e la morte e la violenza.
Secondo capitolo della trilogia della morte (gates of hell) dopo "Paura nella città dei morti viventi" e, di fatto, questo è gemello del precedente. Dal primo capitolo della saga riprende la porta dell’inferno (strano che siano tutte negli USA...), un libro di profezie, una sensitiva cieca (beh la cecità non c’era nell'altro, ma la sensitiva c'era), sussurri e grida, inquadrature che si allargano per riprendere lo sfondo o per inquadrare dall’alto, inquadrature che si avvicinano per mostrare dettagli sfuggiti ad una prima occhiata, musica gotica al pianoforte (ma c’è pure l’elettronica anni '80 che così poche gioie ha regalato al mondo), un cameo di Fulci (nell’altro era un medico della morgue, qui un archivista della contea).
In questo secondo capitolo c'è però qualche miglioria rispetto al precedente; c'è una vena più surreale e visionaria (l’incontro con Emily ferma in mezzo alla strada è proprio ben realizzato e regala un colpo d'occhio notevole); ci sono omicidi (dalle facce consumate dall’acido, all'aggressioni a morsi da parte delle tarantole) che sono, forse, più fantasiosi del precedente (senza riuscire, però, ad avere la stessa efficacia). E poi viene mantenuto il marchio di fabbrica fulciano; l'accanimento splatter sugli occhi.

In definitiva qualche idea visiva in più; una storia ricalcata sul precedente, ma meno caotica (pur non essendo un fulgido esempio di coerenza e buon senso); ma il mood è nel complesso meno efficace e le idee innovative del primo (almeno in termini di effetti speciali) non sono mantenute allo stesso livello.

venerdì 24 luglio 2015

I figli della violenza - Luis Buñuel (1950)

(Los olvidados)

Visto in Dvx.

La storia di un gruppo di ragazzi della periferia di Città del Messico, con l'arte di arrangiarsi, il cameratismo, la violazione della legge e la conseguenze di tutto ciò.

Io e Buñuel non ci capiamo spesso; questo è un film ben condotto con qualche interesse per i dettagli e le soggettive, con una buona ideazione della scena onirica (non ci sono visioni meravigliose, ma semplicemente è una buona riproduzione di quello che succede nei sogni) e qualche concessione ai movimenti di macchina da presa. Quindi è ben condotto e abbastanza interessante senza però avere i picchi di innovazione dei suoi lavori successivi (ma neppure senza la masturbazione mentale)... tuttavia non ho apprezzato del tutto, un pò di sbadigli nonostante il buon ritmo... mi sa che il problema in questo caso è più mio che di Buñuel.
Senza i picchi di altre opere, questo film ha però il fascino semplice del neorealismo e il suo passo. Un neorealismo rimaneggiato da un regista dinamico, un neorealismo nell'epoca della violenza urbana; se fosse stato girato l'anno scorso nell'hinterland di una capitale europea non sarebbe stato molto diverso.
Un film sulla mancanza d'amore e sulla necessità dell'amore.
Carino, solido, intelligente.

lunedì 20 luglio 2015

Ancora vivo - Walter Hill (1996)

(Last man standing)

Visto in tv.

Epoca del proibizionismo, Stati Uniti, un uomo arriva in un paesino di confine con il Messico, dove due bande rivali si contendono il controllo dell'importazione di alcolici. Un uomo senza identità chiara arriva, si innamora (?) di una donna costretta a rimanere legata a uno dei capi e decide di guadagnare qualcosa dalla situazione.

Forse questa è la conclusione della serie di remake meglio riuscita della storia del cinema; originata da uno scritto di Hammett, realizzato da Kurosawa come "La sfida del samurai" nel medioevo giapponese, poi da Leone con "Per un pugno di dollari" nel west americano, poi qui, da Walter Hill, tornando in un epoca vicina a quella del romanzo originale.
Va detto che Walter Hill dichiarò come ispirazione Kurosawa negando di aver mai visto il film di Leone (grasse risate)... vabbè, pure Leone sosteneva di non aver mai visto il film di Kurosawa, ma almeno lui aveva questioni di copyright.

Questo effettivamente è il meno riuscito dei due precedenti, ma questo solo perché gli altri sono capolavori e questo si limita a essere solo un buon film.
Una fotografia calda, sudata e polverosa crea un ambiente totale già con le prime immagini; il film è un gangster movie (poco) venato di noir (molto) immerso in un ambiente e in una gestione western (abbastanza). Un film solido, ben condotto con la solita mano invisibile di Hill che costruisce iperboliche sparatorie (i corpi sono spostati dalle pallottole come fossero di carta velina) che fanno le veci delle scene di danza in un musical; Bruce Willis piuttosto impassibile da perfettamente il senso di un protagonista granitico; una galleria di comprimari magnifici capitanati da un Walken gelido e affascinante (come sempre), purtroppo poco sfruttato.

venerdì 17 luglio 2015

Scrivimi fermo posta - Ernst Lubitsch (1940)

(The shop around the corner)

Visto in Dvx.

Due commessi dello stesso negozio intrattengono fra loro una relazione epistolare; nella vita vera però si odiano apertamente. Lui capirà che la donna a cui scrive è lei e cercherà, timidamente, di risolvere la situazione. Nello stesso momento il proprietario del negozio scopre il tradimento della moglie. Attorno a loro si muovono gli altri dipendenti.

Commedia dolce di un Lubitsch che conduce una trama impregnata di Frank Capra. Si muove fra buoni sentementi in una famiglia allargata (il negozio) dove ognuno può essere burbero, ma senza cattiveria (...beh non proprio tutti). Fosse solo questo però sarebbe stucchevole (non si può fare un film alla Capra pensando che siano solo i buoni sentimenti a fare il lavoro).
Nella sceneggiatura il film si muove fra dialoghi scritti splendidamente (salvo quelli fra i due protagonisti quando ci provano), veloci e ben costruiti come in una screwball comedy.
Nella regia Lubitsch lavora sul non mostrare (o sul mostrare indirettamente); lo sventato suicido visto con la pallottola vagante, il fattorino promosso che racconta la storia ai colleghi con due telefonate (a persone che non centrano nulla), il primo dialogo fra i protagonisti in cui lei chiede un lavoro; tutto fatto in maniera indiretta bypassando il rischio della ripetitività (con altri film dello stesso tipo); in più ci sono alcuni ottimi utilizzi della macchina da presa (qualche movimento, alcune splendide inquadrature come la cassetta della posta vuota vista da dietro).

...e poi sotto sotto non è così politicamente corretto visto che lei si deprime quando scopre che il suo amante sconosciuto potrebbe essere calvo e sovrappeso (oltre che senza un lavoro)...

PS: il film, arrivato in Italia durante la guerra, è ammazzato da un doppiaggio fatto da italoamericani che non sapevano perfettamente la pronuncia e per bilanciare hanno deciso anche di non recitare.

lunedì 13 luglio 2015

Suxbad: Tre menti sopra il pelo - Greg Mottola (2007)

(Superbad)

Visto in Dvx.

Due amici alla fine del college devono gestire la loro separazione universitaria mentre cercano di portarsi a letto chiunque comprando illegalmente dell'alcool per la festa di fine anno.

A meno di dieci anni dall'uscita di questo film la sensazione è che sia passato molto più tempo perché ormai il suo stile è diventato lo stilema classico di un genere ad hoc, il bromance. nel bromance c'è proprio il fulcro del film; qui si crea un genere; qui si crea il personaggio dello sfigato a cui, per la prima volta nell'ampia produzione americana, viene concessa la dignità di avere una psicologia complessa; qui per la prima volta il rapporto d'amicizia fra due uomini viene gestito come un rapporto di coppia a tutti gli effetti (anche se le scaramucce sono usate solo come espediente comico, il rapporto fra i due protagonisti è l'idea centrale e tutto il film si può riassumere nello sguardo finale fra i due che si allontanano ognuno con la propria ragazza).
A parte l'innovazione apportata, quindi, quello che rimane è una commedia dalla trama scorrevole, che mostra un gruppo di adolescenti che vivono in un mondo di adolescenti (i poliziotti o la festa dei trentenni) supportandosi a vicenda; la componente comica però è molto diminuita; ci si diverte, ma senza ridere sguaiatamente... A parte McLovin (e la prima scena con i poliziotti al negozio di liquori) che rimane l'idea comica meglio riuscita.

Il film rappresentò il trmapolino di lancio per un Cera da un pò latitante sullo schermo e per un sorprendente Jonah Hill che da qualche anno si sta ritagliando il suo spazio. Incredbilemnte Mintz-Plasse (quello su cui avrei scommesso all'epoca) ha avuto il suo picco proprio con questo film, poi basta... (Ok, "Kick-ass", però da solo mi pare poca roba)

venerdì 10 luglio 2015

Io la conoscevo bene - Antonio Pietrangeli (1965)

(Id.)

Visto in Dvx.

Una (bella) ragazza della provincia toscana va a Roma a cercare il successo; lei si muove lieve tra un uomo e l'altro, tra un lavoro e l'altro, tra una persona e l'altra. Leggera e vacua com'è sembra essere inattaccabile dal dolore, ma anche lei mostra di avere dei sogni che vengono continuamente distrutti; finché, nel finale, non di mostrerà di non essere del tutto inattaccabile.

Difficile riassumere un film del genere; un film felliniano sotto molti punti di vista tra cui quelli della trama; un film composto da episodi disgiunti che si accumulano creando una storia, una trama, una psicologia e una vita di un personaggio che altrimenti sarebbe solo fatua, scioccherella, buona e distaccato. Il personaggio, proprio per queste caratteristiche è una Cabiria, meno combattiva e più passiva (oltre che molto più bella, dettaglio che ha il suo peso nella storia), ma assolutamente in linea con un personaggi della Masina standard.

Pietrangeli dietro la macchina da presa dimostra un dinamismo incredibile pur mantenendo quella levità che sembra essere la sua cifra stilistica (quella stessa levità presente in quel gioiellino di commedia leggere di "Fantasmi a Roma"), pur con i suoi movimenti di macchina e le scelte di regia molto pesanti, la messa in scena appare lieve, la trama sembra muoversi senza sforzo, ma con un effetto complessivo di empatia totale con la protagonista.
Beh come dicevo la regia è presente e visibilissima per tutto il film; con giochi di controluce, una vertiginosa inquadratura dal basso con il duomo di Orvieto (credo) alle spalle; inserti di flashback o montaggio parallelo per spiegare situazioni o rapporti senza usare le parole (o per sottolineare quanto viene detto); utilizzo estetizzante delle luci (bellissime quelle in notturna della scena dell’incidente per esempio); panoramiche circolari (la lezione di teatro dove il movimento si fonde con le parole); l’uso dei riflessi (negli specchi dell’ascensore, nei tavoli, nei parabrezza ecc).

A questo si deve aggiungere una serie di personaggi (interpretati da comprimari di lusso; si guardi il cast e si rimarrà sbalorditi) e diverse battute fulminanti ("O la macchina più grande o il vestito più piccolo") e tanto sentimentalismo, mai urlato e mai disturbante.

Pietrangeli lo conosco ancora poco, ma questo si candida a essere il suo film migliore; certamente è uno dei più grandi film italiani a essere quasi sconosciuto.

PS: Per storia, personaggi psicologie e intere sequenze... quanto mi ha ricordato "La grande bellezza" (basti la scena del salotto romano ).


lunedì 6 luglio 2015

Rosetta - Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne (1999)

(Id.)

Visto in Dvx.

Una ragazza figlia di un'alcolista e senza padre vive in un campeggio; licenziata da una fabbrica per riduzione del personale cerca disperatamente un lavoro; ma è un personaggio integerrimo, lo vuole regolare, nel frattempo cerca di sopravvivere con lavori provvisori.

Cosa succede se si mette il Dogma in mano a due documentaristi? Un film iperrealista per messa in scena e per trama (di fatto non succede nulla per tutto il film è solo il constante pedinamento della protagonista che cerca di tirare a campare) che pur sfruttando il sistema più abusato dagli autori europei che vogliono fare gli autori (appunto la camera mano e il pedinamento... si veda un più recente Mungiu), ma completamente scevro da ogni intellettualismo, serio, granitico, duro e sentimentale. Quel che vien fuori è un film sociale alla maniera inglese (la serietà inverosimile della ragazza mi ha ricordato Ken Loach e l'approccio distaccato, ma sentimentale anche Leigh), che empatizza subito, esalta le performance degli attori e permette di seguire con ritmo e stile una storia priva di trama o di fascino; e quando vengono mostrate scene banali di vita quotidiana, tutto risulta fradicio di sentimenti anche se inespressi; e quando arrivano i colpi bassi l'effetto è duro il doppio; e quando il finale, a cavallo fra il tragico e il consolatorio, finisce all'improvviso senza dare risposte, beh si è comunque d'accordo con i registi.
Se De Sica fosse un regista contemporaneo il suo neorealismo sarebbe fatto così.

Di fatto i fratelli Dardenne non inventano niente, ma riutilizzano benissimo una tecnica stanca che fino a quel momento aveva permesso di creare (capolavori quando si era fortunati, ma anche) film intellettualmente segaioli.

venerdì 3 luglio 2015

I vampiri di Praga - Tod Browning (1935)

(Mark of the vampire)

Visto in Dvx.

A Praga una morte misteriosa sembra indicare la presenza di vampiri nella zona; la polizia chiede aiuto a un esperto che, assieme alla famiglia e alla servitù del morto, cercherà di fare luce sull'accaduto.
Remake sonoro del perduto "Il fantasma del castello", successo commerciale del muto della coppia Browning/Chaney (lì l'attore trasformista creò una delle sue maschere più famose, pur essendo il film non più visibile sin dagli anni '60).
Si sa che dopo l'accoppiata "Dracula" "Freaks" i film di Browning non sono più stati gli stessi, in parte per evidenti limiti personali, in parte per enormi limiti produttivi (causati proprio da quel capolavoro mal recepito di "Freaks"). Eppure il film su Dracula inventò il vampiro cinematografico, creò l'immagine di Bela Lugosi che verrà perpetuata e definì gli stilemi del gotico cinematografico classico (fatto di ragnatele, teschi, ragni e bare). Questo film è figlio diretto di quella sua creazione, ma pur rimanendo impeccabile dal punto di vista dell'arredamento horror è un filmetto breve, ma estremamente noioso, con una trama che si snoda prevedibile e assurda (molti salti, molti comportamenti non comprensibili) mentre degli attori non al loro meglio si muovono in panni in cui non sono a loro agio (sarà anche colpa del doppiaggio, ma ho trovato fuori parte e prolisso anche Barrymore). Bela Lugosi reitera senza alcuna fantasia la stessa parte di 4 anni prima.
E allora quali sono i motivi di interesse (a parte i completisti di Browning come me)?
Beh, qui c'è la creazione della prima dark lady dell'horror, una lugubre vampira (interpretata da Carroll Borland) che sarà la madre naturale di tutte le donne mostro dei decenni successivi.
Ma soprattutto il motivo per guardare questo film può risiedere nel finale; un twist improvviso e imprevisto cambia radicalmente il punto di vista, ma soprattutto dimostra l'astuzia che sta dietro all'opera; Browning sfrutta pedissequamente l'immaginario da lui creato vampirizzando i suoi film precedenti, ma lo fa solo per ingananre... di più non posso dire per non rovinare troppo.
Quindi vale una visione?... a essere onesti no; è un brutto film, più intelligente che ben fatto.