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mercoledì 13 gennaio 2021

Devil - John Erick Dowdle (2010)

 (Id.)

Visto su Netflix.


Quattro persone si trovano intrappolate in un ascensore, ci sarebbe solo da aspettare i soccorsi se non ci fosse... il diavolo (lo spoiler alert erad aisnerire nel titolo).

Scritto da Shyamalan, ma diretto da un semi parvenu fattosi notare per il remake identico all'originale di REC. Ecco qui è subito partito il mio razzismo. Shyamalan è, a mio avviso, un ottimo regista, ma uno sceneggiatore mediocre a tratti insopportabile. La sua scrittura è stata parte fondamentale del suo oblio negli ultimi anni prima della quasi rinascita con la Blumhose.

Considerando il mio pregiudizio è un film che scorre bene, intrattiene bene e incuriosisce abbastanza da far arrivare alla fine pur rimanendo all'interno di un ascensore per almeno metà del minutaggio. Operazione comunque rischiosa.

Il problema è che a parte una godibili superficiale non c'è nient'altro. Potrebbe essere un horror (vorrebbe esserlo), ma non inquieta mai, potrebbe essere un thriller (forse vorrebbe esserlo), ma non da mai suspense. Se entrambi questi difetti sono sicuramente da imputare (anche) alla regia insipida, la sceneggiatura non è una buona base; non graffia mai con la cattiveria che sbandiera (i cattivi tutti chiusi insieme non sono mai davvero cattivi), chiude con un finale buonista, ma soprattutto raggiunge vette di ridicolo che smorzerebbero qualunque film (lo spiegane fatto dal personaggio esotico che scopre e dimostra la presenza del maligno con il fatto che il pane cade sempre dalla parte imburrata!!!).

Come si diceva un film che incuriosisce e che si fa finire volentieri, ma niente di più.

giovedì 2 luglio 2020

Gli amori immaginari - Xavier Dolan (2010)

(Les amour imaginaires)

Visto su Amazon prima.

Una coppia di amici (un ragazzo e una ragazza... che sembra parecchio può agée, ma è solo un'impressione) si innamorano dello stesso ragazzo appena conosciuto. Entrambi negheranno l'evidenza con l'altro, ma cominceranno tentativi di flirt forse ricambiati, più spesso fraintesi dal ragazzo e, nel contempo, inizieranno una guerra fredda l'uno con l'altra per il raggiungimento del rapporto.

Il secondo film di Dolan è una prova su tutt'altro registro rispetto al precedente "J'ai tué ma mère"; si porta verso una smaccata commedia (romantica).
Prendendosi molto in giro (anche qui interpreta il coprotagonista e non cerca di far splendere il suo personaggio rispetto agli altri) dirige con mano pesantissima una storia che riesce a far rimanere leggera. 
Dietro la macchina da presa fa di tutto, dalla camera a mano, ai carrelli al ralenti che seguono i protagonisti (che ho letto in giro essere paragonati, con un certo eccesso, a Wong Kar Wai), dalla fotografia con colori sgargianti alle scene notturno con i colori fluo.
Davanti ala macchina da presa la storia, semplicissima, quasi banale e potenzialmente troppo breve per un lungometraggio, scorre piacevolmente, divertendo e intrattenendo bene, si lascia alle spalle una certa legnosità dei personaggi (soprattutto la protagonista femminile sembra più superficiale,e più abbozzata e piatta rispetto agli altri) per farsi catturare dal ritmo della vicenda, tutto realizzato con l regia.
Un ottimo film, lontano dalla potenza dell'opera prima, ma assolutamente efficace.

venerdì 10 maggio 2019

127 ore - Danny Boyle (2010)

(127 hours)

Visto in aereo, in lingua originale.

Un ragazzo californiano parte per un weekend di canyoning (trekking + scalate all'interno dei canyon) in solitaria. Nella sua escursione finirà vittima di un incidente e un braccio rimarrà incastrato tra una parete e un masso. Passeranno (guaess what) 127 prima che arrivi all'estrema soluzione di tagliarsi il braccio.

Danny Boyle, fresco dell'Oscar per "The millionaire" fa l'unica cosa sensata per un regista, skippa le offerte più ghiotte (tipo un favoleggiamento circa la regia di 007) e si getta a capofitto in un progetto personalissimo, sulla carta infilmabile e dalle scarse possibilità di finanziamento in altri momenti della carriera.

L'esperimento è interessante, un film realizzato quasi con un attore solo con lunghissime sequenza in unità totale di luogo con pochissima azione.
L'esperimento è titanico e Boyle sembra l'unico a potervi riuscire.
Per prima cosa si a James Franco, attore che si getta in una recitazione fisica encomiabile che riesce a affezionare a un personaggio costantemente in scena facendo di tutto.
In secondo luogo fa di tutto, letteralmente di tutto, per rendere dinamico un film statico, gioca con le inquadrature, con i punti di vista, con i movimenti di macchina, con i giochi di montaggio, con le musiche e con i continui cambi di distanza delle inquadrature. Lo sforzo è enorme, con grandissimi picchi e qualità, con momenti di puro godimento, vera e propria pornografia registica dentro una fotografia carichissima e sequenze oniriche continue. E per una buona metà il piano regge bene, ma nella seconda parte in cui la trama esile scompare e il film vira verso i sogni e le allucinazioni per aumentare il minutaggio; la storia si sfalda del tutto e l'opera viene schiacciata dal comparto visivo ormai allo stato brado.
Esperimento interessante, fallito, ma con stile.

lunedì 18 marzo 2019

Basilicata coast to coast - Rocco Papaleo (2010)

(Id.)

Visto in DVD.

Un gruppo musicale decide di partecipare a un a un festival dalla parte opposta della Basilicata. Per raggiungere la cittadina (di cui non ricordo il nome) intendono attraversare la regione a piedi. Alle loro calcagna viene messa una, poco interessata giornalista.

Più che un film è uno spot pubblicitario; un film manifesto della proloco Lucania dove vengono messi in mezzo squarci dei paesaggi locali, i paesini meno battuti, riferimenti culturali letterari e pure evidenti pubblicità ai vini della zona. Una pubblicità però non con intenzioni puramente turistiche, ma con l'intento di dare spazio a una zona semplicemente sconosciuta ai più; è evidente che Papaleo ama quella terra e vorrebbe solo che fosse più famosa. L'intento e il piglio con cui viene fatta questa operazione riesce a rendere digeribile e scorrevole un progetto che sulla carta poteva solo essere ruffiano.

La regia è agile, si muove con adeguata cura, sceglie location decisamente buone (e per forza, per fare marketing...) e inonda tutto con una splendida luce. Senza eccessi, riesce a portare a casa il proprio lavoro ben fatto.

Il ritmo è sempre mantenuto e spesso il divertimento è centrato. Con tutti questi pregi sembra un film perfetto (addirittura la Mezzogiorno riesce a non essermi indigesta!). Eppure qualcosa che non va lo si trova. Dalla seconda metà il film si perde; la commedia opportunista, ma anarchica dell'inizio lascia il posto ai buoni sentimenti e a una serie di conclusioni stucchevoli. La storia di per sé debole lascia spazio all'ovvietà e le buone idee iniziali (il leitmotiv della musica con il continuo sfruttare strumenti non convenzionali per dare ritmo e quel bordone dato dal basso di Gazzè che si introduce ogni scena e con leggere musiche che fanno da sfondo ad alcuni dialoghi trasformandoli in declamazioni) vengono abbandonate definitivamente preferendo scene scaldacuore.

Alla fine il film intrattiene, senza noia, con abbastanza divertimento e non troppa stucchevole premeditazione. Finite le idee dell'inizio perde abbastanza per un senso di vaghezza, sembra che a parte l’intento di vendere una regione (seppure con affetto) ci fosse poco altro.


mercoledì 13 marzo 2019

La donna che canta - Denis Villeneuve (2010)

(Incendies)

Visto in Dvx.

Una ragazza di origini libanesi trasferatasi (da bambina) in Canada con madre e fratello assiste all'apertura del testamento della, da poco, defunta madre. Nelle richieste, la madre, la incarica di consegnare due lettere, una al loro padre e una a un loro fratello di cui non hanno mai saputo nulla. La ragazza si mette in viaggio verso il Libano cercando i parenti perduti ricostruendo la storia della famiglia a partire dalle poche informazioni in suo possesso.

Nei film di Villeneuve c'è spesso un (grosso) problema di sceneggiatura, con buchi, lentezze eccessive, mancanza di precisione nel centrare il bersaglio. In questo caso non c'è niente di tutto ciò, ma c'è una scrittura più ruffiana, c'è la composizione di un film che non può non piacere, talmente melodrammatico quando si parla del passato, talmente commovente quando rimane nel presente, che sembra voler risolvere ogni conflitto con un vecchio delitto e un perdono. Tuttavia, seppure non lodevole il metodo, l'effetto finale è vincente, riesce a mantenere attiva l'attenzione su un melodramma classico in tempo di guerra con agnizioni continue, un gioco che potrebbe crollare da un momento all'altro con uno starnuto. E invece regge.

E per reggere il film deve affidarsi alla mano sicura e asciutta di Villeneuve. Comincia qui a usare i suoi colori desaturati (che nel deserto libanese sono costretti a incendiarsi), si porta avanti l'ampiezza degli ambienti inquadrati (che siano gli esterni mediorientali o gli interni canadesi, tutto diventa ampio), si mette all'inseguimento del suo protagonista del momento senza lasciarlo mai e si muove con una serie di scelte registiche molto nette e pulite eppure invisibili.
Il film è lento, ma con un ritmo costante e un facilità nel far entrare lo spettatore in empatia che supera l'iniziale impressione di distacco.
L'effetto è efficace, tanto da rendere accettabili ed efficace anche qualche twist un pò troppo tirato.

mercoledì 10 ottobre 2018

The lost thing - Andrew Ruhemann, Shaun Tan (2010)

(Id.)

Visto qui.

Un ragazzo trova una cosa perduta sulla spiaggia. Questa cosa è un gigante di metallo con tentacoli animali. Cerca di capire cosa sia, la porta a casa e la nasconde. Vede una pubblicità del governo dove descrivono un ufficio cose perdute, prova ad andarci, ma viene fermato da un inserviente che gli suggerisce di non rimanere in quel palazzo e gli da un biglietto con cui troverà un altro luogo per la sua cosa perduta.

Shaun Tan lo conosco per alcuni suoi lavori cartacei, ma, guardando "Tsumiki no ie" ho scoperto aver messo su pellicola questo "La cosa smarrita".
Tan ha uno stile particolare; un disegno estremamente realistico, tondo, tridimensionale; crea mondi realistici, ma inverosimili, costellati da strutture semplici, ma impossibile con creature assurde, trattate in maniera consueta dai vari personaggi. I mondi che crea sono solitari, figli della memoria con cui condividono fogli ingialliti e l'idea di un passato che non può tornare; le storie raccontate sono semplicissime, banali, ma con elementi inconsueti e surreali e con un mood familiare e vagamente perturbante nello stesso momento. Ecco, questa opera prima è un giusto compendio cinematografico all'opera disegnata.
Il corto si avvale di un CG assolutamente impeccabile nella creazione delle strutture e degli oggetti (così come delle creature ibride meccaniche/biologiche), fallisce di più con gli esserei umani (caricaturali come da volontà dell'autore, ma eccessivamente falsi in un mondo iperreale).  Nella costruzione della vicenda si avvale di una fastidiosa voce fuori campo, ma anche di una regia parca, ma precisa che sa utilizzare gli stilemi del fumetto per scopi cinematografici (le vignette che fungono da split screen).
Senza lodi eccessive, un buon corto, premiato con l'Oscar alla miglior short d'animazione.

venerdì 13 luglio 2018

Sint - Dick Maas (2010)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in italiano.

Quando la notte di San Nicola è illuminata dalla luna piena, il vero vescovo da cui si origina la tradizione torna in vita (come zombi) per uccidere quante più persone possibili.
Trama semplice, decisamente poco originale, per un efficace horror olandese... se si dice horror olandese si dice Dick Mass. Redivivo, l'unico regista olandese di cui ricordi il nome porta in scena l'ennesimo horror ben incastrato all'interno di Amsterdam (l'unico che utilizzi in maniera drammatica quella città almeno dai tempi di "Amsterdamned") partendo da una base ormai consolidata.
In questo anni ha forse perso un pò il gusto innovatore (non siamo più dalle parti di un ascensore assassino) dimostra però di essere rimasto al passo coi tempi, costruisce scene variegate tutte ben realizzate, mantiene un ritmo sempre costante senza mai ripetersi; forse sfrutta poco la buona idea dissacratoria, ma i momenti da ricordare sono diversi (la caduta dal tetto con il cavallo ad esempio). Il film si sfilaccia un pò nel finale, ma alla fine il risultato è gradevole. Ottima anche la fotografia (tallone d'Achille del Maas degli anni '80) e bravi gli interpreti che non deludono.

venerdì 13 ottobre 2017

Zero - Christopher Kezelos (2010)

(Id.)

Visto qui.

In un mondo di omini di lana contrassegnati da un numero, nascere con uno Zero è di per sé una condanna sociale (non aiuta che la qualità del tessuto sia peggiore). Due numeri Zero si innamorano, ma il loro rapporto è proibito (per paura della diffusione del morbo) e il lui della coppia viene incarcerato. Ma un'inattesa complicanza risolverà la stasi mostrando a tutti che cosa significa essere Zero.

Interessante cortometraggio in stop motion di tale Kezelos, autore che, per ora, si limita solo a questo genere (ma con un ottimo successo, almeno in patria). Si tratta della sua seconda opera, ma la prima d'animazione (il suo primo corto è una pubblicità per la promozione... delle banane "A tasteful bunch" incredibilmente ambiguo) e si nota subito che questa deve essere la sua strada.

In primo luogo è una delle opere in stop motion con l'animazione migliore che ricordi e direi che è già qualcosa.
In secondo luogo la trama è piuttosto banale, con la classica storia di rivalsa del diverso con happyending; tuttavia gli ultimi 30 anni di Tim Burton non sono passati invano...
I protagonisti sono dei freak a tutti gli effetti, considerati negativi in quanto tali e discriminati, ma la loro inevitabile rivalsa arriva grazie alla creazione di un freak ancora più outsider di loro a cui, però, viene data una considerazione migliore. Ma anche la confezione esterna è totalmente timburtiana, i protagonisti sembrano venire dai suoi disegni e il mondo zuccheroso in cui si muovono dagli assunti iniziali di quasi ogni suo film.
Sinceramente è una scelta che mi sorprende, in positivo; si tratta infatti di uno dei primi film che vedo prendere così apertamente sia l'estetica che il contenuto dal regista americano.

Mi risulta invece inspiegabile la scelta di mettere una voce fuori campo in un film che è perfetto come opera muta.

lunedì 4 settembre 2017

Dragon trainer - Dean DeBlois, Chris Sanders (2010)

(How to train your dragon)

Visto in tv.

Un ragazzo vichingo, inetto nell'uccisione dei draghi ha i soliti problemi irrisolti con il padre. Ferendo accidentalmente il più pericoloso e infido fra tutte le speci di draghi scoprirà che sono animali da compagnia anziché animali feroci. Imparerà a gestire e ammaestrare i draghie li utilizzerà contro l'inevitabile boss finale.

Ci sarà mai un anno senza un film di animazione in con un rapporto conflittuale padre-figlio? Da quando l'ha tirato fuori dal cilindro la Disney (negli anni 80 se non sbaglio) sembra che sia la base di un buon cartoon. Un giorno qualcuno dovrà studiare il fenomeno.

Al di la di queste considerazioni direi che "Dragon trainer" è la quintessenza del film di animazione medio. Storia buona, ma senza guizzi o senza particolare inventiva; animazione di livello ottimale con qualche intuizione (Sdentato che si muove come un animale d'appartamento e la caratterizzazione dei vari draghi); ambientazione originale che con qualche dettaglio crea un mondo.
Di fatto non c'è niente di nuovo o di particolarmente interessante, ma se questo è lo stato dell'arte di un film animato medio, direi che stiamo vivendo nel migliore die mondi possibile.

Da sottolineare solo la scena d'azione iniziale, dinamica e fantasiosa che avrebbe meritato la visione al cinema. Serie di seguiti meritati.

lunedì 21 agosto 2017

El Sicario, Room 164 - Gianfranco Rosi (2010)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato.

Un sicario dei narcotrafficanti messicani racconta la sua storia, sul come è statoa vvicinato per lavorare coi narcos, alla descrizione delle sue mansioni (dall'omicidio ai rapimenti, alle torture) con dimostrazioni pratiche, ma racconta anche le tecniche e le gerarchie, i sistemi di sicurezza del narcotraffico e le collusioni con lo stato (con un'inquietante diagramma dove sostiene che chiunque a qualsiasi livello sia implicato), i rischi professionali e il burn out.

Con uno stile di regia estremamente asciutto che si concentra totalmente sul suo protagonista (sia come inquadratura, sia seguendone i tempi e il flusso di coscienza) mostra il lato oscuro con un distacco invidiabile. Inquadratura ravvicinata durante il racconto, concentrata sulle mani (certamente in quanto sono l'unica parte visibile del sicario, ma anche perché sono le vere protagoniste della vicenda; quelle mani sono le responsabili di rapimenti, torture e omicidi), mentre la macchina da presa si fa distante (mostrando la figura intera del sicario) durante le dimostrazioni pratiche (ovviamente per motivi di chiarezza dell'inquadratura, ma riuscendo anche a ottenere un risultato psicologico). I racconti sono aiutati dalla grafomania del protagonista che scrive e disegna ogni parola, permettendo una maggiore scorrevolezza a un documentario altrimenti molto statico. Le sequenze di racconto sono, brevemente, inframezzate con inquadrature fisse della città o del motel e da alcune inquadrature nere di stacco; scene, queste su cui spesso viene sovrapposto il sonoro della scene precedente o della successiva con un effetto efficace, specie sui frequenti sospiri del protagonista.
Il lavoro di regia, apparentemente semplice (ma supportato da una fotografia molto ragionata) è in realtà una realizzazione estremamente raffinata e totalmente funzionale alla storia. Non si vuole fare pubblicità a un personaggio, ma lasciare che una persona racconti una storia, senza confusione e senza distrazioni.

Film molto emotivo nonostante la frigida realizzazione, che si concede anche un finale a sorpresa.
Personalmente l'ho preferito a "Sacro GRA" in maniera decisa, per la sua concisione, l'effetto emotivo e l'interesse maggiore per la storia mostrata.

venerdì 20 maggio 2016

13 assassini - Takashi Miike (2010)

(Jûsan-nin no shikaku)

Visto in DVD, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un samurai deve uccidere il fratello dello shogun (che è proprio uno stronzo), per farlo mette insieme un gruppo di 13 colleghi per tendere un agguato dentro a un paesino.

Teoricamente è il remake di un film di Eiichi Kudô, a sua volta realizzato raddoppiando il numero di protagonisti del celebre "I sette samurai" di Kurosawa (sperando di raddoppiarne l'interesse).
Dico ideale perché pur prendendo una sceneggiatura già fatta, Miike la manipola per metterci del suo.

Il film è diviso idealmente in due parti; più di un'ora di preparativi, sviluppo della storia e dei personaggi, poi, circa un'ora di guerra, violenza e sangue (una vera e propria cascata che in una scena cade dal tetto di un edificio).
Tutto però è perfetto, tutto è d'altri tempi, anzi, senza tempo, una costruzione visiva che sarebbe stata impeccabile anche ai tempo d'oro del miglior Kurosawa così come l'anno scorso. Si sa che Miike è un esteta, ma qui punta a creare una sequenza di immagini bellissime senza mai strafare nell'eccesso di patinatura. Tecnicamente perfetto, condotto con una regia molto funzionale e molto pragmatica disegnando in maniera formale alcuni momenti potenti e alcune immagini bellissime (la ragazza mutiliata, le spade piantate nel giardino in preparazione della battaglia, la scena dell’incontro fra i due capi rivali con gli altri samurai nascosti, ecc..).

Questo per il comparto estetico (che non è poco), ma il tocco di Miike si intuisce anche in alcuni dei contenuti; il personaggio del cacciatore di frodo che combatte senza una vera ragione e mostra la stupidità della lealtà dei samurai; fa ammirare l'eleganza della lotta sottolineata dal personaggio peggiore del film; e poi c'è il finale... una chiusura semplice, misurata, un relief perfetto, uno scioglimento genuino che, però, fa crollare completamente la farraggisona impalcatura morale ed etica dei samurai (alla fine, meglio la vita della lotta). Si ok, hanno tutti combatutto per quegli ideali, però contano poco o nulla e 23 anni dopo l’intero sistema verrà distrutto. Questo si chiama sabotare un genere dall’interno.  

lunedì 18 aprile 2016

I saw the devil - Kim Ji Woon (2010)

(Ang-ma-reul bo-at-da)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un serial killer che uccide e sevizia alcune donne, cattura ed elimina la figlia del capo della omicidi (nonché la futura moglie, incinta, di uno dei suoi sottoposti). Inizierà ad indagare, scoprirà chi è, ma l'assassino fuggirà, inizierà quindi una caccia al'uomo che porterà a più effetti collaterali di quanti ci si possa aspettare.

Film classicheggiante nel plot, ma atipico per l'andamento del mood e per la violenza esposta.
Il film ha un incipit cupo e distaccato, da thriller classico, con una calma surreale inquietante e poi l'esplosione di violenza. Da li parte un film su un maniaco che uccide le donne e le indagini di conseguenza; ma presto parte per la tangente e si trasforma in un revenge movie classico, realizzato come una lunga, estenuante, caccia. Nel finale si affianca anche allo scontro fra menti.
Ma il tutto condito con un'occhio per l'action classico.

Al di là dell'andamento della trama imprevedibile, il vero punto di forza di questo film sono la qualità delle immagini (la macchina bloccata nella neve all'inizio è bellissima), ma soprattutto la costruzione delle scene di azione, le colluttazioni sono realizzate con un cura e una fantasia encomiabili. Bella, ma confusa, quella nella serra, impeccabile invece quella nell'ambulatorio medico. Va anche sottolineato il doppio omicidio nel taxi, una scena tecnicamente fantastica; ben rappresentativa della regia molto dinamica.

Unico neo il minutaggio male utilizzato, per il resto, un'ottima sorpresa.

lunedì 18 gennaio 2016

Ballata dell'odio e dell'amore - Alex de la Iglesia (2010)

(Balada triste de trompeta)

Visto in Dvx.

Durante il franchismo un ragazzo, figlio di un clown arrestato e ucciso dai fascisti, entra in un circo dove farà il clown triste (la spalla comica, mai protagonista, quello che si prende le torte in faccia); purtroppo il clown tonto (il protagonista della coppia) è un uomo violento e alcolizzato che picchia continuamente la sua sexy compagna. Ovivamente il clown triste se ne innamorerà, ma sarà abbastanza saggio da lasciarla perdere... se non fosse che lei continua a cercarlo. Quando verranno scoperte insieme si scatenerà dapprima la vendetta del clown violento, che trasformerà il buon protagonista in un animale (letteralmente) violento.

Per prima cosa voglio mandare a cagare i distributori italiani; questo era il film che volevo a tutti i costi vedere al cinema, impiegarono più di un anno a farlo uscire (nonostante la vittoria al festival di Venezia e l'endorsement di Tarantino) e quando finalmente arrivò in sala ci rimase per circa 10 minuti. Vi odio.

Solo ora, a distanza di anni, finalmente, lo vedo per la prima volta. E capisco che avevo ragione, avrei dovuto vederlo al cinema.
Qui siamo di fronte a un film con tutte le caratteristiche che de la Iglesia ha sparso nella sua filmografia, ma, per la prima volta, declinate in un tono completamente drammatico.
C'è la deformità fisica, lo scontro a due, lo showdown finale in cima a un palazzo (qui una croce), ma soprattutto il fatto che l'inferno sia nascosto dentro ognuno, il problema sono gli essere umani, tutti, sempre (anche il protagonista, i buoni, anche le persone amate, anche i bambini, nessuno si salva). Ovviamente qui il lavoro è più fino perché la storia classicheggiante (di fatto un triangolo amoroso) viene inserita in due contesti, quello circense (che permette di attingere a piene mani a un immaginario gotico enorme; nient e infatti mi toglie dalla testa che la morte del padre del protagonista sia ripreso da "Lo sconosciuto" di Browning), ma soprattutto nel periodo franchista (con un lavoro raffinatissimo di immersione in fatti realmente avvenuti, lasciandoli sullo sfondo senza che diventino mai i protagonisti, ma che abbiano comunque un peso sulla vicenda, soprattutto morale, con un senso di morte e disperazione perenne).

Fotografato in maniera impeccabile si apre con un paio di scene tra le più belle di tutto il film, il circo che viene svuotato e il protagonista da giovane che viene avvicinato da un leone (non è una scena utile, non serve a nulla, a mala pena è simbolica; però è di una bellezza incredibile) e poi ovviamente il padre, truccato da clown e vestito da donna che uccide i fascisti a colpi di machete, un esempio di lirismo alla de la Iglesia che potrebbe fare scuola.
Ma al di là dell'apertura le scelte estetiche sono costanti in questo film e si distinguono in una più oscura e fosca per gli anni '30 e una più calda e sterile per gli anni '70 (oltre a una più fiabesca e gotica per le scene in notturna). Il film è costellato di scelte che pigiano sull'acceleratore del grottesco, raggiungendo il picco (a mio avviso) con al trasformazione del clown in un pagliaccio vestito con i paramenti sacri; c'è del folle e del magnifico dando un senso esteriore alla trasformazione interiore del personaggio e rendendo un senso di metamorfosi quasi organica (si pensi al modo alternativo che trova per "truccarsi" il volto) arrivando a quella di "Clown" pur partendo da presupposti molto distanti.

La regia è opulenta e magnifica proprio come ci si può aspettare. Costruisce vere e proprie cartoline negli anni '70, gioca con le luci e i colori con un senso espressionista, rende dinamici i dialoghi più banali con montaggio alternati e inquadrature da punti di vista differenti e nel resto della pellicola ci butta il solito fluire di carrelli, inquadrature dal basso, movimenti e dolly. Anche se il pregio maggiore è il ritmo che viene impresso alla storia; non c'è un solo momento di stanca e la storia viene lasciata correre all'impazzata dall'inizio alla fine con un costante aumento dell'action; un ritmo che non cala neanche nelle lunghe scene posticce, belle, ma inutili ai fini della storia (come il bellissimo episodio alla Pelevin in cui il protagonista diventa il cane da riporto di un generale franchista).
Inoltre il film regge anche nel finale (uno dei talloni d'Achille di de la Iglesia), dove vengono tirate le fila di tutte le storie sparse lungo la storia, con teschi, animali da circo, la "Balada de trompeta" di Raphael, tutti nascosti dentro alla chiesa scavata nella roccia dal padre del protagonista; tutto in un crescendo di azione con amore e morte (e violenza e odio) come se "Duello al sole" fosse stato realizzato da un Tim Burton dei tempi d’oro su un progetto di Tod Browning.

Va fatto un encomio anche ai titoli di testa. Non sono bellissimi, ma considerando che i precedenti di de la Iglesia erano davvero terribili, qui unisce immagini del franchismo a fotografie horror cinematografiche tentando di creare un parallelo fra i due, un mood e contemporaneamente mostrare il passare del tempo.

...i difetti? beh si ce ne sono, per lo più nella sceneggiatura e sono anche piuttosto evidenti. Troppa carne al fuoco, troppi rivoli in cui si perde la storia, diversi vicoli ciechi, alcune scene o personaggi totalmente inutili se non addirittura irritanti (il motociclista a cosa serviva? soprattutto nel finale perché mettercelo?). Eppure questi problemi grossolani non scalfiscono minimamente né il ritmo, né il mood, riuscendo a farsi perdonare rapidamente.

lunedì 25 maggio 2015

Insidious - James Wan (2010)

(Id.)

Visto in Dvx.

Una famigliola felice si trasferisce nella lugubre casa nuova; ovvio che appena ci si metta piede comincino strani fenomeni, rumori di notti, oggetti che si spostano e interferenze con l'apparecchio per sentire il neonato che piange. Poi un incidente con uno dei figli più grandi; il coma inspiegabile; la paura di essere in una casa infestata e il nuovo trasferimento.
Ma tutto questo non cambia le cose; anzi, ci sono dei nani che si mettono a ballare in casa.

Avverto subito che essendo io poco sul pezzo ho visto "The conjuring" molto prima di questo; quindi tenderò a paragonare "Insidious" a quello e non il contrario.
Direi comunque che Wan si dimostra un classicista; ha cambiato le carte in tavola per un poco con "Saw", ma poi si è rintanato nel solito noto. Scelta con cui concorderei in pieno per tutti i primi tempi da lui realizzati; però il buon James dovrebbe rendersi conto di avere grossi problemi con i secondi tempi...
Nella prima parte del film si è immersi nel classico, con scricchiolii, brusii, lampadine che pendono dal soffitto e porte che si aprono da sole; il modello qui è una via di mezzo fra "Poltergeist" e "Paranormal activity"; tutta questa parte è simile al primo tempo di "The conjuring" che giocando coni suoni e il buoi dava vita ad alcune delle sequenze più spaventose degli ultimi anni. Non siamo a quei livelli, ma la tensione è dignitosa e il meccanismo del già visto, ma ben utilizzato, funziona perfettamente... e fin qui gli si vuole ancora bene a Wan (da applausi, secondo me, il piano sequenza nella casa nuova con la radio in sottofondo, ricco di dettagli e pieno di aspettative).
Poi, proprio come ne "L'evocazione" arriva il gruppo di esorcisti iperprofessionali, ma se là erano due serissimi professori universitari rocciosi e sicuri, qui sono una manciata di macchiettistici nerd ipertecnologici; qui si danno vita alle ultime scene accettabili (almeno fino alla seduta spiritica) e si riesce a rendere apprezzabile anche un demone dalla faccia rossa che fuori contesto sarebbe stato di una comicità involontaria imbarazzante. Poi però Wan decide di andare nell'aldilà... a fronte di qualche buona idea (una famiglia di pupazzoni che mettono in scena un omicidio senza muoversi... beh si veda questo bellissimo corto per avere un'idea), passa il resto del tempo a far muovere i protagonisti in una stanza buia con la nebbia alle caviglie (!!!! Roger Corman smise di farlo dopo gli anni '70!!! Davvero pensiamo ancora che un film della Hammer di 40 anni fa sia la fonte più attuale di idee per un horror?!!) e vengono inseguiti dal demone rosso che si rivela per quello che è, un'imbarazzante mancanza di idee.
Quello che ne vien fuori è un primo tempo dignitoso e gradevole a fronte di un secondo tempo baracconesco e patetico che fa pensare di più ad un fantasy demoniaco più che a un horror.

venerdì 30 gennaio 2015

You don't know Jack, Il Dottor Morte - Barry Levinson (2010)

(You don't know Jack)

Visto in Dvx.

La vita di Jack Kevorkian, il medico americano che effettuò oltre 100 eutanasie (anche se tecnicamente permetteva alle persone di suicidarsi con metodi non dolorosi) su pazienti terminali e che lottò attivamente (in tribunale come nei media) per rendere completamente legale l'eutanasia e il suicidio assistito.

Se è vero che da anni la televisione (negli Stati Uniti e in Inghilterra soprattutto) ha alzato la qualità media delle serie (il recente "True detective" già dice tutto) e dei film tv prodotti, è anche vero che è la HBO a dettare il passo e a produrre (o solo a trasmettere) alcuni dei prodotti più interessanti. Nel campo dei film tv, i migliori (o i più intriganti) degli ultimi anni (penso ad RKO 281, Angels in America, Game change, Dietro ai candelabri, ecc...) vengono tutti da li; non tutti sono capolavori, ma tutti sono interessanti e tutti hanno un grande cast e budget invidiabili.

Detto ciò, questo è una di quelle produzioni. Un film tv girato da Dio (per gli standard televisivi) in colori delicati, macchina da presa che si sofferma a cogliere le luci soffuse sullo sfondo, che insiste nei volti dei personaggi; niente di epocale, ma una confezione ottima e delicata come vorrebbe essere la trama.
La storia è sorretta da un cast bellissimo, con una paio di nomi grossi infilati in parti secondarie (la Sarandon poco utilizzata, ma con un personaggio ben caratterizzato, Goodman colpevolmente troppo sullo sfondo, anche solo per un personaggio bello, ma piatto), una serie di comprimari all'altezza dell'obiettivo, ma soprattutto un Pacino in grandissima forma, invecchiato, anaffettivo, freddo, tagliente e deciso, praticamente irriconoscibile, praticamente una delle sue migliori interpretazioni da diversi anni.

Unica pecca è la storia. Ovvio che la trama parteggi per il protagonista, ovvio lo spingere sull'emotività, ovvio anche il dover far stare spunti diversi in un tempo limitato (la difficoltà di rendere una vita sullo schermo è proprio in questo), però il lavoro è fatto male. Si concentra sulla lotta a favore dell'eutanasia e scegli, per farlo, un tempo piuttosto lungo, dalla sua prima morte assistita al suo ultimo scontro in tribunale; nel mezzo però ci infila troppi spunti, diverse facce che vorrebbero rendere bene il personaggio, ma che alla fine portano via tempo al resto (la mostra dei suoi quadri, attitudine quella della pittura appena accennata in una scena precedente; il rapporto con la sorella risolto con uno spalleggiarsi mai spiegato e in una litigata; il rapporto con Goodman, sostanzialmente utile solo a mettere un altro nome importante di fianco a quello di Pacino; il personaggio della Sarandon, buono solo per far morire una persona vicina al protagonista); il risultato è quindi quello di dover accelerare sulle sequenze finali.
Con qualche decisione in più nella scrittura del plot si avrebbe avuto un film tv perfetto; al momento ci accontentiamo di un film tv molto bello.

mercoledì 14 gennaio 2015

Cold fish - Sion Sono (2010)

(Tsumetai nettaigyo )

Visto in dvx, in lingua originale sottotitolato.

Un uomo è sposato con una casalinga disperata e sua figlia è una adolescentella stronza; pure lui non è un fiore, remissivo, grigio e ignavo non fa nulla per reagire alla routine mortale. Si, insomma, si odiano un pò tutti e nessuno si da una mossa. Lui è il proprietario di un piccolo negozio di pesci tropicali. Un giorno incontrano un ricco proprietario di negozio affine al suo, ne fanno l'ilare conoscenza perché il buon uomo non denuncia la figlia adolescente per taccheggio; anzi offre un lavoro alla ragazza, propone al padre di diventare socio, fa sesso sadomaso con la moglie. Ah si e poi uccide gente con il supporto (passivo perché è un ignavo) del padre, li scarnifica, li fa pezzi, brucia il bruciabile e getta ai pesci il resto. La situazione si fa sempre più infernale e complicata ed il povero padre inserito in questa spirale involontaria non riuscirà ad uscirne bene. Anzi, nessuno ne uscirà bene. A mala pena ne uscirà qualcuno.

Filmone distruttivo, amorale e cupissimo di un Sono in grande spolvero. Dirige con un piglio documentaristico fantastico la dissoluzione di una famiglia già morta nelle prime scene. Lo fa con l'introduzione di un personaggio splendido (nel senso che fa lo splendido), ironico in maniera idiota e grottesca, apprezzato per la sua espansività, ma che romperà ogni schema e con esso ogni rapporto familiare.
I temi in campo sono molti. Per primo direi l'assassino che alberga in ciascuno; se Lang si limitava a mostrare come un uomo semplice può trasformarsi in mostro in condizioni estreme, qui Sono mostra come tutti siano mostri e lo possano diventare in qualunque momento per qualunque ragione. Inoltre c'è un senso di violenza che stimola violenza, come una malattia infettiva. C'è una grande sensazione di moralità complessiva (si lo so, ho appena detto che è un filmone amorale, ma per le scene mostrate non per il significato), tutti qui soccombono alla violenza latente o diretta e tutti se lo meritano tantissimo, su tutti il protagonista immobile in tutto, passivo ad oltranza (splendida in questo senso la scena della scazzottata e poi del sesso entrambi fatti "passivamente)...
...poi cos'altro c'è... ah si, c'è un film violento e cattivo (psicologicamente prima ancora che fisicamente) che diventa splatter fin dalla prima mezzora, che è abbastanza mortifero da accontentare tutti e che ti dici più di così non può... ma poi arriva l'ultima mezzora, con una lotta in un corridoio insanguinato che te la raccomando e che ad un certo punto (ma ancora non è finito) ti mette una bella donna ad accarezzare con amore il torso squartato dell'amato, con una naturalezza che sembra una cosa ovvia.
E poi c'è il nichilismo. Un nichilismo distruttivo che farebbe impallidire quelli de "Il grande Lebowski"; il finale è uno dei meno accomodanti che ricordi da parecchio tempo a questa parte e, come viene ripetuto spesso durante il film, anche la terra è destinata a morire, fra solo 4 miliardi e 600 milioni di anni tutto sparirà.

PS: locandina, molto assennatamente, simile a questa



lunedì 15 settembre 2014

Trasporto eccezionale, Un racconto di Natale - Jalmari Helander (2010)

(Rare Exports)

Visto in Dvx.

Quello che si dice di Babbo Natale è tutto falso; non che non esista, in realtà c'è eccome, ma è un enorme demone completo di corna e di vecchi nudi come aiutanti (ciao ciao ai cari elfetti nani e vestiti di verde). UN POCO DI SPOILER ALERT. Purtroppo c'è chi, senza scrupoli, l'ha quasi liberato, ora gli elfi anziani cercano di scongelarlo del tutto e, per dargli un buon risveglio, rapiscono tutti i bambini del villaggio per offrirglieli (che cosa ci farà una volta sveglio non è chiarissimo... SPOILER FINITO
I finlandesi sono uomini duri; passano le loro giornate squartando maiali, cacciando renne, mettendo armi da fuoco in mano ai bambini, facendo ottimi biscottini natalizi, squartando anziani, costruendo trappole vietnamite, avendo problemi di comunicazione coi figli. Ah e si chiamano con nomi buffi come Piiparinen! (e senza ridere).
Ecco in un ambiente del genere il geniale Helander ha pensato bene di costruire una storia alla Joe Dante su un Babbo Natale demoniaco. Sappiamo tutti quanto Joe Dante sia stato uno dei rarissimi registi per regazzini che pensava di dover offrire qualcosa in più oltre a Yugioh (va ancora di moda Yugioh?!), si veda quella perla di "Gremlins" o il recentissimo (ma molto meno riuscito) "The hole". Ecco Helander costruisce la storia JoeDantesca classica; un regazzino con padre distante, abbastanza sfigatello nell'ambiente in cui vive (neppure riesce a sopportare lo squartamento di un maiale!), scopre cosa sta succedendo sulla montagna vicina, avverte tutti, ma nessuno gli crede, almeno fino a quando non sembra troppo tardi; per fortuna lo sfigatello è sveglio e salva tutti. Ecco tutto questo in un film horror canonico, con qualche idea geniale, qualche accenno di sangue, il personaggio del vecchio rinchiuso davvero inquietante e tanti anziani nudi che corrono sulla neve.
Cosa di può chiedere di più?... forse un dinosauro... ma questa è una fissazione mia.

Helander conduce benissimo, la sceneggiatura ha alcune parti non fondamentali, ma il ritmo non cala mai, anzi all'inizio sembra muoversi pure con troppa fretta per giungere velocemente allo scontro diretto. Unica vera pecca gli effetti speciali al computer che sembrano non essersi mossi da quelli di "Jurassic Park" (scusate, fissazione mia); quindi decenti, ma oggigiorno si vede che è finto; usati comunque solo nelle scene finali dove non sarebbe possibile fare altrimenti.
Considerando gli ultimi lavori di Dante, direi che Helander rimane l'unico ad offrire film del genere veramente buoni; c'è da chiedersi cosa farà dopo...

venerdì 5 settembre 2014

La passione - Carlo Mazzacurati (2010)

(Id.)

Visto in DVD.

Un regista/sceneggiatore in declino deve contrattare con una famosa starletta televisiva la possibilità di fare un film con lei, ovviamente sarebbe la sua ultima grande occasione. Viene però incastrato a realizzare la rievocazione della passione di Cristo per la Pasqua di un paesino toscano, pena una denuncia alle belle arti per i danni che ha provocato incautamente ad un affresco.
Per realizzare la passione si appoggerà ad un attorucolo raccattato per la strada che organizzerà ogni, cosa, ma il il passato dell'attorucolo tornerà impedendogli di completare l'opera. Tutto andrà male...

Commedia agrodolce che, nel trailer, ci inganna sembrando un film comico che invece non c'è mai.
Il film però è gradevolissimo, inconcluso ed enfatico nell'eccessivo finale, ma decisamente buono nel muoversi nel resto del minutaggio... prima del finale in effetti, nonostante una certa incertezza era un film che riusciva a mescolare luoghi comuni con il loro contrario mostrando un'inarrestabile (e buffo) crollo di un personaggio.
Il cast, più che buono, appare molto affiatato dando mordente alle scene.
Buona la fotografia del solito Bigazzi.

Di fatto il film pecca di indecisione; i personaggi sono tutti sottoutilizzati, il film si conclude con un cerchiobottismo d'altri tempi; la commedia, il dramma sentimentale si mescolano in maniera non perfetta.
Un film imperfetto, che può lasciare l'amaro in bocca per il tempo perso, ma è pur sempre una gradevole perdita di tempo.

lunedì 1 settembre 2014

The town - Ben Affleck (2010)

(Id.)

Visto in DVD, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un operaio di un quartiere popolare di Boston fa rapine, con grande successo, assieme a quattro sodali; deve però dividere il tutto con uno spacciatore locale per ripulire il denaro sporco. Tutto procede degnamente finché non si innamora di una ragazza rapita come scudo (e poi liberata) dal suo migliore amico (che fa le rapine con lui).

Alla sua seconda regia Ben Affleck sembra delineare uno stile; storie di persone comuni, piccole persone, che si dibattono per una loro piccola grandezza (sulla linea di un Clint Eastwood) con uno stile realista che sembra affiancarsi a quello molto materico di un Nolan (alè, nomoni buttati lì come se niente fosse). Tutto questo mentre fa film cazzuti.

Questo è un film che complessivamente mi è piaciuto meno di Gone baby gone (non c'è il peso specifico del primo film, la concreta veridicità del precedente), ma riesce comunque a realizzare un film asciutto e solido che bilancia bene una parte action, con il dramma gangsteristico con la storia romantica; non fa miracoli, ma lavora benissimo. La presenza di Affleck come protagonista non disturba troppo perché il suo personaggio non è fatto per brillare, è piuttosto banale ed innocuo, ma si circonda di personaggioni da 90 interpretati da attori che ci mettono faccia e corpo. Su tutti regna Renner, per la prima volta perfetto nella parte del tamarro ormai frontalizzato; ma il solito lavoro di casting ci porta ad avere comprimari di livello (su tutti Postlethwaite).
Infine l'estremo realismo della regia e la voglia di mostrare e non solo di raccontare ci regala alcune delle migliori sequenze action degli ultimi anni (sono poche è vero, ma quanto sono belle?). Se la sparatoria finale è emblematica io mi sono innamorato dell'inseguimento tra le stradine di Boston, impeccabile nella tensione, il ritmo, la fantasia, chiarezza.
Bravo Ben Affleck, non impeccabile, ma bravo, continua così che ci regalerai soddisfazioni sempre maggiori.

venerdì 1 agosto 2014

Il pezzo mancante - Giovanni Piperno (2010)

(Id.)

Visto in DVD.

La storia della famiglia Agnelli, dal fondatore della FIAT fino ai recenti Elkann.
per raccontare questo film basterebbe una frase, ma in realtà parla di molto altro. Parla si degli Agnelli, famiglia riservata che per questo documentario non ha voluto o po tutto partecipare in alcun modo, ma lo fa arrivando a parlare soprattutto dei rami dimenticati della famiglia, la capostipite Virginia, la moglie dell'avvocato Giovanni ed Edoardo il loro figlio, ma soprattutto Giorgio il terzo fratello di Giovanni. Parla di loro, li descrive per quanto possibile, ne segnala il vuoto che li circonda ed il lavoro di rimozione che ne è stato fatto (strepitosa la porzione di intervista in cui Giovanni Agnelli afferma di avere un solo fratello maschio). Descrive la famiglia in base al loro rapporto con i pezzi mancanti. Descrive la famiglia come la vera nobiltà (il vero casato regnante) d'Italia, ma anche come vittime di una malattia, come se la catena di montaggio e le macchine, da sempre considerate come fonte di oppressione per gli operai, abbiano oppresso soprattutto i padroni (impagabili in questo senso i pochi commenti fatti attorno a John Elkann).

Complessivamente poi ci si trova davanti ad un film, non un documentario, ma un vero e proprio film, per linguaggio e perfezione delle immagini.
Una fotografia impeccabile difficile da trovare nel film di fiction medio italiano. Una regia enorme, che insegue i protagonisti come fosse Aronofski; li inquadra in posizione statiche mentre la loro voce fuori campo; corre in lunghe carrellate laterali a mostrare i luoghi storici della famglia; inquadra oggetti apparentemente inutili senza dare speigazioni per farli poi tornare nel finale a dare significato ad intere vicende; utilizza documentari, intervisti televisive e i filmati interni della fabbrica (così come anche convengi ed incontri pubblici) come fossero interventi fatti per il documentario o filmini personali della famiglia; brevis equenze animate alcune senza nessuno scopo contenutistico, ma solo. Un lavoro enorme che si articola in un film corto (meno di un'ora e mezza) con lunghi silenzi, parafrasi, immagini di repertorio e personaggi improbabili, ma su tutto le immagini delle automobili, delle industrie storiche e delle macchine per la produzione.
Bellissimo.