domenica 28 febbraio 2010

Vestito per uccidere - Brian De Palma (1980)

(Dressed to kill)

Visto in DVD.

Un De Palma classico, fatto di piani sequenza, macchina da presa mobile, split screen (spesso cammuffati da autofocus), trama tendenzialmente perversa, citazioni hitchcockiane in serie. Ecco in questo film, così come nel successivo "Omicidio a luci rosse" De Palma cerca d'essere un Hitchcock del trash cresciuto negli anni 70 e che lavora negli 80 (al posto di De Palma anche Hitchcock avrebbe fatto gli stessi film). In questo film però appare più rilassato che non nel successivo, non vuole strafare troppo; copia e incolla idee da "Psyco" e da "La finestra sul cortile" inserendole sempre felicemente (la protagonista che muore dopo mezzora è una di quelle cose che rendono il cinema un luogo migliore); la macchina da presa sempre in movimento si muove con grazia, quasi senza accorgersene; il montaggio impeccabile dona qualche momento da ricordare (su tutti l'omicidio nell'ascensore). Il film perde colpi nella seconda parte, quando il colpo di scena che va a delinearsi diviene prevedeibile e dove il finale si mostra scontato, ovviamente anche la regia si adopera nel già visto; carino che il film sia circolare con la scena finale copiata da quella iniziale.
Ovviamente il film non è perfetto la storia è adeguata allo spirito trash De Palma e non risparmia ridicolezze o voyeurismi di vitaliana memoria (il problema di De Palma è che si ostina a scriversi i film, se lasciasse campo libero ad altri sarebbe uno dei migliori registi in circolazione); gli attori poi sono piuttosto osceni (neppure Caine mi ha convinto molto!) e certo non sono aiutati da personaggi scritti con un pennarello a punta grossa (il personaggio del detective Marino è l'estrama coseguenza della banalità nel campo dei poliziotti italo-americani)...
In definitiva una volta entrati nell'ottica di un film di De Palma (condizione sine qua non) questo è decisamente buono, raggiunge tranquillamente la sufficienza, debitamente distante dagli abissi di "Omicidio a luci rossa" ma alla stessa distanza dalle vette di "Gli intoccabili" o "Blow out".

sabato 27 febbraio 2010

La donna del bandito - Nicholas Ray (1948)

(They live by night; in Italia è anche conosciuto come "Disperazione")

Visto in DVD.

Un film con molto poco del gusto estetico di Ray, il che certamente è un peccato, però riesce comunque a dare sfogo ad una storia tesa il giusto.
Il film è un noir che punta sui sentimenti più di chiunque altro, un noir in cui è facile morire quanto è facile amare.
Gran parte del film si basa sul loro rapporto, su come ciò che lui ha commesso ha ripercussioni sulla loro relazione. Il tema delle coppie di criminali è piuttosto usurato al giorno d'oggi, ma in questo caso la situazione è diversa, sono una coppia che per caso, si trova invischiata in una rapina, un gioco del destino non completamente voluto anche se evitabile.
Un film perfettamente nelle corde di Ray, che con il destino e le parabole negative c'ha fatto una carriera; il finale è inevitabile, e corona un film realmente superiore alla media, anche se non si vede il tocco del regista

venerdì 26 febbraio 2010

L'uomo lupo - George Waggner (1941)

(The wolf man)

Visto in VHS.

Questo film è pessimo. Per innumerevoli motivi, di cui alcuni (ma non tutti e forse non i principali) si vanno ora ad elencare:

1) Lon Chaney Junior. Il mozzarelloso protagonista è un morphing tra Bogart, Jerry Lewis e Dan Aykroyd affetti da elefantiasi. Ha in sostanza il fascino di un ritardato che gioca a bocce, e in questo film fa la parte di un seduttore che circuisce con successo la promessa sposa di un manzo locale. Terribile.

2) Lui seduce lei spiandola con un cannochiale e tampinandola poi di notte. Nel 41 l'approccio funzionava, oggi sarebbe stato denunciato per stalking.

3) Recitano tutti come se fossero da Madame Tussaud's. Rains, se non vuoi muovere niente dall'ombelico in su lo accetto, ma almeno toglieti quelle mani dalle tasche, cazzo!

4) Il simbolo del lupo che compare sul petto del licantropo è uno stiloso tatuaggio di una stellina... (Rains, il padre di Chaney chiosa, non senza arguzia, "quello è un morso che qualsiasi animale avrebbe potutto fare"!)

5) L'uomo lupo cammina sulla punte dei piedi, ha una pettinatura da nerd e nel complesso assomiglia tanto ad un mio compagno di classe delle medie affetto da labirintite; se lo incontrassi in un vicolo buio non ne fuggirei, casomai lo accompagnerei a centro di salute mentale più vicino.

6) Gli effetti speciali fanno più schifo di quelli degli anni '30.

7) A quanto dice la zingara un lupo mannaro si può uccidere solo con una pallottola d'argento, un pugnale d'argento o un bastone con il pomo d'argento... e questo solo perchè Lon Chaney ha appena comprato un bastone del genere, è evidente. E se invece avesse comprato forcine per capelli? o 2 etti di prosciutto crudo? o un fallo di plastica? come si sarebbe evoluto il film?

8) Il film ha il pregio d'avere una delle peggiori e più inutili comparsate di Lugosi.

9) Il film è evidentemente stato finanziato dai produttori di macchine per la nebbia. E io odio le lobby.

giovedì 25 febbraio 2010

Il fantasma dell'Opera - Rupert Julian (1925)

(The phantom of the Opera)

Visto in VHS.

La storia del fantasma dell'opera è stranota, e certo questo film non la cambia, anzi, probabilmente imprime nell'immaginario collettivo come debba essere proposto un film basato sul libro (che immagino orribile conoscendo l'autore) di Leroux.
Scenografia splendide, titaniche, e ipercostose, sono la prima cosa che salta all'occhio; la seconda è ovviamente il trucco di Lon "l'uomo dai mille volti" Chaney.
La trama si svolge in maniera lineare, con realizzazioni pratiche ben congegnate che, credo proprio, all'epoca potessero creare un gran pathos, e perchè no, parecchi sussulti.
Le scene sono girate con una certa bravura e solo nella fine si susseguono alcune scene dal dubbio signifcato, ma in fondo all'epoca i film erano molto più ingenui. Il finale, quasi epico, si conclude con una presa in giro da parte del fantasma, magnifico.
Molte sequenze sono pure virate, tanto per non farsi mancare niente.
Il film fu un successo enorme e segnò in maniera decisiva il sistema di fare gli horror in America. La sequenza in cui per la prima volta appare il volto sfigurato del fantasma è realizzata con maestria, improvvisa, anche se preannunciata, e permette allo spettatore di godersi il trucco di Chaney.

La versione che ho visto io è una rielaborazione del 1990; figlia quindi della psicotica voglia tutta anni '80 di modernizzare il muto con l'inserimento di musiche moderne e addirittura di canzoni!!! Devo dire, la cosa è piuttosto orribile. Vi è inoltre un'inutile introduzione di Christopher Lee, che comunque è sempre un piacere da vedere.

mercoledì 24 febbraio 2010

Darò un milione - Mario Camerini (1935)

(Id.)

VIsto in DVD.

Un film decisamente godibile, divertente e lieve come si sarebbe riusciti a fare venti o trentanni dopo. La storia è certamente convenzionale, anzi quasi didascalica, e molto buonista, eppure il ritmo e le trovate funzionano quasi completamente creando un film che non annoia uno spettatore moderno.
Poi c'è Camerini, regista misconosciuto ma grandioso, che tira fuori delle idee, delle immagini che fanno impressione; su tutte il risveglio di De Sica tra i panni stesi, reso in maniera onirica tanto che non ci si rende conto se si tratti di realtà sogno (come verrà fatto solo dieci anni dopo, anche se meglio riuscito, "Scala al paradiso"), e ci si muove così in un labirinto di lenzuola e di ombre, bellissimo. Anche la scena delle scimmie che banchettano sul tavolo dove c'è stata la cena dei poveri è suggestivo, personalmente mi ha ricordato "Aguirre", ok, so che il paragone è esagerato, ma spontaneamente ho subito pensato al film di Herzog.
Certo, poi le ingenuità e le occasioni sprecate fioccano, ma il film riesce a lasciare comunque un buon retrogusto.

martedì 23 febbraio 2010

Boiling point, i nuovi gangster - Takeshi Kitano (1990)

(3-4x jūgatsu)

Visto in DVD.

Il secondo film di Kitano...beh delude. Sempre sospeso e trasognato, sempre segnato da una violenza stilizzata mai preannunciata, ogni scena è statica anche quelle d'azione... ma stavolta non funziona. La storia circolare è certamente positiva ma tutto quello che c'è in mezzo non interessa, non convince e non affasciana. Anche la poesia che di solito permea i suoi film è lasciata molto in disparte (al momento mi viene in mente solo la scena in cui Kitano uccide con il mazzo di fiori).ù
Unica cosa degna di nota, qui c'è ironia, è il primo film del regista giapponese con scenette apertamente divertenti.

lunedì 22 febbraio 2010

The getaway - Sam Peckinpah (1972)

(Id.)

Visto in DVD.

McQueen, appena esce di prigione, ricomincia ad organizzare una nuova rapina, foraggiato da un tizio che ci mette i soldi, e affiancato da 2 che non conosce e di cui, è evidente, si fida a metà; per fortuna si fa aiutare pure dall'amata moglie... inutile dire che le cose andranno peggio del previsto.
Il film parte malissimo, noioso ed inutile va anvanti senza verve e con qualche ridicolaggine di troppo (la fuga in macchina subito dopo la rapina è degna di un film di Michael Bay). Poi però le cose si complicano ancora di più e la fuga verso il Messico diventa un tutti contro tutti, e allora si che comincia il ritmo, e allora si che i colpi di scena funzionano, la storia diventa interessante e il film non sembra funzionale solo a sprecare la tua vita.
Diverse le chicche, dal montaggio esageratamente (in senso positivo) rapido di Peckinpah nella scena dell'albergo (ma anche all'inizio in realtà), alla storia in contemporanea di Al Lettieri con la moglie del veterinario (crudele oltre ogni ragionevole dubbio), al carisma di McQueen (quando imbraccia il fucile a pompa in giacca e cravatta per eliminare i poliziotti, o quando esce tutto sgarruppato dalla discarica con la moglie, beh ti vien voglia di metterti in cravatta pure a te pensando di risultare figo quanto lui).
Per carità, si arriva alla fine piuttosto soddisfatti... però non decolla mai, non offre nulla di che e si accontanta di vivere sulle spalle del protagonista senza offrire altro. Un peccato soprattutto perchè ci si aspetta molto di più da chi è riuscita a fare qualcosa come "Cane di paglia".

domenica 21 febbraio 2010

Sulle mie labbra - Jacques Audiard (2001)

(Sur mes lèvres)

Visto in DVD.

Una segretaria sordomuta (e abbastanza sfigata), che riesce a cammuffare il suo handicap con apparecchi per le orecchie che tiene debitamente nascosti, si vede costretta ad accettare un assistente; quello che sceglierà sarà un ex carcerato con ancora conti in sospeso e possibilità di ricchezza, lei se ne innamorerà presto, lui capirà di aver bisogno di lei per i suoi scopi.
Il film è uno splendido noir, secco e feroce di livello superiore. E' superiore perchè pur raccontando gli ultimi lo fa senza pietà, qui tutti sfruttano tutti, tutti utilizzano le debolezze degli altri per i propri scopi (per prima la protagonista) e sono disposti a tutto per raggiungere le mete prefissate, qui tutti, anche se mossi da buoni sentimenti, sono prima di tutto egoisti.
Audiard parte da questi presupposti per un discorso più ampio sulla comunicazione/incomunicabilità, sul riscatto, e sull'occasione, sfrutta tutti gli elementi di cui dispone per aggiungere vie di comunicazione (su tutti gli aparecchi acustici della protagonista, il cui funzionamento o utilizzo viene percepito anche dallo spettatore come diminuzione di volume o silenzio, dando possibilità di veicolare informazioni o eliminarle), oltre ad uno sfruttamento estremo delle psicologie dei personaggi (che risultano assolutamente realistici proprio perchè non c'è paura di mostrarne le ambiguità e le deviazioni).
Audiard poi fa un lavoro particolare anche sulle inquadrature, spesso sfocate, sempre molto ravvicinate, che si concentrano su dettagli a volte ininfluenti, dando a tutto il film un aura di instabilità costante; utilizza maschere del cinema muto per indirizzare l'attenzione, ma anche queste risultano sfocate e traballanti; nessuna immagine risulta esteticamente stupenda di per se, ma ognuna presenta una tale desità di informazioni e significati da far impallidire.
C'è bisogno di dire che il cast è ottimo?

sabato 20 febbraio 2010

A est di Bucarest - Corneliu Porumboiu (2006)

(A fost sau n-a fost?)

Visto in VHS registrata dalla tv.

In un paesino (che non viene mai detto essere a est di Bucarest) un giornalista presente una puntata del suo talk show chiedendosi se anche nella loro cittadine vi sia stata la rivoluzione il 20 dicembre del 1989 contro la dittatura o se i suoi concittadini siano scesi in piazza solo dopo la fuga di Ceausescu. Per farlo ospita (come ripieghi dell'ultimo momento) un pensionato e un professore alcolizzato, quest'ultimo sostiene di aver partecipato ai primi disordini in quella città e quindi di essere testimone della rivoluzione.
Il film inizia mostrando le vite dei tre personagi per tutta la prima parte, con un clima ed un interesse per la malinconia di quelle esistenze; nella seconda parte, durante il talk show, il film unisce piccoli siparietti comici (tutti a carico del personaggio interpretato da Andreescu) semplicissimi ma veramente divertenti con drammi personali e vera e propria poesia. Durante la trasmissione infatti si susseguono telefonate che negano la rivoluzione, minacciano querele e, a sorpresa, difendono la parola del professore nonchè la sua persona. L'ultima telefonata, splendida, recita più o meno così "Il mio figlio più grande è morto il 23 dicembre a Bucarest all'aeroporto Otopeni. Vi ho chiamati solo per dirvi che fuori nevica, siate felici per questa neve, perchè domani sarà di nuovo tutto fango".
Film che si caratterizza per quanto è lieve e che trova nelle piccole cose il suo senso; fotografato con colori desaturati che sottolineano il grigiore delle esistenze; attori che hanno esattamente le facce che avrebbero i loro personaggi nella vita di tutti i giorni; ed una regia staticissima che lascia che sia il film a parlare e non la macchina da presa, una presa di posizione che si sposa perfettamente con l'andamento distaccato e delicato del film (gli unici movimenti sono nello studio televisivo e corrispondono ai movimenti della telecamera del talk show).
Porumboiu alla sua opera prima crea un film di un lirismo invidiabile, senza noia nè eccessi che sa far ridere e rimestare dentro nello stesso momento.

PS: il titolo italiano è, come spesso accada, molto diverso dall'originale, che è "Ci fu o non ci fu?", ma per una volta dimostra una scelta decisamente felice, donando al film un tocco di spaesamento che si intona con la poesia della trama.

venerdì 19 febbraio 2010

Nine - Rob Marshall (2009)

(Id.)

Visto al cinema.

Questo non è "8 e 1/2"; è una versione semplificata del film di Fellini.
Una versione appiattita, tutta ritmo e paillettes che non ha pretese di competere col mito.
Anzi, a dirla tutta è solo un musical che gira attorno alla difficoltà della creazione artistica che si ispira solo per la struttura generale della trama al film con Mastroianni. Per il resto è un'opera a parte; e come film autonomo funzione ed è magnifico.
La sforzo creativo di un uomo arrivato alla frutta è resa attraverso le fantasie ed i ricordi di quest'uomo che vive attraverso la vita (o la morte) delle donne che l'hanno accompagnato, dalla madre, alla moglie, attraverso l'amante, una prostituta di quand'era bambino, l'amica di sempre e una giornalista. La realtà percepita è interpretata e compresa attraverso le scene da musical vero e proprio (che sono effettivamente poche) e che pertanto rappresentano l'animo del protagonista.
Marshall fa suo ogni mezzo per rendere il dinamismo del film e il caos del protagonista, ogni metodo di fotografia e ogni tipo di inquadratura, riuscendo bene nel tentativo (molto bella l'idea che ogni canzone sia cantata e ballata sia nell'ambiente dove l'azione si svolge, sia all'interno dello studio di posa dove dovrebbe essere girato il film).

Le canzoni sono praticamente tutte belle, con due o tre che sono magnfiche, giusto un paio sono inutili.
Unico vero e proprio neo del film sono le coreografie, banali e francamente noiose... certo non sarebbe un problema da poco in un musical, ma per fortuna questo è un film con canzoni, e quindi è un dettaglio dimenticabile.
Ottimo il cast decisamente all'altezza, un'encomio particolare per la Cotillard, ma soprattutta per Daniel Day Lewis, sempre più bravo dopo ogni film, e ormai, inutile nascondercelo, è il miglior attore vivente. Peccato per l'inutilità della parte della Kidman!!! Quando ce l'hai, sfruttala bene (mamma mia quant'è invecchiata).

giovedì 18 febbraio 2010

Mosca non crede alle lacrime - Vladimir Valentinovich Menshov (1980)

(Moskva slezam ne verit)

Visto ad un cineforum, in lingua originale sottotitolato.

Contro ogni pronostico (il titolo) si tratta di una commedia, che nella seconda parte si fa commedia romantica.
La storia è quella di 3 amiche nella Mosca del '58 e di come provino ad accasarsi, ognuno a modo proprio e con alterne fortune. Una si sposerà con un operaio; un'altra, la più dinamica vorrà strafare sposando un famoso giocatore di hockey; l'ultima, la protagonista (il personaggio di Katerina), rimarra incinta, e come sempre succede in sti film, sarà pure abbandonata. Fine prima parte.
Nella seconda sono passati circa vent'anni, e semplicemente viene presentato lo stato delle cose, dimostrando chi si è dimostrata lungimirante e chi è stata sconfitta dal destino, poi il film devia verso la vita di Katerina, di come si inserisca di forza un uomo, di come si innamorino, poi come sempre succede in sti film succede qualcosa che li fa separare, ma poi torneranno assieme.

La forza del film non sta nella trama piuttosto banale, seppure spezzata in 2 troncono, ma nel tono e nei personaggi.
Il tono è da commedia brillante, con battute realmente divertenti che vanno in crescendo fin nel finale, in pieno accordo con lo stile americano; eppure, al contrario delle commedie romantiche hollywoodiane (si veda ad esempio "Notthing hill") il lato comico non è affidato ad un personaggio strambo per stemperare il climax, qui lo stesso gesto, la stessa parola, viene usata sia per la storia d'amore, sia perchè sia divertente.
I personaggi poi sono assolutamente non comuni (e non solo per come sono delineati; il personaggio di Batalov è splendido, ma non originalissimo), ma per la scelta di mostrare le stesse ragazze vent'anni dopo, portando la commedia romantica in un circolo di quarantenni più o meno fallite (in ambito amoroso almeno) e di cosa sono costrette a fare per riuscire ad avere una seconda possibilità (la portagonista dovrà umiliarsi, abbassandosi alle idee maschiliste del nuovo compagno per non perderlo...e questo senza battere ciglio!).
Merita d'essere visto perchè è un film piuttosto comune trattato in maniera atipica...e poi è divertente. Molto divertente.

mercoledì 17 febbraio 2010

Hard boiled - John Woo (1992)

(Lat sau san taam)

Visto in VHS.

Ok, ormai ho deciso, John Woo, non mi piace, o meglio, non mi esalta.
Anche questo film tratta di un'amicizia virile, in un clima urbano vagamente noiresco che spinge tanto sul melodramma.
Come al solito c'è tanta azione, anche ben costruita, quasi sempre chiara anche se esagerata e spesso immotivata (tutta la parte nell'ospedale è costellata da atti inutili o stupidi) che copre gran parte del film; il resto è lasciato a dialoghi semplici, senza pretese.
La trama di fondo sarebbe anche ben costruita (alla fin fine è metà di "Infernal affairs", film di molto succssivo, e che copia palesemente almeno una scena) ma è che proprio no ha spazio di emergere se non in dialoghi banali.
I personaggi privi di una particolare originalità funzionano bene, sono semplici ma adatti allo scopo.
Woo alla fine serve bene il principio cardine del film, azione ad ogni costo (o per dirla meglio "facciamo esplodere più cose degli americani") è che proprio il genere che sopporto poco, dopo mezzora ha già finito di stupirmi e dopo un'ora di interessarmi (o viceversa).

PS: il titolo inglese che rimanda completamente al genere noir a mio avviso è esagerato, era molto più hard boiled "A better tomorrow"

martedì 16 febbraio 2010

La figlia di Dracula - Lambert Hillyer (1936)

Seguito ideale di "Dracula" di Browning, parte esattamente dove il primo finiva; Van Helsing viene preso da due poliziotti subito dopo aver impalettato il conte, e quindi viene arrestato. Escluso questo, il film prende tutta un'altra direzione.
Il film parla di vampirismo e psicanalisi, introduce il concetto di sofferenza e di voglia di normalità da parte del mostro e crea, in maniera più decisa, il lato fascinoso del vampiro. Si insomma si discosta completamente dal primo capitolo, e a mio avviso fa benissimo.
Spinge molto sul gotico solo nelle poche scene in esterni, dove la nebbia e gli alberi accrocchiati la fanno da padrone, tolti questi pochi momenti il film diviene intimista; non è più la spietata caccia ad un mostro che se non viene fermato rischia di ammazzare tutti, anzi è il tentativo del mostro di cambiare, tentativo che sembra sempre più vano a mano a mano che il film progredisce.
Il film poi si caratterizza per il tono da commedia/commedia romantica nei momenti in cui la vampira non è in scena, cosa questa che lo accomuna all'altro horror dello stesso periodo "Maschera di cera".
Non un film memorabile, ma che ha una sua dignità esattamente come il primo della saga, dote che non molti seguiti possono vantare.

lunedì 15 febbraio 2010

Lourdes - Jessica Hausner (2009)

(Id.)

Visto al cinema.

Un film su un tema complesso come il miracolo che riesce a mettere d'accordo sia i cattolici che lo UAAR... Una cosa del genere è possibile solo se non si tira nessuna conlcusione, non si spiega nulla, non si conclude, ci si limita a mostrare cosa succede senza arrivare ad una conclusione vera e proprio. Ed è così che funziona il film di Hausner. La trama è semplicissima, una pellegrina in visita a Lourdes, malata di sclerosi a placche, ricomincia a muovere braccia e gambe. Questo è tutto. Certo, intorno a lei si muovono una manciata di personaggi, ma nessuno da una risposta, nessuno neppure si stupisce troppo, alcuni la disprezzano perchè non è accaduto a loro, alcuni la invidiano, altri continuano a dubitarne, c'è chi ne rimane folgorato, chi deluso e chi semplicemente si astiene. Ma tutto questo è molto sullo sfondo, appena accennato, come sono accennate le vite di tutti i giorni di alcuni dei personaggi. La storia è tutta qui, qualcosa succede, ma non si sa se è un miracolo o un fatto spiegabile (il medico sostiene che può essere una remissione di malattia, anche se sarebbe la più clamorosa mai vista, e comunque rimanda la valutazione ad un altro momento) e la Hausner si ferma prima di poter dare alcuna risposta certa o una posizione ufficiale.
Il film è gelido, distaccato come dev'essere per non dare giudizi, ma anche lento e dalle emozioni presenti e pesanti, ma sottaciute, mostrate senza quasi mai dichiararle e senza che abbiano uno sciolgimento; può quindi risultare noioso o irritante per il finale. Si potrebbe inoltre accusare la regista di non aver nulla da dire, e di impiegarci un'ora e mezza per farcelo sapere...
Eppure molto viene trasmesso, c'è molta umanità in quello stile asettico, anzi, l'idea viene trattata con stile documentaristico, per non dover dare giudizi, e il finale muto, che comunque sia dona tantissima angoscia vale un film così tanto silenzioso.
E poi che risposta avrebbe dovuto dare?

domenica 14 febbraio 2010

Fanny e Alexander - Ingmar Bergman (1982)

Può non essere noioso un film storico (anzi peggio, un affresco storico) di 3 ore (!) fatto in nord Europa? La risposta, contro ogni pronostico, è si, se a dirigerlo c'è Bergman.
No perchè, con tutto l'affetto che ho per i regista svedese sono comunque partito prevenuto; eppur il film è talmente potente, talmente vasto che non riesce proprio ad avere momenti di stanca.
Un film larger than life fatto con un'arroganza ed un coraggio unici. La storia si divide, a mio avviso, in 3 segmenti (questa suddivisione piuttosto netta è probabilmente dovuta ai pesanti tagli fatti per ridurre a 3 le 5 ore del film orginale, pensato inizialm,ente per la tv): il primo con la presentazione di una famiglia borghese dell'epoca (la Svezia di inizio '900) ricca di ironia e dramma, passioni e caratteri, un affresco insomma; il secondo con la storia del secondo matrimonio di una donna con un vescovo che trasforma il film in un dramma grottesco e asettico assolutamente perfetto; il terzo con la parte più personale del regista, una deviazione simbolistica (anche se i simboli non cominciano certo ora, però qui esplodono) che, a mio avviso, ha il suo culmine nell'incontro fra Alexander, il protagonista, e dio ridotto a marionetta, splendido, ironico, nichilista, titanico, surreale e ricco di suspense, tutto insieme.
Il film è costellato di tutti i topoi classici del regista, su tutti la religione, con una figura di un prelato piena di difficoltà (per quanto duro sia); il silenzio, anzi l'assenza di un dio; i rapporti famigliari, per lo più complessi; il tema del doppio, dell'illusione e dell'innocenza.
Poi il film lo i può leggere in 2000 modi diversi, soprattutto ho visto un discorso sull'arte e la creatività (la fantasia di Alexander) e del rapportarsi delle varie tipologie umane con essa. Ho anche sentito l'idea di un parallelo con l'Amleto (mutuato dal fatto che l'opera di Shakespeare viene ampiamente citata) e mille altre interpretazioni.
Quel che conta è l'assoluta facilità di Bergman di coinvolgere nei suoi soliti discorsi criptici senza cedere alla noia o al già visto; poco importa poi il contenuto quando la forma è tanto lussureggiante.
Realmente magnifico.

sabato 13 febbraio 2010

I vitelloni - Federico Fellini (1953)

(Id.)

Visto in VHS.

Non sono un fan di Fellini ad oltranza, anzi... quindi quando mi avvicino ad un suo film che non ho mai visto sono sempre dubbioso del risultato finale; tantopiù su questo, vista la presenza di Sordi che, mi spiace ma non posso faci niente, non mi esalta per nulla.
Eppure questo film riappacifica con chiunque, con Sordi, con Fellini, col cinema italiano, con tutti.
Un film magnifico, di un realismo magico continuo; la trama è classica, uno spaccato della vita di 6 ragazzi negli anni '50, eppure c'è ovunque un'aura di surrealtà, di sogno, di rincorsa della vita che è magnifica. La mano del regista non calca sull'onirico più spinto come farà successivamente, la si nota giusto in qualche sequenza, quella della festa di carnevale, quella degli amici in riva al mare, quella della partenza di Moraldo (con una breve e secca panoramica degli amici a letto come se fosse la soggettiva del ragazzo dal treno). Eppure tutto è permeato da un'ombra di fatale irrealtà. Bellissimo.

Splendido il cast, Sordi era semplicemente necessario.

venerdì 12 febbraio 2010

In the cut - Jane Campion (2003)

(Id.)

Visto in DVD.

Non avevo aspettative, semplicemnte era un film della Campion, che per di più mi illudeva di poter vedere nudi di Meg Ryan dandomi un'aria da intellettuale...
Il film si è rivelato stupendo. La Campion fa un'opera magnifica, torbida dalla prima inquadratua all'ultima, senza mai lasciare la presa. Camera a mano, fotografia calda e umida e oscura, giochi di messa a fuoco sbagliata o che via via viene perduta; tutto questo e molto di più (costumi scenografie ecc...) per rendere un senso di instabilità, squallore, ambiguità e degrado permanente. Anche l'incipit è magistrale in questo senso, con immagini che mostrano il lato B della città e "Que sera, sera" di sottofondo a creare un anacronismo "morale".

Il film non è perfetto, da una parte mi è risultato troppo lungo, tutta questa cappa di amoralità e degredo senza interruzione toglie il fiato e non è facile per tutti starle dietro per 2 ore; dall'altra il senso di ambiguità, di moralità malata e troppo pressante e in certi punti (soprattutto all'inizio) risulta esagerato e stucchevole.
Un encomio agli attori, su tutti Ruffalo, l'ho visto (che io ricordi) solo in 3 film ("Zodiac", "Eternal sunshine..."), ma in tutti e 3 faceva personaggi diversissimi, mai troppo sopra le righe, in maniera credibilissima.
Sesso, ossessione e morte declinate al femminile; come al solito con tutta la bravura cui la Campion ha abituato il pubblico.

PS: la Ryan mai così sexy e (per quel poco che la conosco) mai così nuda.

giovedì 11 febbraio 2010

Quando volano le cicogne - Mikhail Konstantinovič Kalatozov (1957)

(Letyat zhuravli)

Visto ad un cineforum, in lingua originale sottotitolato (male).

Un film strepitoso.
La storia è piuttosto semplice, una coppia di innamorati progetta di sposarsi, ma scoppia la seconda guerra mondiale e lui, stupidamente, parte come volontario. Lei lo aspetta, per un pò, poi vinta dalle fatiche e dall'attesa acconsente a sposare un'altro. Non smette però di attendere il ritorno del suo primo amore. Poi il marito è un un idiota, quindi si lasciano, e lei continua ad aspettare. Poi la guerra finisce e scopre che è morto, che ha atteso per niente.... non che non glil'avessero detto prima, però non voleva crederci.
La sceneggiatura si concentra sulle piccole cose, delineando molto bene la ragazza e descrivendo da dio il rapporto a due all'inizio del film.
Ma quello che più conta è la regia da urlo di Kalatozov, che con questo film costruisce un monumento alla panoramica. Credo che abbiano dovuto costruire delle rotaie quasi per ogni scena! Il che ovviamente da un dinamismo eccezionale alla pellicola; se poi si unisce un uso splendido del dolly e un tentativo di quello che credo essere camera a mano, si ottiene uno dei film più stupefacenti degli anni '50.
Mille sono le scene memorabili; quella della ragazza che scende dall'autobus e corre in mezzo alla folla durante la marcia dei carrarmati (panoramiche e dolly insieme) oppure quella delle scale all'inizio del film con la macchina da presa che gira su se stessa senza mai smettere di puntare al ragazzo. Splendida anche la scena onirica della ragazza che corre verso le rotaie del treno (con camera a mano).
Ma Kalatozov non si limita a questo. Costruisce anche scene con una complessità non indifferente, con primissimi piani dei protagonisti che si incastrano perfettamente con i personaggi sullo sfondo creando inquarature di una profondità enorme. E poi non rifiuta di gocare con le luci e le atmosfere, come nella scena del bacio sotto le bombe, con le luci delle esplosioni che squarciano il buio e le tende sbattute dal vento; magnifico.
Un film sorprendente e realizzato da dio, meritevolissimo vincitore a Cannes.

mercoledì 10 febbraio 2010

Il ritratto di Jennie - William Dieterle (1948)

(Portrait of Jennie)

Visto in DVD.

Un film decisamente particolare che ho guardato a seguito di un'interessante recensione.
Se fosse stato un pò più concentrato e un pò meno sentimentale sarebbe potuto essere una puntata di "Ai confini della realtà".
Un pittore senza futuro (Il sempre ottimo Cotten) incontra per caso una bambina (la Jones, che nella parte di una bambina è credibile come la Rogers in "Frutto proibito", cioè come Stallone in "John Rambo") che gli chiede di fargli un ritratto e, aggiunge, crescerà in fretta per poterlo sposare un giorno.
I giorni passano, Cotten ritrova l'ispirazione disegnando il volto della bambina e ci guadagna pure dei soldi; finchè la bambina non torna, ma è già più grande, è già una ragazza... il film proseguirà con il lento disvelarsi dell'inghippo, mentre la Jones apparirà in maniera discontinua sempre più adulta al sempre più confuso e innamorato Cotten.
Un film decisamente anomalo trattato con stile da Dieterle che lo sottolinea con continui richiami alla pittura, un pò con una costruzione delle scene in senso pittorico (soprattutto all'inizio), un pò ponendo la tela sullo sfonde delle inquadrature avvicinando quindi il film ai quadri.
Il finale con i viraggi in verde e rosso, e l'ultima scena in technicolor sono di sicuro effetto e rendono il bianco e nero del resto del film funzionale per sottolinera gli ultimi momenti. Non so se fosse il DVD che ho visto io ma per tutto il film ho visto dei flash di luce azzurra a intervalli irregolari di cui non ho ben capito l'utilità.
In definitiva un buon film romantico sull'amore al di la del tempo e della morte, sostenuto da uncast notevole. Merita un recupero.

martedì 9 febbraio 2010

A single man - Tom Ford (2009)

(Id.)

Visto al cinema.

Colin Firth è un professore gay degli anni '60 a cui muore il partner dopo 16 di vita in comune... innegabile che magari abbia una crisi di nervi e un pò di depressione; il punto è che non può mostrare nulla, nell'America di quegli anni non può avere, ma neppure cercare, comprensione o sfogo, deve solo fingere che tutto vada come al solito, mentre intanto si prepara in maniera molto lucida al suicidio (il film mostra il suo ultimo giorno). La trama è una tragedia pirandelliana sotto ogni punto di vista... beh tranna sull'accettazione della maschera... stupendo.
Poi Tom Ford dimostra che con un senso estetico adeguato e una conoscienza base di cinema si può tirare fuori qualcosa di grandioso. E allora via con inquadrature sempre perfette, costruite in maniera geometrica; montaggio adeguato al senso che vuole trasmettere, talvolta frenetico, talvolta più lento; una fotografia curatissima; un uso dei costumi e degli interni studiato, perfetto e asettico; ma soprattutto un uso del colore praicamente espressionista, desaturato normalmente che esplode in colori brillanti ogni volta che Firth ha un contatto umano di qualsiasi tipo, reale, immaginario o nella sua memoria (ma questa non è una regola, alcuni ricordi sono in bianco e nero). Ford dimostra di saperci fare, di riuscire a essere originila senza per questo perdere in compattezza.
Ovviamente Firth è controllatissimo e perfetto come deve essere il suo personaggio; anche quando da di matto...be,h non da mai di matto.

Oddio, il film non ha solo pregi.
Intanto quel finale li... troppo facilmente positivo (possibile che si debba sempre tornare alla vita?!), ma anche troppo negativo (sarà che non sono più giovane come una volta ma quei finali a tradimento, pur apprezzandoli, non riesco a sopportarli). E poi il film trasmette molto poco, molto meno di quanto potrebbe fare; le possibilità sono due, o tutta la perfezione formale di Ford rende il film troppo algido e distaccato, tanto che il dramma personale di un uomo rimane tale senza riuscire a coinvolgere (e questo sarebbe un male), oppure semplicemente il film non vuole trasmettere questo, non vuole usare bassi sentimentalismi per interessare alla storia e preferisce uno sguardo asciutto sulla questione (il che non sarebbe negativo a priori, anzi anche apprezzabile, però sarebbe senza dubbio limitato.).

lunedì 8 febbraio 2010

Fino all'ultimo respiro - Jean-Luc Godard (1960)

(À bout de souffle)

Visto in DVD, in lingua originale sottotitolato.

Il film manifesto della Nouvelle Vague, mi spiace dirlo, ma mi sembra un pò una vaccata.
E' la storia di un idiota infantile (Belmondo) che si innamora di un'americana, cerca di sedurla, lei un po ci sta e un po no, poi alla fine ci sta, lei scopre che lui ha ucciso un poliziotto, ma ci sta lo stesso e lo aiuta a nascondersi, poi si stufa e lo denuncia...
La sceneggiatura è forse la cosa peggiore del film. L'impostazione generale della trama non sarebbe neppure male, ma per lo più tende ad essere inutile, ripetitiva e noioso; c'è una scena di almeno mezzora di chiacchericcio tra le lenzuole peggiore di quello che riuscirebbero a fare in una telenovela sudamericana. I dialoghi sono degni di un ritardato e tutta la vicenda va avanti a, metaforici, calci nel culo; un passo alla volta, molto lentamente, e sempre dolorosamente per chi guarda.
Gli interpreti non mi paiono particolarmente brillanti, e Belmondo proprio non m'è piaciuto in questo film, mi sorprende di leggerne così bene in giro (credo sia stato Mereghetti a definirlo "un Belmondo in stato di grazia").
Poi beh, il montaggio, per lo più all'inizio, sembra fatto con un'accetta.
Godard però dimostra di essere all'altezza delle aspettative, si vede che proprio vuol fare come gli americani, e confeziona una regia tutto sommato valente, con panoramiche a più di 360 che inquadrano lunghi piani sequenza; segue o anticipa gli attori con la camera a mano; utilizza le maschere del cinema muto (in un'occasione anche con un motivo valido); cerca inquadrature non convenzionali ecc... Decisamente di livello superiore.
In definitiva: senza nulla togliere all'importanza storica del film (anche "Il cantante di jazz" ne ha, però è legale dire che è brutto), è proprio un'opera prima con tutti i difetti del caso, una realizzazione grossolana e una scenegiatura impresentabile; Godard si mostra per quello che è, un grande regista, e per farlo ammorba lo spettatore per un'ora e mezza...
Un film che, credo, piace a critici e cinefili (snob) più perchè deve piacere che per altro.

PS: c'è una scena di Belmondo in bagno che fa una mossa di karate che mi fa ancora tenerezza per l'ingenuità molto anni '80; il mai abbastanza compianto maestro Miyagi si ricvolta ancora nella tomba da allora, anche se è morto solo da pochi anni.

domenica 7 febbraio 2010

Violent cop - Takeshi Kitano (1989)

(Sono otoko, kyôbô ni tsuki)

Visto in DVD.

Il primo film di Kitano da regista è un noir piuttosto classico, con figure archetipe costituite da assassini folli ammalati dalla brama di uccidere, poliziotti dai modi spicci con una sorella pazza a cui stare dietro, nuovi arrivi ingenui e attaccati al regolamento, e poi c'è molta violenza (in questo caso, al contrario dei noir più classici, viene mostrata) e c'è tutto il contesto urbano che fa da cornice, labirinto e campo da gioco.
Kitano inventa poco, ma rimane sempre perfettamente credibile e, come nel migliore dei casi (come si dice, 1000 cliché commuovono) tutto funzione, il film si fa seguire, ti prende nel modo giusto e nel momento giusto e confeziono un'ora e mezza di interesse.
La violenza è un po ovunque in questo film, non è esagerata, ma sempre esposta, e soprattutto non è preannunciata da nulla, improvvisamente esplode; e questo può stupire chi è abituato agli stilemi hollywoodiani.
Stranamente il film è sostanzialmente privo di ironia, strano perché questo è un elemento tipico della successiva filmografia di Kitano, e strano anche perché in fondo il regista giapponese viene fuori dal cabaret.

sabato 6 febbraio 2010

Tra le nuvole - Jason Reitman (2009)

(Up in the air)

Visto al cinema.

Più che una commedia agrodolce, come mi sarei aspettato, definirei questo film un dramma trattato con leggerezza.
Come al solito Reitman parla di personaggi normali che fanno lavori spregevoli, "necessari" per la società attuale, ma moralmente sbagliati. Anzi più che personaggi normali, direi personaggi adattatisi alla propria condizione ai limiti della moralità.
Il film tratta della vita di un tagliatore di teste per conto terzi, di come venga sconvolta dalla tecnologia e dai sentimenti (in poche parole, dal tempo che passa) e di come lui reagisce, li evita, li accetta e viene abbandonato. La storia è trattata in maniera rilassata (si legga lenta, ma abbastanza lieve da non pesare troppo), con qualche idea comica, o meglio ironica, e un andamento da film sentimentale/melò.
Il personaggio è ben realizzato, e ben recitato, e il film nel complesso funziona. La fotografia sempre al confine con lo sbiadito triste è adatta al racconto. Il finale è, a mio avviso, corretto, non consolatorio ne, forzatamente, negativo.
Buone, e ottime, alcune trovate di Reitman, dal montaggio dell'inizio, all'uso della camera a mano solo quando serve.
Peccato per il ritmo, al contrario dei film precedenti del regista, che semplicemente manca.

venerdì 5 febbraio 2010

La mummia - Karl Freund (1932)

(The mummy)

Visto in VHS, registrato dalla tv.

Questa dovrebbe essere la prima regia del titano della fotografia tedesca Karl Freund, e come accade di solito si rivela un mezzo fiasco.
Il film è quello che è, certamente all'epoca l'atmosfera egizia e gli sguardi in tralice di Karloff potevano provocare brividi lungo la schiena, ma oggigiorno non hanno più significato.
L'atmosfera è quella kitch di chi cerca di ricreare qualcosa che non ha mai visto comprando le cose più egizie che trova dal rigattiera; mentre Karloff in questo film ha certamente l'aplomb giusto per la parte, ma è il personaggio in se ad essere meschino, sempre impassibile e corrucciato anche nelle scene più emotive, oggettivamente la recitazione richiesta è molto poca e Boris non fa nulla più di quanto richiesto.
Che cosa rimane quindi? un film noiosetto che porta molto sentimentalismo in una storia oggi usurata (non è il fatto che Imhotep faccia tutto ciò per amore a colpire, quanto la scelta che farà la sua amata, piuttosto in controtendenza con l'emotività eslpicitata nel film e, seppure non risulti sorprendente, colpisce molto; cioè dai lei è un po bastarda) con qualche scelta di regia decisamente positiva (la scena in cui la mummia si risveglia è splendida, con un paio di panoramiche Freund mostra tutto senza far vedere niente).
Per quanto limitato il Dracula di Browning mi ha soddisfatto decisamente di più, inventando quantomena un clima originale (quello gotico, che ovviamente non poteva starci in questo film)... film che comunque aveva lo zampino di freund...

PS: splendido il trucco di Karloff, giustamente passato alla storia.

giovedì 4 febbraio 2010

Il sole ingannatore - Nikita Sergeevič Michalkov (1994)

(Utomlyonnye solntsem)

Visto ad un cineforum.

Un film che è una commistione di generi, mischia il melò sentimentale (tutta la prima parte) con il dramma vagamente storico (la seconda parte) con la commedia, apertamente divertente, ma che si basa su gag minimaliste.
Michalkov fa un lavoro semplice, pone una donna contesa, che tanto contesa non è, in un ambiente storicamente importante, l'inizio delle purghe staliniane, tirandone fuori un film che non distribuisce colpe, ne quelle della trama ne quelle storiche, ma asseconda soltanto le tensioni interne alla trama.
Il colpo di scena è assolutamente atroce, ma proposto in un ambiente così sereno, e introdotto così tranquillamente che trasfigura i personaggi senza fare troppo male.
Un film splendido, intimista ed efficace.

mercoledì 3 febbraio 2010

La foresta pietrificata - Archie Mayo (1936)

(The petrified forest)

Visto in VHS registrato dalla tv.

Uno scrittore errante arriva nell'ultima locanda prima del deserto (in USA, ma non ricordo quale deserto), la sua parlantina facile, il suo romanticismo francese, il suo intellettualismo fiero d'esserlo porteranno la giovane figlia del proprietario (Bette Davis!!! che vedo per la prima volta da giovane!!!) ad innamorarsi di lui, poi un killer passerà di li (Humphrey Bogart!!! che vedo per la prima volta da giovane!!!) porterà a compimento la tragedia d'amore dei due. Nel frattempo si inseriscono toni da commedia che rendono il tutto guardabile.
Splendido il deserto ricostruito in studio (i fondali, fintissimi, sono veramente notevoli), passabile la regia di Mayo che non fa molto per staccarsi dall'origine teatrale del testo (e si sente), ottimi gli interpreti, brava la Davis, splendido Bogart (al massimo è il suo personaggio che risulta fatto male) e bravo pure Horwad (pure il suo personaggio non è granchè).
Questo, come già detto, è un film non particolarmente cinematografico ma molto teatrale; il che non è mai unbene, però riesce lo stesso a colpire, il suo fluire ininterrotto di parole sempre messe al posto giusto accoglie lo spettatore. Si può smettere di pensare e farsi semplicemente accarezzare dai dialoghi.

martedì 2 febbraio 2010

Il signore e la signora Smith - Alfred Hitchcock (1941)

(Mr. & Mrs. Smith)

Visto in Dvx.

Uno dei pochi film di Hitchcock che non centrano nulla con il giallo, non hanno suspence nè tensione in ogni senso... ed è un peccato.
Il film è una commedia brillante con una coppia che scopre che il loro matrimnio risulta nnulato per un inghippo burocratico, si faranno (amorevolmente) pagare i piccoli screzi dei 3 anni di vita insieme... Si esatto è una cazzata.
Per carità parte anche con un certo brio, divertente per gag e per trovate, ma presto deraglia verso l'inverosimile e si fa lento anche da seguire.
Talvolta Hitchcock si fa vedere dietro la macchina da presa, ma una cnsolazione da poco. Alla fin fine, è un film inutile.

PS: ovviamente non centra nulla col film di Mr. & Mrs. Pitt.

lunedì 1 febbraio 2010

Le tre scimmie - Nuri Bilge Ceylan (2008)

(Uc maymun)

Visto in Dvx.

Le tre scimmie del titolo sono i componenti di una famiglia (padre, madre, figlio) che non si vedono, non si ascoltano e non si parlano. Il film parte con un incidente di cui si prenderà la colpa il padre, e da qui scaturiranno rapporti particolari con il datore di lavoro e le relative tensioni famigliari.
Ottimo il cast assolutamente all'altezza; ma quello che più colpisce è l'estetica delle immagini, giusto un pò desaturate, ma a parte questo del tutto consuete, che però appaiono splendide ad ogni inquadratura, oltre ogni possibile spiegazione.
Il film è lento, si prende i suoi tempi e preferisce parlare con i suoni di sottofondo piuttosto che con le parole (centellinate); eppure incredibilmente non annoia mai, o quasi (c'è giusto un momento di stanca dopo circa un'ora).
Il film è al di sopra la media, in assoluto, ma anche per quanto riguarda le commedie ambientate nel tinello di casa, eppure se devo essere sincero non mi ha preso del tutto.