lunedì 28 ottobre 2019

Coco - Lee Unkrich, Adrian Molina (2017)

(Id.)

Visto in tv.

La storia di un ragazzino che vuole inseguire la sua passione (fare il mariachi) in una famiglia in cui la musica è stata bandita per un trauma subito dalla trisavola. Per cercare di partecipare a un contest durante il giorno dei morti, il ragazzo, ruberà la chitarra al suo eroe (un mariachi e attore anni '40 ormai defunto)... ma rubare il giorno dei morti a un morto ti fa andare nell'aldilà e lì dovrà farsi aiutare dalla porzione defunta della famiglia che però osteggia in blocco il cantautorato.

Questo film Pixar è il più grande contributo (e omaggio) alla Disney classica, con un protagonista indipendente che si ribella alla famiglia castrante per inseguire i suoi sogni; niente di più lineare e antico.
La Pixar però non è posto per luoghi comuni e ci mette del suo. Il passaggio nell'oltretomba mette in mezzo un mondo timburtiano che introduce la morte in cartone animato per bambini e lo fa con gaiezza e colori lisergici per poi toccare la morte vera (anche qui, come in "Inside out" la morte vera è legata alla memoria e all'oblio) che può far "morire" i defunti (con un'idea che aumenta i passaggi, ma porta al medesimo risultato).
In questo mondo affascinante e perturbante si muovono le avventure del ragazzo che prendono spunto dai classici per arrivare al cinema orientale miyazakiano (come già diverse opere del passato della Pixar) dove non esiste un antagonista (ok, verso la fine ci sarà un villain, ma durerà poco).
Lo scioglimento e il raggiungimento dello scopo saranno un pco scontati e con alcune delle sequenze "d'azione" più tristi della casa di produzione di Lasseter (che ci ha abituati a molto di più), ma il vero terreno di gioco del film è tutto sulle emozioni, con alcuni momenti strappalacrime sbattuti in faccia con violenza.
Visivamente impeccabile e con una fotografia tra le migliori che ricordi.

venerdì 25 ottobre 2019

Joker - Todd Phillips (2019)

(Id.)

Visto al cinema.

Sgombriamo ogni dubbio, per me "Joker" è un buon film. Manca di grazia, di delicatezza, si gingilla con una grossolana superficialità in più punti (la pistola regalata, l'inizio dell'inseguimento della polizia, l'entrata nel teatro o la scena con il giovane Bruce, ecc...); difetti che non permetto al film di essere il capolavoro che vorrebbe essere (insieme al finale piuttosto frettoloso con la scena in tv più patetica ed esplicita di quanto avrebbe dovuto). Conta poco il confronto con i giganti del passato ("Taxi driver" e "Re per una notte" li hanno nominati tutti, ma sono effettivamente riconoscibili in ogni scena, il secondo anche più del primo) che "Joker" non può che perdere, i suoi difetti sono tali anche se preso da solo; ma è un buon film.

Indubbiamente il film vince tutto grazie a Phoenix, si mangia ogni scena, rende credibile ogni possibile ridicolaggine, riesce a rendere in maniera perfetta follia e sofferenza, riesce a ridere con il volto e piangere con gli occhi nelo stesso momento. Enorme.

Ma al di là della migliore scelta di cast possibile (su cui ho avuto dubbi fin dai primi rumors) è il film nel suo complesso a risultare credibile. La Gotham city/New York anni 70-80 è ricostruita in maniera eccellente, credibile e angosciante ad ogni inquadratura, fotografata in maniera splendida con la dominante marrone costante; il mood del film è evidente in ogni scena solo grazie all'estetica.
Phillips si dimostra intelligente nell'assecondare Phoenix con inuqadrature ravvicinate o a figura intera in base alla performance e riesce a prendersi la briga di giocare con il fuori fuoco per aumentare l'isolamento o nascondere (o mostrare) il resto del mondo dove necessario. Phillips è anche abbastanza astuto da cercare l'immagine potente ad ogni inquadratura; il film infatti, cede sulla trama mentre vince ad ogni scena con un eccesso di immagini pronte ad essere trasformate in icone pop.

La polemica sull'utilizzo commerciale del brand DC che però non si avvicina agli originali, non entra nel continuum o altre questioni simili, mi pare pretestuoso. La storia si sarebbe retta anche senza citare il Joker (anche se avrebbe avuto meno visibilità e riconoscimenti); mentre l'utilizzo di Gotham come ambiente dimostra la duttilità del mondo di Batman che si adatta a diversi tipi dir acconto, si presta a connessioni con l'attualità che la Marvel ancora sogna (in realtà credo che alla Marvel, giustamente, non freghi nulla) e riesce a costruire discorsi fra individuo e società e sul rapporto con la città che imbruttisce che vanno al di là del fumetto originale; in una parola, questo mondo si dimostra il più vitale del mondo cinecomics.

lunedì 21 ottobre 2019

Quella strana ragazza che abita in fondo al viale - Nicolas Gessner (1976)

(The little girl who lives down the lane)

Visto in Dvx.

Una tredicenne, rimasta orfana, vive da sola fingendo che il padre sia ancora vivo; dovrà vedersela con un uomo con la insidia, la madre di lui che è la proprietaria di casa, un poliziotto benintenzionato che vorrebbe parlare a suo padre e un ragazzo innamorato.

Thriller dall'andamento teatrale (quasi tutto in una stanza) e dalla trama particolare che si tiene in piede con grande capacità nonostante il numero limitato di personaggi.
Siamo davanti a thriller che, a dire ilv ero, ha poca tensione, ma interessa e si sa rendere accattivante; il vero difetto è l'ultima mezzora, quando da un film inverosimile, ma molto credibile cominciano a essere messe in mezzo dettagli implausibili (la mascherata...) e lo showdown finale, sicuramente ben gestito, ma piuttosto insipido che rende l'intera opera come un'operazione ruffiana basata su una buona idea, ma senza una direzione vera e propria.
Sicurmanete apprezzabile, ma il finale lascia un pò di diaspiacere per quello che avrebbe potutto essere.

Da sottolineare che l'intero film è realmente appoggiato sulla adolescenti spalle di una incredibile Jodie Foster; la recitaizone non è impeccabile, ma riesce assolutazione a tenere testa a tutti (anche al viscido Sheen) e porta a casa un risultato più che dignitoso.

venerdì 18 ottobre 2019

Smetto quando voglio: Masterclass - Sydney Sibilia (2017)

(Id.)

Visto in Tv.

Al secondo capitolo della saga dei ricercatori precari Sibilia riprende tutti gli elementi del primo film e li riutilizza. Fotografia acida con doppia dominante, uso pazzesco delle location romane meno scontate possibile (che riescono quindi a creare un'altra città rispetto a quella da cartolina a cui ci siamo abituati), ottima colonna sonora (invasiva, ma contenuta) e gag che si appoggiano totalmente sulla fisicità e sulla recitazione degli attori (in questo secondo film risalta soprattutto Edoardo Leo, capace di dare senso e tempo comico con i gesti più che con le parole).

Quello che cambia però è il ritmo. Il film vira dalla commedia classica alla action comedy. Con un gusto per le scene d'azione dinamiche e divertenti nel contempo (e che riescono, anche se in minima parte, a portare avanti la trama mentre avvengono) che sembra essere preso da De la Iglesia (a mio avviso, il migliore in questo campo) non avendo un paragone possibile in Italia. L'effetto è eccitante e stupefacente; si prenda anche soltanto l'attacco al treno; fa godere di alcuni dei momenti più divertenti del film, mantiene le caratteristiche di ogni singolo personaggio, porta avanti la trama (si scopre chi è a creare la nuova droga sintetica) e realizza il primo (?) stand off sul tetto del treno del cinema italiano (contemporaneo) a cui si arriva con angoli d'inquadratura particolari e senza mai rallentare il ritmo.
L'altra grande capacità del film è quella di avere un cast ancora più numeroso e riuscire a dare caratteristiche tridimensionali a quasi tutti i coprotagonisti e a farle mantenere durante lo svolgimento delle varie sequenze; nessuno agisce per riempire un vuoto, in maniera banale, ma tutti si muovono come farebbe il loro personaggio in quella situazione.

Il film riconferma una galleria di antieroi buffi e sfigati che sembrano sempre riuscire rovinandosi nel finale dando, di fatto, continuità (ma molto attualizzata) alla commedia all'italiana. Qualche differenza ovviamente c'è, ma è una modifica secondaria.

lunedì 14 ottobre 2019

Nell'erba alta - Vincenzo Natali (2019)

(In the tall grass)

Visto in tv.

Da un racconto di King, Natali costruisce il suo nuovo "The cube". Premesse ottime. Se King ha scritto troppo per essere sinonimo di qualità a priori, Natali è un pò il nostro compagno di viaggio allucinato sin dall'adolescenza (se si è millenials); non ci si può non buttare a pesce.
Citare "The cube" per questo film, per una volta, non è a sproposito; il film parla di erba assassina (no, diversa da questa) che attira le vittime dentro di sé, le sposta nello spazio e nel tempo, le conduce ad una roccia che le fa andare fuori di testa. Ok la sinossi non rivela il paragone, ma di fatto si tratta di un gruppo di persone, fra loro sconosciute (di fatto due famiglie) che si perdono in un labirinto verde in cui non sanno cosa sta accadendo e non hanno idea di come uscirne.

L'idea iniziale (il romanzo) è strutturata e chiara, ma il come condurla lo è meno, il come farlo è un concetto totalmente assente. Natali si perde in assurde ripetizioni, deve incollare un finale posticcio positivo che rende ancora più incongruo l'ordine e il significato degli eventi e rimane sul vago e sul suggerito (male) per tutta la vicenda non riuscendo mai a essere chiaro (e non volendo, per fortuna, spiegare tutto a voce). Il tutto si riduce a un film dalla sceneggiatura caotica e scritta malissimo e da una regia interessante all'inizio che si perde nel labirinto che si sta creando.

Trovo poi piuttosto fastidiosa questa fotografia linda pulita anche in rpesenza di terra e fango e queste notti americani malfatte degne di film di serie B o di molte porduzioni Netflix, già con il colpo d'occhio si riesce a intuire la fregatura.

PS: inguardabile il cast, però si vede sorridere Patrick Wilson, non ricordavo ne fosse capace.

venerdì 11 ottobre 2019

C'era un volta a... Hollywood - Quesntin Tarantino (2019)

(Once upon a time... in Hollywood)

Visto al cinema.

Finalmente un film di Tarantino che mi ha soddisfatto completamente, è un'esperienza che non mi capitava dai tempi di "Bastardi senza gloria".
Tarantino, al suo eternamente ultimo film, abbandona gli obblighi contrattuali legati alle aspettative che ha creato in 25 anni di carriera. Basta violenza efferata e stilizzata (c'è in realtà, ma nel solo quarto d'ora finale), basta lunghi ed elaborati dialoghi fatti di cesello (si parla moltissimo nel film, ma senza gli eccessi parossistici e manieristici dei film precedenti) mettendo un'intera serie di scene in mano  aun personaggio (quello di Sharon tate) quasi senza battute (!).
Tarantino si libera di sé stesso e nella storia dei due giorni (più uno) di vita dei suoi due coprotagonisti (un attore della tv che non riesce a sfondare al cinema e deve ripiegare sulle parti da cattivo... sempre in tv) più uno (la Tate di cui sopra) in realtà parla dell'unico argomento che lo interessi: il cinema.
Nel suo film più nostalgico (le musiche e o i poster cinematografici pervasivi sembrano utili più a ricordare che a creare un ambiente) tarantino abbandona il citazionismo spinto (che pure c'è, ma si nota molto meno) per dedicarsi a descrivere quanto è bello fare, mostrare  o guardare film. l'intera filiera cinematografica è rappresentata ed è esaltata ed esaltante: i produttori sono entusiasti, le costumiste capiscono al volo le fantasie dei registi che a loro volta sono pieni di energie nonostante i lavori di bassa lega, gli stuntman soddisfatti, e giù nella catena alimentare dell'industria dei sogni fino alla cassiera del cinema e alla maschera. Naturalmente non ci si dimentica degli spettatori nella scena che racchiude l'intero film con Sharon Tate al cinema a vedere il suo ultimo film, estasiata e soddisfatta di sé che ascolta con commozione i feedback positivi del pubblico; non ci sono parole, ma lì c'è tutto quello che questo film vuol trasmettere.
Un inno al cinema che solo Tarantino poteva fare in questo modo e che. per fortuna gli riesce benissimo (ovviamente c'è molto della Hollywood di quegli anni che viene mostrato, ricostruito o nominato, ma va di diritto nel progetto nostalgia che rende bene, ma che non è immediatamente fruibile e neppure fondamentale).

Preponderante, soprattutto nel finale, anche i collegamenti con la cronaca con le vicende dei due co-protagonisti che si intrecciano involontariamente con la famiglia di Charles Manson.
Perché l'idea di mettere l'eccidio di Cielo Drive nel film può avere molti scopi (elemento catartico per come è stata realizzata, semplice setting temporale, giustificare la presenza della Tate ecc...), ma, personalmente, ho trovato geniale la gestione dell'affair Manson. Sfruttato per creare una splendida scena thriller (quella nel ranch) e utile per mostrare che nella città dell'industria dei sogni tutto è legato al cinema, anche la famiglia risiede in un set abbandonato e cercherà di uccidere attori e stuntman.
E DA QUI SPOILER. Sopra a ogni altra cosa però c'è il gioco con le aspettative dello spettatore. per tutto il film Tarantino ti fa affezionare al dolcissimo personaggio della Tate mentre ti mostra come il male si sta sviluppando appena fuori città e (per chi sa come andarono le cose) è ovvio pensare a co me finirà il film. Tarantino però modifica (di nuovo) la storia è lascia incolume la tate e il finale riesce ad avere uno dei scioglimenti più emotivi e (inaspettatamente) dolci che potesse avere, perfettamente in linea con il tono positivo del resto del film e senza negarsi un minimo di simbolismo. Il tutto giocando con quanto si sa e con quanto ci si aspetta stravolgendo il tutto riuscendo quindi a colpire molto più in profondità.

PS: e non ho parlato del solito cast di stelle e comprimari magnifici, quasi tutti in parte e ben utilizzati (giusto Pacino mi è sembrato svalutato) con un DiCaprio eccezionale (davvero si mangia ogni scena in cui compare), un Pitt perfettamente in parte e una Robbie con gli occhi costantemente luminosi.

lunedì 7 ottobre 2019

Alien - Ridley Scott (1979)

(Id.)

Visto in DVD.

Nel 1979 Ridley Scott deicde di girare un film di fantascienza. Non ha mai girato un film di questo genere, anzi, fatto salvo un film in costume ("I duellanti") non ha mai girato un film.
Scott si approccia la genere in maniera particolare... lo ignora quasi integralmente. Prende a mani basse gli stilemi dell'horror e del thriller e crea un via nuova (stessa cosa che farà subito dopo con "Blade runner" unendo la fantascienza con il noir). L'effetto finale è potentissimo.

Scott mette un gruppo di persone in un luogo isolato, come nel più classico slasher, e vi fa penetrare il perturbante (che qui prende le forme di uno xenomorfo anziché di un uomo con la maschera); fa spezzare il gruppo, organizzare difese e contrattacchi e li farà morire tutti a uno a uno in una gestione della tensione esemplare che non si esaurirà con la fuga finale della scream queen, ma andrà ancora oltre.
Ovviamente il film non è tutto qua o ce lo ricorderemmo come quel film tipo Carpenter ambientato nello spazio.
Scott organizza i suoi personaggi e li rende il più possibile tridimensionali con poche, oculate, cadute nel macchiettistico e crea una protagonista che definirla scream queen è quasi un insulto (chiedo scusa per averlo fatto poco fa); è un'eroina dura e rocciosissima, determinata e pronta a tutto, qualcosa di così vicino alla disperazione apatica e spietata (sempre sangue di xenomorfo) da essere stata avvicinata solo da Furiosa in tempi recenti. Il fatto di non aver giocato al ribasso nel cast è il valore aggiunto decisivo: la Weaver alla sua prima apparizione importante è stata una scommessa vinta, Hurt la botta di fortuna utilizzata per il minutaggio minore, ma nella parte decisiva; il resto sono tutti attori di peso che vanno dalla qualità assoluta (Holm) alla caratterizzazione di gran classe (Stanton). Pretendere di più sarebbe stato impossibile.
Scott però non si limita al cast e lavora d'immagini (come farà di nuovo in "Blade runner"). Butta a mare 25 anni di fantascienza pulita con navi spaziali bianche e luminose e pianeti grigi e polverosi e trasforma l'ambiente in un incubo. Tutto diventa nero, organico e umido, i (pochi) punti luce servono solo a creare squarci insignificanti fra le tenebre o a creare icone che diverranno il canone da '79 in poi (il tavolo illuminato dall'interno). L'ambiente molla la fantascienza classica per creare un linguaggio nuovo che diventerà la base anche dell'horror contemporaneo.

Infine la creatura; difficile dire qualcosa sul colpo di genio di Giger, sulla commistione biologica e inorganica, sul costante gocciolio e sulle allegorie parasessuali, il tutto unito in un mostro che mette i brividi ancora adesso.

Il termine seminale è abusato, ma in questo caso, come poche altre volte, può essere usato con assoluta tranquillità, per un film che a distanza di 40 anni(!) non ha ancora perso un colpo.

venerdì 4 ottobre 2019

Cattivi vicini - Nicholas Stoller (2014)

(Neighbors)

Visto in Dvx.

Una coppia con un bambino appena nato deve riassettare il suo stile di vita e le sue aspettative; abituati alle feste, alla libertà universitaria e alla volontà di divertimento ad ogni costo. La bambina però li costringe alla borghesia, mentre la vicinanza forzata con una confraternita universitaria, li tenta, ma li costringe a odiare quello stile di vita che vorrebbero.
Ok, raccontato così sembra un dramma familiare strappalacrime, invece è un film comico caciarone nello stile Apatow, lo stile diretto ed eccessivo, così come una certa idiozia di fondo nei personaggi e nelle gag deve piacere, altrimenti ci si annoia senza possibilità di intrattenimento. Ma il punto focale del film sta proprio nella trama.
Sul canovaccio più trito di due vicini di casa che si fanno la guerra per idiosincrasia si innesta un motivo decisamente più raffinato. I tre protagonisti (marito e moglie e presidente della confraternita) si odiano non per incompatibilità, ma perché i primi due non riescono a scendere a patti con l'impossibilità di far parte del secondo gruppo; i due genitori sono in tutti e per tutto uguali ai membri della confraternita, ma l'onere di una figlia li costringe alla repressione.

Lo stile del film sfrutta a piene mani l'idea di divertimento a oltranza (con l'immaginario visivo televisivo mutuato dalla Mtv che ha abbandonato la musica) idealizzato in "Project X" e demonizzato in "Springbreakers".