sabato 30 aprile 2011

Furia - Fritz Lang (1936)

(Fury)

Visto in DVD.

Un buon uomo (Tracy), ottimista e positivo di quell’ottimismo odioso all’americana, che crede nel sistema e nel buon cuore altrui va a trovare la fidanzata che lavora in un altro stato. Durante il viaggio, in prossimità dell’arrivo viene fermato per un controllo dalla polizia e scambiato per motivi idioti (ha delle arachidi in tasca) per un rapitorie di bambini che stanno cercando da giorni. La polizia lo arresta mentre attende di valutare la questione; ma la notizia dell’arresto si sparge presto nel paese e la folla (isterica com’è sempre una folla) reclama la testa del rapito, fregandosene del fatto che non sia ancora stato neppure accusato formalmente. La folla aggredirà la stazione di polizia, metterà fuori uso i pochi poliziotti rimasti e darà fuoco al carcere. Tutti penseranno che Tracy sia morto e comincerà un processo collettivo contro 22 persone riconosciute tra gli aggressori della stazione di polizia… Tracy però è riuscito a cavarsela, ma ormai è cambiato, ora è solo in cerca di una cieca vendetta, si nasconde affinché i 22 vengano condannati a morte per il suo omicidio e indirizza il processo quando questo risulterà stagnare.

Film sul linciaggio e sulla vendetta; che descrive magnificamente la foga di una folla fuori controllo, ma che, non senza una buona intuizione, immerge il tutto in un ambiente in cui il sistema tende solo ad auto-sostenersi (il governatore che non manda la guardia civile perché è un suicidio politico nell’anno delle elezioni; la polizia che arresta Tracy lo fa con una certa pigrizia perché pressata da una richiesta indiretta della città; un poliziotto che molla la difesa del carcere perché la moglie lo minaccia di non presentarsi a casa se vuol difendere il rapitore). Si insomma un ambiente carico di lati oscuri in cui il bene viene soffocato anche qualora nasca spontaneamente.

Fiore all’occhiello il discorso sull’impulso omicida che differenzia i criminali e i matti dai sani, in quanto questi ultimi vi resistino e gli altri no, ma entrambi ne vanno soggetti.
La regia registra con oculatezza quanto succede, concedendosi un poco di montaggio intellettuale affiancando il cicaleccio della folla con un branco di galline vocianti; utilizza un buon numero di panoramiche mentre i primi piani sono a disposizione solo dei momenti emotivamente più intensi.

In definitiva il difetto maggiore è nel finale, che non solo è di un rassicurante perbenismo consono con gli anni in cui è stato realizzato, ma è anche troppo rapido e improvviso.

venerdì 29 aprile 2011

Il barbiere di Siberia - Nikita Sergeevič Michalkov (1998)

(Sibirskiy tsiryulnik)

Visto in VHS.

Conosciutisi fortuitamente su un treno, un cadetto dell’armata imperiale russa (siamo a fine ottocento) e un’americana figlia di un inventore trasferitosi a Mosca, intrecceranno le loro esistenze nella capitale. Lui rovinandosi la carriera e la vita distratto dal pensiero di lei e poi dalla gelosia; lei invece, troppo forte per perire ai propri sentimenti, si prodiga nel sedurre un vecchio generale per avere finanziamenti per un’invenzione del padre, tenterà di salvare capra e cavoli (il vecchio sedotto di cui non è innamorata ed il cadetto sedotto per cui prova qualcosa).


Film molto convenzionale, una commedia romantica in ambiente russo; condotta con la solita maestria appagante e furbetta da Michalkov. Come al solito conquista, quasi del tutto almeno. Alcune cadute di stile, alcune idee eccessivamente enfatiche (tutta la sequenza negli Stati Uniti, con il giovane soldatino che si tiene la maschera anti-gas per non insultare Mozart!) e una diluizione eccessiva di tutto il racconto (il film dura praticamente 3 ore!!) lo rendono decisamente inferiore rispetto alle potenzialità che mostrava all’inizio.


Il film infatti regge benissimo per almeno un’ora e mezza. È divertente, si fa seguire e tiene svegli senza botti, ma solo con un gioco delle parti per costruito e con la solita maestria nel mostrare i personaggi (niente sequenze da urlo, ma qualche inquadratura interessante c’è ancora). Poi le immagini pulite e ben realizzate e la cornice esteticissima del Cremlino, messo quasi sempre attorno alle sequenze più importanti, ma quasi (e dico quasi) mai sfacciato, sono un punto in più.


Però come si è detto, il film cede alla noia, dopo 2 ore il ritmo rallenta, la trama vira di più verso il melodramma facile facile, perde tutta l’ironia dell’inizio e gli occhi si fanno sempre più pesanti… peccato.

giovedì 28 aprile 2011

La ragazza che saltava nel tempo - Mamoru Hosoda (2006)

(Toki o kakeru shôjo)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
Una ragazza dal carattere piuttosto caotico si ritrova ad avere un potere particolare, quando spicca un salto, oltre che nello spazio salta anche indietro nel tempo, di pochi minuti piuttosto che di ore o giorni. Con questa nuova capacità che sembra poterle rendere più facile la vita, invece gliela incasina ancora di più, finché non scoprirà l’amore di un suo amico, ma anche qualche segreto fantascientifico in più…

Un buon film adolescenziale che diverte e intrattiene con brio. Decisamente divertente e dinamico nella prima parte in cui la ragazza prende confidenza con il mezzo, poi la cosa si complica con l’amore e il film ancora regge, poi ci si aggiunge anche la fantascienza, il ritmo cala e anche l’ironia, rallentando tutto.

Complessivamente non è un capolavoro (come avevo letto in giro), ma un ottimo cartone, perfetto per degli adolescenti, buono per degli adulti.

mercoledì 27 aprile 2011

Limitless - Neil Burger (2011)

(Id.)

Visto al cinema.



Uno scrittore in piena crisi (affetiva, sociale e creativa) entra in contatto con una nuova droga che, in sostanza, rende più intelligenti; o meglio aiuta a creare connessioni. Fa recuperare tutto quanto acquisto in vita, anche se non lo si ricorda, aiuta ad assimilare informazioni nuove e ad utilizzarle, acuisce l’intuito. In breve il ragazzotto goffo e sfigato, diventerà un figo moderno implicato in questioni di mafia e wall street.

Film decisamente originale e ben fatto che offre all’altrimenti non entusiasmante Bradley Cooper il ruolo della vita, l’attore è perfetto in ognuna dalle 3 trasformazioni del suo personaggio, duella con tutti gli altri mentre è sulla scena e batte anche De Niro (anche se in questi ultimi anni è diventato abbastanza facile).

Quello che però colpisce maggiormente del film è lo stile di regia, l’uso dei colori per identificare l’uso della droga è il meno. Obbiettivi deformanti, montaggio serrato, dettagli, inquadrature o carrelli impossibili; Burger vuole fare come Fincher in “Fight club”, e a mio avviso ci riesce in pieno; rendendo un film che parla dell’uomo moderno, con uno stile di regia decisamente moderno, originale e vivo.

Poi però peccato che la storia (seppure ben fatto, con personaggi ben delineati e anche divertente) sia lenta. Il ritmo è sempre un giro indietro a quello che dovrebbe essere e si giunge alla fine con un poco di fiatone. Unico difetto per un ottimo film.

PS: per la questione del significato della trama in rapporto alla fantascienza rimando qui.

martedì 26 aprile 2011

Il sapore del delitto - Anatole Litvak (1938)

(The amazing dr. Clitterhouse)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese. Un medico decide di studiare le reazioni fisiologiche ed endocrinologiche agli atti criminali, per valutare le motivazioni mediche all’attitudine criminale… quale modo migliore per effettuare questa ricerca se non commettere furti lui stesso e fare su di se gli esami del caso? Spavaldo e adeguatamente astuto com’è riuscirà senza problemi, ma per una serie di eventi diventerà la mente di una vera e propria banda criminale che utilizzerà per i suoi test. Qui si farà amare dalla ricettatrice di fiducia, ma si farà odiare dal più duro dei duri (un giovanissimo Bogart). Ovviamente quando tutto sembra finito tutto invece andrà a rotoli.

Film apertamente noir, ma atipico; in cui l’unico personaggio maschile serio è proprio Bogart, tutti gli altri sono comprimari divertenti mentre il protagonista (il sempre ottimo Robinson) si permette diverse battute fuori dal genere classico. L’esperimento è strano e non completamente disdicevole, ma nell’insieme sembra per lo più che non si sappia che via scegliere. Troppo ironico per essere un noir decente, troppo duro e diluito per essere una commedia vera e propria.

La storia poi mi risulta un poco pretestuosa, gliela passo senza problemi per quella sorta di ingenuità che spesso si ritrova nei film anni ’30, ma avrebbero potuto renderla meno laboriosa.

Il dettaglio di maggior pregio del film (e uno dei pochi motivi di vero interesse al di la degli attori e del tema sperimentale) è la regia di Litvak che non si tira indietro nell’uso della panoramica o del dolly, non indietreggia nella regia circense (per l’epoca) che spesso lo caratterizza e che qui si ritrova soprattutto nell’inizio; infine Litvak utilizza la macchina da presa in maniera libera tale da realizzare piccoli piani sequenza costruiti anche su più piani.

lunedì 25 aprile 2011

La notte della lunga paura - William F. Claxton (1972)

(Night of the lepus)

Visto in Dvx. Ah, gli anni ’70. C’è stato un periodo nel cinema horror, in cui si è deciso che ogni animale avesse un lato oscuro, e hanno cercato di fare film su qualunque cosa (su quel filona pochi anni fa è stato realizzato il no entusiasmante “Black sheep”). In questo film si tenta l’impossibile; rendere spaventoso il coniglio.

Ovviamente il film è un fiasco completo… il problema principale è che si prende troppo sul serio. Viene realizzato un film horror canonico, ma con una delle idee più idiote.

La storia senza inventiva non aiuta di certo e neppure il budget limitato. Quello che si ottiene è un film totalmente prevedibile, dove il “mostro” è semplicemente il muso tenerone di un coniglio inquadrato da vicino e dal basso mentre attori fuori scena gridano di paura; talvolta sporcano di rosso i baffi o fanno digrignare i dentoni al coniglio... ma non è che la cosa migliori molto. Le scene truculente sono mostrate molto rapidamente (anche perché è difficile convincere un coniglio a ficcare il muso su un pezzo di carne) e il picco lo si ottiene nei corpo a corpo (coniglio contro uomo o coniglio contro cavallo) in cui un pover’uomo viene obbligato a mettersi un costume da coniglione gigante. Peccato che anche queste poche scene (di involontaria, ma salutare, autoironia) sono mostrate il meno possibile.

Un film noioso e senza motivi di interesse.

domenica 24 aprile 2011

L'odio - Mathieu Kassovitz (1995)

(La haine)

Visto in DVD.
Nelle banlieue di Parigi si muove la pigra giornata di 3 ragazzi, figli di immigrati (anche se tecnicamente sono i figli di ex colonizzati, quindi tecnicamente francesi). Dalle 10 di mattina alle 6 della mattina successiva si muovono tra degrado sociale, piccoli sogni di fuga o di gloria (sempre disillusi), riflessi di vite più ricche nel centro città e soprattutto rabbia, e come dice il titolo odio, nei confronti di un sistema che li tiene al margine e che, anzi, li assoggetta. La valvola di sfogo dit tutta questa pressione è nei tafferugli avvenuti il giorno prima in cui una ragazzo è stato picchiato fino al come dalla polizia.

Questo film è talvolta venduto come Il film europeo degli anni ’90… e devo dire che se si accetta “Pulp fiction” come Il film degli anni ’90 (in quanto quintessenza del post moderno, unico movimento degno di nota di quel decennio; e guai a chi dice dogma!), allora non posso che essere d’accordo.

Mamma mia che film! Intanto prevede con una lungimiranza notevole quello che effettivamente succederà 10 anni dopo. Poi va sottolineato come le 3 psicologie dei protagonisti siano ben delineate, come tutte e tre cerchino una via di fuga personale e come tutte e tre si schiantino contro la realtà, notevole anche il lavoro sui comprimari…

Il meglio però sia ha con la regia. Dinamica, circense sempre diversa ogni inquadratura, una serie di scelte estetiche che guardano a Tarantino (al post moderno appunto), ma con una personalità palpabile, fotografato in un bianco e nero perfetto e sottolineato da un’enfasi ben bilanciata e mai pesante.

Un film veramente moderno, veramente realizzato da uno che di cinema ne sa fin troppo senza nessuna sbavatura. Il finale, che non mostra niente, è decisamente violento e perfettamente adatto al mood del film, anche se esplicita direttamente la metafora, ma questo conta poco a fronte di un film cos’ì notevole.

PS: il regista, Kassovitz, è lo stesso che anni dopo realizzerà il pregevole “I fiumi di porpora” ed il terribile “Gothika”… possibile che un uomo dimentichi tutto in dieci anni? Oppure in “Gothika” è solo un prestanome? Oppure è stato rapito e sostituito da un clone?

sabato 23 aprile 2011

La lettera - Manoel de Oliveira (1999)

(La lettre)

Visto in DVD, in lingua originale sottotitolato.
Una ragazza di buona famiglia borghese è circuita da un ragazzo, ma sposa un gentile medico pieno di soldi, però poi si innamora di un cantante portoghese (Pedro Abrunhosa!! Una sorta di Ligabue portoghese pelato e che non si toglie mai gli occhiali da sole! agevolo una canzone) e vuoi che non abbia crisi di coscienza che non si concretizzano mai in niente, se non in lunghi cicalecci sui massimi sistemi…
La lettera (la felicità di una ragazza sta nel marito che sposa).

Camera fissa senza idee, messa in scena nella media, senza immagine costruite in maniera seria o una fotografia curata, un modo di raccontare lento, non per forza noioso, ma si sente che la trama è sempre in salita; addirittura gli attori risultano poco credibili, sforzati (e non solo i neo arrivati, ma anche chi ha più esperienza) e come nei film di Dreyer si guardano l’un l’altro a fatica (anche Oliveira è dell’idea di togliere i sentimenti per non distrarre lo spettatore, ma non ha le trame e la capacità e il gusto della messa ins cena di un Dreyer o un Bresson). Un modo di fare cinema inutile, monotono e monocorde che non dice nulla con le immagini e lascia tutto alle parole. L’altro problema è propiro li, i film di Oliveira sono parlatissimi, ma i discorsi che vengono fatti sono scontati e tracotanti, ricchi di pensieri enormi e massimi sistemi detti, tralaltro, in maniera banale e seriosa come se fossero una verità rivelata; e questo quando non cadono proprio nell’idiota e nel ridicolo. Un modo di fare cinema vecchio, incancrenito e francamente inutile. L’unica speranza in un film di Oliveira è che la storia sia buona… e in questo caso specifico neppure quella si salva, anche la storia infatti è vecchia (con perle come la felicità di una ragazza sta nel marito che sposa…)

Facile accusare Oliveira d’essere vecchio visto che l’anagrafe è impietosa, ma in questo caso ci sono tutte le ragioni per farlo, tanto più che, quint’essenza dell’età, in questo film ci sono pure i cartelli che spiegano quanto accade nelle scene che non vengono mostrate. Se poi penso che un ottantessne Alain Resnais riesce a realizzare un film fresco e originale come “Cuori”, senza concedere nulla al mainstream allora è evidente che è Oliveira ad avere un problema.

venerdì 22 aprile 2011

Nightmare IV: il non risveglio - Renny Harlin (1988)

(A nightmare on Elm Street 4: the dream master )

Visto in Dvx. Allora, c'è questo solito Freddy Krueger che torna di nuovo per finire il lavoro di vendetta del primo film; fa fuori gli ultimi sopravvissuti dell'opera precedente e visto che si è divertito abbestia decide di ammazzarne altri con una motivazione lieve lieve che proprio si poteva anche avitare. Com'è, come non è, alla fine Freddy viene battuto facendolo guardare in uno specchio (?!).

La domanda che mi perseguita da quando l'ho visto è: è più brutto questo o il secondo film della serie?
Se è vero che quello era un film che le provava tutte per essere originale financo instillando il germe dell'horror-gay; questo invece sembra aver messo insieme la storia con i rigurgiti di pelo del gatto dellos ceneggiatore. Tutto sa di già visto, tutto è banale, senza originalità e senza quelle idee soprattutto visive che, a mio avviso, avevano reso grande il capostipite della serie. Il fatto che ci sia un assassino che si aggira nei sogni non riesce a dare input e Freddy va in giro a infilare le sue unghie svogliatamente e ripetitivamente in omicidi schematici, privi di fantasia. Non c'è neppure molta ironia.
Se si considera poi che il secondo capitolo aveva tanta comicità involontaria che teneva ben desta l'attenzione, in questo mi pregio di sottolineare solo il cane che piscia fuoco; il fatto che questo è il film che più di tutti puzza di anni 80 (la musica, i vestiti, il karate per pezzenti post-Karate Kid del fratello della protagonista); ma soprattutto Robert Englund vestito da infermiera!

I lati positivi non mancano, come una regia che gioca bene con gli interni; una buona sequenza, quella ripresa dall'alto della protagonista mentre si addormenta e qualche effetto speciale venuto bene (come la ricostruzione del cadavere di Freddy).

Tutto considerato comunque il film è orribile, inguardabile e noioso; e per rispondere alla mia prima domanda, direi che è decisamente peggiore del secondo capitolo, perchè a quello gli si può obbiettare l'involontaria idiozia delle idee, ma non la totale assenza di fantasia. Al momento quindi, il peggiore della serie.

Forse vi ricorderete di me per scene come: Come detto non ce ne sono un granchè, visto che sono buono e voglio mettercene almeno una direi la trasformazione in scarfaggio; ironica, grottesca, motivata e ben realizzata. Poi in un film con idee mosce come questo spiccano anche la fuga delle anime dal corpo di Krueger o la pizza con le facce delle vittima, ma in un film adeguato non le avrei neanche notate.

giovedì 21 aprile 2011

Ma papà ti manda sola? - Peter Bogdanovich (1972)

(What's up, Doc?)

Visto in VHS. La terza opera di Bogdanovich è in linea con la precedente e la successiva. Ricca di idee di messa in scena, impreziosita da una camera mobile ed una capacità tecnica non indifferente, ma decisamente più sobria rispetto alla flamboyant opera prima.

Qui si passa alla screwball comedy, con personaggi abbastanza macchiettistici, ma una trama niente affatto consueta. Anzi, è evidente che Bogdanovich ci gode a rendere complesso il meccanismo. Tuttavia la tram che si poggia integralmente sullo scambio di valige funziona integralmente e fa lavorare con dignità i personaggi.

Il film è evidentemente ispirato ai cartoni della Looney Tunes (come dice esplicitamente il titolo originale, che riprende la frase canonica di Bugs Bunny; il primo incontro fra i protagonisti con una Streisand che appare dappertutto mangiando una carota; o nel finale che si chiude proprio con la fine di un episodio di Bugs Bunny e Taddeo) e le dinamiche messe in atto sono le stesse, si spinge sul surreale fino agli eccessi dei cartoni mettendoci però in mezzo la classica storia d’amore anni ’30 tanto cara a Hawks, con due personaggi che si respingono per poi avvicinarsi.

Complessivamente un buon film, divertente e che intrattiene; con un cast all’altezza e un’ottima regia; ha qualche momento di stanca solo verso la fine con l’inseguimento in macchina, ma tutto sommato regge bene.

mercoledì 20 aprile 2011

Il falò delle vanità - Brian De Palma (1990)

(The bonfire of the vanities)

Visto in DVD.
Un giovane broker (Hanks) che vive a Manhattan, figlio di una cultura dell'edonismo e dell'ipocrisia, con moglie isterica e amante ninfomane rimane, per caso, invischiato in un incidente stradale di cui, tecnicamente, non ha colpa, è stata la sua amante a tirare sotto un ragazzo di colore nel Bronx. Peccato che gli interessi economici della famiglia del ragazzo e di un ambiguo reverendo locale, gli interessi politici di procuratori e legulei, nonchè gli interessi di vendita dei giornalisti, montino un caso estremo di razzismo al contrario dove il povero Hanks viene accusato e perseguitato sostanzialmente perchè è un bianco.
Storia ironica e graffainte dell'homo homini lupus, dove tutti sono personaggi beceri con doppi fini e dove tutte le categorie sociali sono infilate nel calderone dei bastardi.

De Palma non rinuncia a tutti i suoi tecnicismi estetici (un brutto split screen, alcuni pan focus, una macchian da rpesa mobilissima, e i soliti 5 minuti buoni di piano sequenza all'inizio, questo si molto bello), ma complessivamente si tira indietro, firma un film decisamente più sobrio, dove la sua inventiva non è invadente e lascia alla storia e agli attori la parte che gli è proprio.

Il vero difetto del film è nella trama stessa. Per prima cosa il finale troppo positivo stona tantissimo con tutto l'andamente della storia; il colpo di scena finale è troppo debole e muore se paragonato all'aspettativa che viene creata in precedenza; infine il pistolotto morale di Morgan Freeman è davvero dannoso all'andazzo generale (ma immagino che l'abbiano lasciato per dare un monologo a Freeman).

Compessivamente, comunque, il film diverte, intrattiene, non annoia mai e, credo, sia la miglior prova d'attore di Bruce Willis, nonchè la prova d'attore meno irritante di Tom Hanks.

martedì 19 aprile 2011

Pranzo alle otto - George Cukor (1933)

(Dinner at eight)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato. Commedia upper class dal cast all star, film corale ambientato nell'alta borghesia americana, con ex divi ormai sul declino, padri di famiglia malati, amori impossibili e quant'altro. Lo dico, è una sorta di "Grand Hotel", che però prova ad essere divertente.

Come il terribile film di Goulding però non ci riesce. Le piccole problematiche borghesi dei protagonisti non interessano, o risultano troppo stucchevoli oppure sono risolte in maniera risibile (su tutte la reazione della ragazza che apprende della morte dell'amato, sembra che le abbiano detto che le hanno rovinato il visone, ci rimane un po male, ma si riprende subito).
Come dicevo ci prova a divertire, ma non ci riesce quasi mai, di pregevole ci sono solo le scaramucce tra la Harlow e Beery; per il resto il film si trascina con lunghi dialoghi senza nerbo e senza interesse per un'ora e mezza di noia.

Bravo il cast, questo si, ma mi pare pure il minimo.

lunedì 18 aprile 2011

My name is Tanino - Paolo Virzì (2002)

(Id.)

Visto in DVD. Il giovane Tanino, ragazzo dagli ideali alti, ma dalle esigenze quotidiane, che abita nella provincia siciliana rimane invaghito di una ragazza americana, tanto da decidere di mollare tutto (tecnicamente sarebbe costretto ad andare alla leva) per andarla a trovare. Una volta in amercia si troverà davanti ad una realtà diversa da quella che immaginava, si troverà invischiato in fatti assurdi, pericolosi o esaltanti che siano e si troverà ad un passo dal ricostruire il suo passato.

Divertente film di Virzì, meno verosimile e più cartoonesco delle altre sue opere, ma decisamente ben congegnato. Intrattiene e diverte senza pretese e questo sarebbe tutto; se non fosse per il protagonsita (Corrado Fortuna), totalmente in parte, tanto da essere personaggio perfetto con la sola espressione attonita, vero fiore all'occhiello del film.
Come si è detto è una commedia inverosimile e basta (niente affreschi sociali frizzanti e graffianti come nello stile del regista), ma qui e la ci tiene a far vedere la sua impronta, come il contrasto fra ideali e realtà del protagonista paragonato all'amico intellettuale, o il gioco di semi-svelamento dell'oscuro passato del padre del protagonista (Virsì poi si diverte anche a sottolinearlo facendolo dire direttamente a Tanino)... si insomma, siamo sempre li, non un grande film, ma una buona commedia alla Virzì.

domenica 17 aprile 2011

Tess - Roman Polanski (1979)

(Id.)

Visto in DVD. Tratto dall’omonimo libro di Hardy, il film racconta della vita della giovane Tess, una ragazzina di una famiglia povera che per colpa di una parola in più del prete (che saluta suo padre chiamandolo sir e dandogli l’illusione di avere parenti ricchi mai conosciuti prima) è costretta ad entrare nella casa di alcuni nobili, dove verrà sedotta, rimarrà incinta e fuggirà, in una continua rincorsa dell’amore e della vita libera, in un continuo guadagnare tanto, perdere tutto e ricominciare dal basso.

Il film è in linea con quelli in costume di Polanski, esteticamente impeccabile, perfetto nelle location, scenografie e costumi, ma stavolta è pure terribilmente realista nella messa in scena.

La storia di Tess è raccontanta alla perfezione, e la grandezza del regista si nota nel raccontare una storia tutto sommato non eccezionale in quasi 3 ore di film senza annoiare mai.

In aggiunta c’è da dire che il film lanciò la carriera della Kinski, che appare in tutta la sua bellezza.

sabato 16 aprile 2011

La farfalla sul mirino - Seijun Suzuki (1967)

(Koroshi no rakuin )

Visto i n DVD. Questa è l’opera più famosa di Suzuki, ma è anche quella che decretò il suo licenziamento dalla casa di produzione per cui lavorava a causa di una certa incomprensibilità delle sue storie…
Questo film a dirla tutta è abbastanza facile. Un killer viene assunto per uccidere un certo numero di persone, per un po va tutto secondo i piani, ma proprio quando deve eliminare il personaggio più importante una farfalla si poggia sul suo mirino impedendogli il colpo. Nessun killer può sbagliare senza che il datore di lavoro cerchi vendetta, e gli vien messo alle costole un suo collega.

Prima cosa, Suzuki è un maledetto genio della regia. Tutto il film è un susseguirsi di immagini costruite in maniera totalmente estetizzante, con campi e contro campi irreali, scenografie esagerate (basti pensare ai muri pieni di farfalle ad esempio), macchina da presa mobilissima (c’è una falsa soggettiva da urlo) e addirittura un restyling delle vecchie mascherine utilizzate per rappresentare la pioggia o per sottolineare un oggetto rendendo l’inquadratura più interessante (il ring nel finale). Si insomma, una regia originale, esteticamente impagabile e veramente innovativa…

Poi però la storia da ragione alla casa di produzione. Cioè si capisce bene quel che succede, ma sono troppe le cose inutili; i passaggi sterili; il finale che sfocia nell’idiozia completa (quando il killer fantasma decide di abitare con la sua vittima); o le parti pretestuose (come gran parte dell’inizio, anche se ha una sua utilità; ho il reiterato sniffa mento del riso bollito che non aiuta a costruire il personaggio ne a far avanzare la sotria). Complessivamente quindi, sembra che il regista abbia creato la storia solo per permettersi il lusso di costruire determinate inquadrature, assoggettando la sceneggiatura alla sola regia e non alla fruizione.

Esteticamente impagabile, ma non è obbligatorio reggerlo tutto in una volta.

PS: credo non sia un caso se l’omicidio attraverso il tubo di scarico del lavandino ci sia anche in Ghost Dog

venerdì 15 aprile 2011

Stati di allucinazione - Ken Russell (1980)

(Altered states)

Visto in DVD.
Uno scienziato esegue dei test sulla deprivazione sensoriale (si immerge in una vasca con soluzione salina a temperatura corporea, si copre orecchie ed occhi e aspetta che il cervello generi le visioni che vuole); dopo avere eseguito qualche prova su di se ed avere esperito le allucinazioni provocate da una droga messicana ha la malaugurata idea di unire le due cose. Si droga duro e si mette nella vasca… capirà a sue spese che gli stati alterati di coscienza sono solo delle altre realtà; non meno tangibili di quella in cui si vive tutti i giorni.

Film di Russell incredibilmente sobrio rispetto ai precedenti del regista. Il tocco kitch si vede solo nelle visioni, la prima delle quali (quella di stampo religioso) riesce addirittura bene, mentre a mano a mano che deve fare le cose sempre più pese ritorna alle origini e sfocia nell’eccesso/assurdo.

Il problema di Russell sta proprio qui; ha in mano un’idea buona, ma la svacca nel nonsense kitch, nel gore per fighetti radical chic, nel surreale per intellettuali presi male con le droghe. Il film infatti gode delle visioni del protagonista perché il resto della storia si affossa, con una certa celerità, nella noia. Il finale poi è una tangente verso la pippa mentale che fa più male alla trama che bene al comparto visivo.

Stranamente, nonostante tutto, il film fu un buon successo al botteghino.

giovedì 14 aprile 2011

L'uomo della pioggia - Francis Ford Coppola (1997)

(The rainmaker)

Visto in VHS.

Legal movie su commissione. Un giovane avvocatucolo, appena laureato entra nel fetido mondo dei legulei,e subito il suo idealismo sbatte contro la realtà… ma sono tutti così cattivi?

Per fortuna un’assicurazione fa la cattiva e il giovane idealista avrà di che sfamare la sua voglia di giustizia sociale.

Filmetto non voluto da Coppola, ma utilizzato per fare cassa… per carità, la storia, per quanto prevedibile, tiene bene, interessa e si fa seguire ed il film punta tutto sui sentimenti più bassi tanto che alla fine non si può non godere della vittoria del bene anche se lo si sa fin dall’inizio…

Un ottimo cast, non sfruttato a dovere, per un ottimo film da trasmettere in tv… ma Coppola è passato per il set solo per caso.

mercoledì 13 aprile 2011

La signora del venerdì - Howard Hawks (1940)

(His girl friday) Visto in DVD. Una giornalista (Russell), ex moglie del suo direttore, decide di mollare tutto per sposarsi con un assicuratore. Il suo ex capo ed ex marito (Grant, che devo ammettere è completamente in parte) farà di tutto per farla desistere; la convincerà in ogni modo (con soldi e ricatti) ad occuparsi di un ultimo articolo su un condannato a morte, farà arrestare più volte il futuro sposo, le rapirà la suocera! Tratto da una piece teatrale (la stessa del successivo “Prima pagina” di Wilder) il film è un quadro ironico su un mondo distrutto dal cinismo, dove tutti fanno qualunque cosa unicamente per interessi personali, o perché sono stupidi, e l’unica che si rende conto di questa cosa farà di tutto per andarsene solo per esserne risucchiata di nuovo. Detto ciò non si pensi che il film sia un dramma, è una commedia a tutti gli effetti, anzi è una delle commedie fondamentali del genere screwball comedy e si pregia del record per il dialogo più lungo e più rapido della storia del cinema, e questa rapidità pervade tutto il film. Battibecchi ben congegnati; gag ironiche più che comiche sulla fisicità dei personaggi (senza mai cadere nello slapstick) e una cura minuziosa nei personaggi di contorno che permette ai principali di sguazzare in un mondo tridimensionale e non in tra comprimari piatti. Hawks firma una regia dinamica il giusto per poter stare dietro alla trama, e ci riesce alla perfezione dall’inizio alla fine. Un film divertente e godibilissimo… anche se io sarò sempre dalla parte di Wilder. PS: il mio amico d’infanzia Wikipedia mi spiega l’assurdo titolo. Evidentemente i titolisti hanno cercato una traduzione letterale del titolo inglese ignorando il fatto che si tratta di un’espressione gergale per dire “ragazza di fiducia”.

martedì 12 aprile 2011

Scott Pilgrim vs. the World - Edgar Wright (2010)

(Id.) Visto in DVD. Dopo aver visto Hot Fuzz un produttore illuminato deve aver dato un pacco di soldi a Wright e deve avergli detto “Va, e cambia il mondo”; credo che sia nato così questo Scott Pilgrim Vs the world. Credo che il soggetto sia tratto da un fumetto, che comunque non conosco e probabilmente non leggerò mai (va, come sono sul pezzo); quindi tutto l’eccesso visuale può essere una diretta derivazione dell’originale… comunque son solo supposizioni. La storia di questo sfigatello di provincia (Toronto città) che si innamora di una ragazza e che deve scontrarsi con i suoi ex per poterla avere è di una piattezza impressionante. Ma è anche il dettaglio più insignificante. Il film è una commistione impensabile di estetica di fumetto sfacciatissima (split screen continui tratti dalle vignette; didascalie per l’orientamento temporale e addiritture i suoni degli oggetti scritti o rappresentati graficamente) mixata con il font di un videogioco piacchiaduro classico e con una sterzata verso l’anime giapponese nelle scene di lotta (il riferimento a Dragonball a tratti e palese). E tutto questo è continuo, inpregna completamente la fotografia di ogni scena tanto da superare diverse volte il livello accettabile di kitcheria; eppure riesce sempre ad essere sopportabile; forse perché Wright crea un mondo su quello schema base e non si limita ad applicare i cuoricini quandi i protagonisti si baciano ad una rappresentazione canonica della realtà. Poi ovviamente è divertente; e molto. Il ritmo serrato prosegue da dio fin dopo la metà (diciamo fino al quarto scontro), quando improvvisamente il meccanismo si usura, risulta ripetitivo, le battute si fanno rade e complessivamente il film perde colpo su colpo… un vero peccato. Complessivamente è il più grande tributo cinematografico ai comics ed ai videogiochi da bar, quasi perfetto e completamente eccessivo.

lunedì 11 aprile 2011

Luna di carta - Peter Bogdanovich (1973)

(Paper moon)

Visto in DVD.
Grande depressione, un giovane truffatore di bassa lega si trova fra capo e collo una bambina che forse è sua figlia (non verrà mai specificato); mentre cerca di disfarsene si rende conto che la bambina è decisamente più sveglia di lui…

Film magnifico. Forte di una sceneggiatura spumeggiante, fatta di battibecchi curati benissimo e psicologie perfette intesse una storia di sopravvivenza e rapporti umani senza mai scadere nel patetico. La trama regge in ogni punto senza mai noia, anzi stupendo continuamente.

La regia di Bogdanovich è ricercatissima, con panoramiche in mezzo alle macchine, continui carelli che sottolineano i campi medi, un uso delle luci estremamente buono ed un campo/controcampo particolare che mi piace molto; il tutto condito con una fotografia decisamente superiore alla media. Personalmente credo che a questo film avrebbe giovato il colore, ma un bianco e nero così ben realizzato dona fascino.

Infine il cast. Tutti sono in parte, bravissimi e perfetti. Ovviamente un encomio speciale per la giovanissima Tatum O’Neal (giustamente premio Oscar), che mangia in testa a tutti i Joel Osment di questo mondo quando con una sola espressione abbozzata da vita ad un sentimento complesso, quando recita misurata (o quasi) in ogni scena, considerando l’età che ha, strepitosa.

Una commedia d’altri tempi ottimamente realizzata sotto ogni punto di vista; non posso dirlo con certezza, ma quasi di sicuro il capolavoro di Bogdanovich.

domenica 10 aprile 2011

Behind the mask: la storia di un serial killer - Scott Glosserman (2006)

(Behind the mask: the rise of Leslie Vernon)

Visto in Dvx. Un aspirante serial killer si fa intervistare e seguire nella sua “attività” da una troupe studentesca. I retroscena, le motivazioni, gli esercizi e desideri di una particolare categoria sociale vengono messi a nudo.

Film post-Scream, che raggiunge ed eguaglia le ambizioni del capostipite in fatto di bignameria. Gli slasher americani con il maniaco assassino vengono messi a nudo e spiegati. Per carità, le spiegazioni sono sempre al limite dell’ironia e l’intento del film sembra più essere “se prendiamo per fati realmente accaduti le cose successe i Halloween allora cerchiamo di motivare le cose assurde”. Si insomma, cala nella realtà i film classici (nell'incipit, infatti, descrive le 3 grandi saghe horror come massacri avvenuti davvero); e allora ecco spiegato che il maniaco assassino deve sempre crearsi una storia di dolore e morte nel suo passato; ecco che si allena molte ore al giorno per riuscire a correre senza avere mai il fiatone; si mette una crema apposta che riduce il sanguinamento e indossa un giubbotto antiproiettile che evita la morte per arma da fuoco; mostra come fa a fingersi morto e i trucchi per essere sempre nel posto giusto al momento giusto.

Divertente e davvero ben pensato, con solo qualche caduta di stile (tutta la parafrasi sessuale del rapporto fra mostro e final girl appare parecchio forzata). Solo il finale perde forza: prevedibile, realizzato troppo rapidamente e completamente già mostrata in precedenza elimina ogni possibilità di creare tensione.

Un film originalissimo, ma limitato dalla stessa idea vincente. Nelle mani di qualcuno più esperto saebbe venuto fuori qualcosa di grandioso.

PS: ho già detto che recitano col culo?

PPS: comparsate meritevoli di Englund, Rubinstein, Wilson.

sabato 9 aprile 2011

Un giorno di ordinaria follia - Joel Schumacher (1993)

(Falling down)

Visto in DVD. Un uomo, vessato da una società spietata verso i derelitti e separato (legalmente dalla moglie, e fisicamente dalla figlia) arriva al punto di ebollizione, decide che non gliene frega niente di nessuno, gli interessa solo rivedere la figlia… peccato che lungo la strada incontri diverse persone poco cortesi, che scopriranno, a loro spese, che chi semina vento raccoglie tempesta… Si insomma Douglas ne ammazza più che può.

Per prima cosa questo è forse l’ultimo film in cui recita Michael Douglas… non perché sia morto i ritirato, ma semplicemente perché dopo ha smesso di recitare. Qui fa la parte del protagonista, un white collar allo stremo delle forze, incazzato e accaldato; e riesci a dargli tutta la credibilità, la rabbia e i sentimenti che il personaggio richiede nonostante una ridicola pettinatura anni ’90. Bravissimo Douglas.

Ovviamente anche il resto del cast regge, e Duvall è uno splendido contraltare di Douglas, misurato, gentile, accomodante in ogni scena, anche le più dinamiche, rende perfettamente tutta una psicologia con un solo sorriso di circostanza.

La regia è adattissima alla situazione, gioca con i piani sequenza e con il montaggio (su tutto si veda l’incipit assolutamente perfetto), lavora di fotografia, riuscendo a rendere un ambiente claustrofobico nonostante mostri un’intera città; trasforma il viaggio di un uomo attraverso Los Angeles in una traversata oceanica, senza mai stancare o indebolire la storia.

Infine il pezzo forte del film; la sceneggiatura. In primo luogo è un film in cui il protagonista è tecnicamente il cattivo (bravi). Poi bisogna anche ammettere che a conti fatti li nessuno è cattivo, ne il protagonista ne l’antagonista, pertanto ci si trova davanti ad un duello finale ancora più spietato, perché chiunque perda non merita la sconfitta (bravi). Eh già, perché il film parla proprio di sconfitti; di perdenti cronici che, ognuno a modo loro, si ribella alla propria situazione, chi in maniera aggraziata (Duvall, ma proprio per reazione a Douglas), chi invece in maniera scomposta e confusa (Douglas appunto), poi per lo più i perdenti tornano a perdere perché la società non permette di alzare la testa… ma qualcuno ce la fa lo stesso.

Un film di critica sociale come pochi, che si prende il gusto del politicamente scorretto (Douglas uccide/spaventa, all’inizio solo immigrati, sfottendoli per il loro stato, eppure lo fa sempre per un motivo; poi è vero che fa fuori il nazi, un po per ripulire il film dal razzismo, ma un po per chiarire la psicologia del personaggio, e solo alla fine se la prende con lo status quo), ma che risulta impeccabile a livello formale (il film è un perfetto trattato di sceneggiatura classica, a tratti dichiarato, come quando Douglas dice “sono arrivato al punto di non ritorno”) e che si prende la briga di suggerire tutto allo spettatore fin dall’inizio, ma con un tale garbo e un tale rispetto da far impallidire i gialli del genere; tutti gli elementi vengono mostrati e tornano di continuo (il coltello a farfalla, la pistola ad acqua, ecc…) senza mai bisogno di dichiarare quello che sta succedendo; si insomma tutto viene mostrato e nulla viene urlato in faccia. Una sceneggiatura da manuale.

Giusto il finale (con happy ending) può lasciare l’amaro in bocca, ma a conti fatti, non è una vittoria e una qualunque conclusione sarebbe risultata una sconfitta allo stesso modo, quindi la sceneggiatura si prende la briga di far finire il film nel modo più scontato per prendersi il lusso della scena finale con il riscatto di Duvall.

venerdì 8 aprile 2011

Il lungo viaggio verso la notte - Sidney Lumet (1962)

(Long day's journey into night)

Visto in VHS. Una famiglia di 4 persone deve fare i conti, giorno per giorno con i propri demoni; un padre spilorcio ed ex stella del teatro; una madre morfinomane; un primogenito dedito all’alcool e alle prostitute ed un figlio minore malato di tubercolosi.

Dramma famigliare teatrale che è pervaso completamente dalla teatralità. Se le opere di Tennessee Williams sono ottimi lavori per il teatro che si adattano pure al cinema, qui O’Neill non riesce nell’intento, e da un dramma teatrale ottiene un film teatrale. Ogni scena è eccessivamente verbosa, eccessivamente sopra le righe, drammatica, c’è sempre qualcuno che piange, che insulta in maniera pesante qualcun altro per poi scusarsi e tutto ricomincia come se niente fosse successo; la sceneggiatura è un tripudio di anti-naturalismo pieno di parole che colmano il vuoto.

Vero è che Lumet è riuscito nel miracolo di portare al cinema una piece non cinematografica come “La parola ai giurati”; ma qui ha un bel daffare a muovere carrelli impossibile, ad abusare del dolly per inseguire i personaggi anche nei movimenti minimi, ad inquadrare dal basso piuttosto che da una distanza impossibile… tutti sforzi sprecati, il film rimane incompleto, tutto teso a parlare piuttosto che mostrare.

Anche gli attori, tutti bravissimi (ovviamente eccellente la prova della Hepburn) senza nessuno sconto di lodi… ma devono recitare parti eccessive, lacrimose e macchiettisti che, il che li penalizza a priori.

Magari è un ottima piece teatrale; e certamente le forze in campo sono quelle del miglior cinema possibile… ma come film è di difficile sopportazione.

giovedì 7 aprile 2011

Colazione da Tiffany - Blake Edwards (1961)

(Breakfast at Tiffany's)

Visto in DVD. Un wannabe scrittore (Peppard, per quei due o tre che non lo sapessero è l’attore che ha interpretato l’immortale Hannibal) si trasferisce in un appartamento, la cui vicina di casa è una svampita Hepburn che vive in un mondo infantile, di sogni e illusioni. Sembra una persona tenera e vacua, ma si dimostrerà essere estremamente assennata, e dimostrerà come quel mondo zuccheroso le serva per proteggersi dal suo passato.

Una storia romantica alla Dharma e Greg, senza però che la Dharma in questione sia eccessiva ed irritante come quella del telefilm. Il film funziona perché crea un personaggi originale, sopra le righe, ma mai eccessivo, dolce e scostante in giuste dosi e perfettamente costruito sulla Hepburn. Funzionando quel personaggio tutto funziona, e poco conta se il libro originale (molto bello) viene del tutto violentato ed edulcorato, quello che il film vuole raggiungere lo ottiene con stile.

Una commedia romantica, tanto originale, piuttosto divertente ed assolutamente godibile. Unico neo, a mio avviso, è il personaggio di Yunioshi, talmente costruito su luoghi comuni idioti da essere terribilmente irritante.

mercoledì 6 aprile 2011

Susanna - Howard Hawks (1938)

(Bringing up baby)

Visto in DVD.
Un azzimato archeologo incontrerà una ragazza piuttosto matta che lo invischierà in una serie infinita di guai… e tutto per via di un leopardo.
Classica commedia degli equivoci che punta tutto sull’eccesso. Lui è fin troppo tonto, lei fin troppo svampita, le gag fin troppo sopra le righe e soprattutto durano troppo, ben oltre la sospensione dell’incredulità. Un film comico piuttosto terra terra, eccessivo ed inutile.

Buona l’interpretazione di una giovane e sorprendente Katharine Hepburn, ma da sola non basta a salvare un intero film.

Hawks (anche sceneggiatore… non accreditato, ma pare che lui se li scrivesse sempre i suoi film) non è Lubitsch, e neppure Wilder… e si vede.

PS: è in questo film che vede la luce la cartoonistica scena del crollo dello scheletro di dinosauro dopo anni di lavoro.

martedì 5 aprile 2011

Attenzione alla puttana santa - Rainer Werner Fassbinder (1971)

(Warnung vor einer heiligen nutte )

Visto in DVD. Film meta cinematografico su una troupe che deve girare un film. Il cast è fatto da registi e attori amici di Fassbinder, tra cui la von Trotta e il grande maestro della serie B più puerile, il mitico Ulli Lommel (che fa, giustamente lo sfigato).

La prima cosa che ho notato è il tono con cui viene trattato l’argomento. Per Fassbinder il cinema è un problema, una fonte d’ansia, un insieme di personalità che si scontrano, si uniscono, si lasciano freddamente e che cercano (nella migliore delle ipotesi) di fare il loro lavoro nonostante tutto e tutti remino contro. Si insomma, Fassbinder guarda al fare cinema con sguardo dissacratorio e spesso ironico, ma anche sofferente; ben lontano dalla visione Truffautiana di “Effetto notte” in cui il cinema è visto in maniera idilliaca, o ancora alla visione americana in cui l’arte cinematografica è un mondo ironico e piccolo piccolo, ma assolutamente non sofferto come alla maniera del regista tedesco.

Detto ciò il film è molto più contenuto a livello di regia, meno idee diverse, ma molti carrelli continui che identificano perfettamente gli spazi interni e la posizione dei vari personaggi fra di loro. Il problema è sempre lo stesso, la sceneggiatura intellettuale e pretenziosa (anche se all’inizio si gingilla tanto nell’ironia/autoironia delle sceneggiature intellettuali e pretenziose) che sfocia, a mio avviso, in maniera eccessiva nel cazzeggio mentale. Inconcludente, piuttosto noioso e con scene completamente disgiunte le une dalle altre.

lunedì 4 aprile 2011

L'ultimo spettacolo - Peter Bogdanovich (1971)

(The last picture show)

Visto in DVD. La storia di un gruppo di ragazzotti di un paesino del Texas pesantemente del sud, dalla spensierata giovinezza all’età della responsabilità, ma il tutto nel giro di un solo anno.

Agli americani piace la perdita dell’innocenza e dell’ingenuità; in questo caso il tutto va di pari passo con la scoperta della sessualità. Si insomma, una sorta di “American graffiti”, ma condito col sesso.

La regia è quella dinamica e cinefila di Bogdanovich, che qui però si limita il più possibile ed evita gli sproloqui dei carrelli (e mi piacevano pure) che c’erano nel suo primo film, il che rende questa seconda opera più asciutta, meno pasticciata e più in linea con la storia di periferia. Bellissima la fotografia in bianco e nero con alcune luci da brivido. Infine un elogia a praticamente tutto il cast, su tutti però spicca il giovanissimo Jeff Bridges, non bravo, ma fondamentale a creare la psicologia di un personaggio con la sola camminata.

Ora il lato negativo; la sceneggiatura. Per quanto potesse risultare a tratti idiota, “American graffiti” aveva un andamento della trama inappuntabile. Qui invece gli eventi sembrano susseguirsi senza troppa attenzione, senza una regolazione da parte dello sceneggiatore e la storia è descritta in maniera lenta e quietamente noiosa… oddio alla noia vera e propria non si arriva mai, ma il ritmo è troppo dilatato perché rimanga legato alla storia nel suo insieme piuttosto che alla scena che sto guardando. Il che riduce il film ad un ottimo esercizio di stile, ma senza particolare interesse.

domenica 3 aprile 2011

Notte senza fine - Raoul Walsh (1947)

(Pursued)

Visto in VHS. Il western psicologico sarà anche una prerogativa post ‘70s, ma è nato negli anni ‘40. Si perché in questo film abbiamo un Robert Mitchum ossessionato da visioni che in realtà sono ricordi e da un incubo ricorrente, di stivali con speroni che gli vanno addosso. E qui si inserisce la storia del baby Mitchum raccolto da una donna ed allevato assieme ai suoi due figli come uno della famiglia, peccato che il fratellastro non la pensi così (e da grande farà di tutto per eliminarlo) e la sorella fraintenda l’affetto fraterno e si getti in una storia d’amore che rasenta l’incestuoso. Nel frattempo, mentre la famigliola si arrabatta come può il destino incombe, il destino nelle vesti un uomo con un braccio solo che conosce la matrigna di Mitchum e che fa di tutto con ogni mezzo (illegale o legale che sia) per farlo fuori; lui per difendersi si troverà costretto ad uccidere molta gente, soprattutto chi gira intorno alla sorellastra in un vortice di violenza verso chi ama che sembra inarrestabile. Colpo di scena finale (non proprio imprevedibile) che sistema le cose e fa finire bene tutto quel che può.

Al di la del fatto che sia un western psicologico e al di la del fatto che Mitchum appare inespressivo più del solito (se è possibile) c’è da dire che questo è un noir. Si per carità sono tutti cowboy e siamo nel profondo sud, ma la storia, le dinamiche, l’amore e la morte, il gioco del destino ed il vortice di colpa che ingloba Mitchum, il ritorno di un passato mai morto e mai compreso, sono tutti elementi noirissimi. Siamo davanti ad un noir con ambientazione western. Non sorprende quindi che i momenti esteticamente migliori siano le scene in notturne, dove le luci e le ombre vengono usate al meglio. Anche se tutta la fotografia è adattisima all’atmosfera gloomy.

Un film particolare, da riscoprire.

sabato 2 aprile 2011

Alice nelle città - Wim Wenders (1974)

(Alice in den städten)

Visto in VHS, in originale con sottotitoli in italiano.
Un tedesco, di ritorno dagli USA nei quali ha fatto il wannabe fotografo si ritrova tra capo e collo una ragazzina (la Alice del titolo) perché la madre scompare prima ancora di prendere il volo di ritorno. Comincia quindi un mini film on the road alla ricerca della nonna della ragazzina (proprio stupida comunque; non ricorda in che città abita, non ricorda il cognome e neppure il nome di sua nonna!).

Un viaggio attraverso una Germania che cambia e ormai cambiata (siamo negli anni ’70, sono passati più di 20 anni dalla seconda guerra mondiale e i tedeschi cominciano a volersi scrollare di dosso il senso di colpa storico) effettuato da un giovane artista, osservatore del suo tempo (era stato pagato per scrivere un libro di viaggio attraverso gli USA e invece ne scrive uno sulla Germania, e anziché prendere annotazioni preferisce fare foto di ciò che incontra) che accompagna una bambina, rappresentate del futuro e dell’innocenza nello stesso tempo… un film dalle belle speranze ma affossato in maniera drammatica da una sceneggiatura dilatata a dismisura che affoga nella noia e nel nulla tutto ciò che di buono ci può essere. Peccato, perché i dialoghi non brillanti sarebbero perdonabili in un film dai ritmi azzeccati, ma qui proprio non ci siamo.

venerdì 1 aprile 2011

La bambola di carne - Ernst Lubitsch (1919)

(Die puppe)

Visto in VHS.
Un inventore crea una bambola con meccanismo che imita in tutto e per tutto una donna, e la costruisce con le fattezze della figlia; un giovane ereditiere, costretto a sposarsi dal futuro de cuius, che evita le donna come la peste lo viene a sapere (curioso come la ginofobia, presente anche in “Robin Hood”, sembri essere una costante degli anni ’20), vuoi vedere che riesco a fregare tutti, sposo una bambola, piglio i soldi e scappo… Peccato che per un contrattempo la bambola si rompa e per non perdere l’affare la figlia si sostituisca ad essa…

Film pretesto per un’apoteosi degli effetti speciali che cominciano nell’incipit, dove un uomo tira fuori da una scatola una casa di bambole con praticello e cielo allegato, e quella diventa la scenografia della prima scena. Il film non è granché, ma è tutta questa costruzione naif, di film ambientato in un mondo di giocattoli che affascina (c’è pure un cavallo realizzato con due uomini travestiti). Carino come precorra i tempi (Gondry non può non conoscerlo) e come si goda nel raccontare una storia di una donna che finge di essere una bambola, ma la donna in questione è interpretata proprio da una bambola tirata fuori dalla scatola ad inizio film.

E poi dura solo 45 minuti…