venerdì 30 maggio 2014

Fratelli - Abel Ferrara (1996)

(The funeral)

Visto in Dvx.

Anni '30, in una famiglia di gangster diretta da tre fratelli molto diversi fra loro, uno dei triumviri viene ucciso. La veglia funebre fa deflagrare l'equilibrio e nello stesso tempo inizia una caccia all'uomo alla cieca per trovare l'assassino.

Non è un gangster movie, ma un dramma elisabettiano in ambiente mafioso.
Un film glaciale, tutto giocato in notturni senza luce o all'interno di colori freddi e asettici.
L'inizio è lento in maniera incredibile e, lentamente, vengono delineati i tre personaggi principali (tramite una serie di flashback, che in effetti trovo siano l'idea meno convincente del film); nella seconda parte inizia la vendetta, non particolarmente crudele o cruenta, ma personalmente la ricorderò per essere una delle ritorsioni più casuali e senza speranza del cinema. Poi c'è lo showdown finale, tanto inaspettato e fuori luogo, quanto perfetto per un film del genere.

Questo è un dramma di sfondo religioso (come sempre in Ferrara) alla Bergman; i personaggi si trovano soli e abbandonati, cercano di convincersi che ci sia una possibilità (Walken che disserta sul fatto che il libero arbitrio è in realtà un modo per mascherare il fatto che Dio decida tutto, e dunque chi compie il male non può essere punito perché sta compiendo ciò che Dio vuole), ma in realtà sanno che il silenzio è assordante e non c'è alcuna speranza perché si è condannati fin dall'inizio (sempre Walken che uccidendo dice di credere realmente che lui finirà all'inferno, ma che il trucco è di cercare di abituarsi fin da subito all'idea). Se ne "Il cattivo tenente" Dio era silenzioso, ma ancora la speranza c'era (e tramite la sofferenza si riusciva a sentire la divinità), qui invece non c'è nulla, e tutto quello che c'è è la sofferenza a cui si è destinati.
Le donne, unica componente positiva del film, sono si le più lucide a considerare ciò che accade e le portatrici di una speranza minima; ma in realtà sono succubi del mondo violento a cui hanno deciso di appartenere e, alla fin fine, anche loro non sono più in grado di fare nulla se non sopportare ed attendere che tutto finisca.

Cast stellare dove il vampiresco Walken fa da mattatore incontrastato, mentre Penn è una spalla notevole (e da vita alla sua migliore interpretazione).

mercoledì 28 maggio 2014

Dallas buyers club - Jean-Marc Vallée (2013)

(Id.)

Visto al cinema.

La vera storia di come un redneck omofobo di Dallas sia riuscito a far accettare al governo americano cure alternative (ma già utilizzate in Europa, Giappone o Cina) per l'HIV invece dell'AZT, prodotto ad alta tossicità utilizzato negli USA.

Il film è una evidente manovra commerciale del dolore e dei bassi sentimenti umani. Si prende un uomo stronzo, lo si mette in una situazione al limte dove ognuno lo abbandona e gli si dice che ha un mese da vivere. Si vede quest'uomo rialzarsi, lottare, crescere a livello umano (alla fine non sarà più uno stronzo, ma un simpatico coglione), venire frenato dallo stato, lottare ancora e vincere.
Ecco tutto questo è il prezzo da pagare per portare al cinema l'HIV.
Di per se il film intrattiene bene, si fa seguire senza mai un momento di stanchezza; ma ci si chiede che cosa si è visto.
Di fatto una serie di scene madri per il corpo smagrito di un McConaughey all'altezza, mentre il film si perde completamente senza riuscire a spiegare quello che mette in scena (a un certo punto sembra che i farmaci proibiti curino effettivamente l'HIV, e il virus visto come un'epidemia misteriosa che viene incidentalmente mostrato in una o due scene viene rapidamente messo da parte come), ma soprattutto senza mai riuscire a sfruttare il resto del cast (su tutti il personaggio di Jared Leto, inzialmente doveva formare il doppio di McConaughey, mentre viene lasciato a se stesso e il suo dramma viene messo sullo sfondo quando poteva dare molto di più).

Un film rinfrancante e buonista che però si perde e perde i buoni presupposti iniziali.

lunedì 26 maggio 2014

Snow-white - Dave Fleischer (1933)

(Id.)

Visto qui. In lingua originale.

Per spiegare che cosa era in grado di fare il gruppo dei Fleischer (e non ha fatto con Gulliver!) si prenda ad esempio questo strepitoso corto della serie Betty Boop da molti animatori considerato uno dei migliori cartoon di sempre.

La storia è abbozzata perché lo svolgimento della vicenda è tutto un susseguirsi di fatti senza soluzione di continuità in una follia di idee enorme. I personaggi non rispettano le regole fisiche (che non esistono in quel mondo) e si trasformano in oggetti per sottolineare ciò che sta accadendo. Gli oggetti sono strutture plastiche che si deformano con facilità; tutti inoltre sono anche creature viventi che interagiscono con i personaggi; molti poi vengono utilizzati per scopi che non sono proprio dell'oggetto (su tutti lo specchio, che risponde alle domande della regina come nella fiaba originale, trasforma i personaggi in creature horror, viene utilizzato per volare e con la sua esplosione finale determina lo scioglimento della vicenda).
La scena memorabile è la famosa sequenza all'interno della mystery cave dove la regina trasformata in strega trasforma Koko il clown in un fantasma che canta "St. James infirmary blues" con la voce di Cab Calloway, mentre balla, si trasforma in una medaglia e in una bottiglia di vino che viene versato in un bicchiere e si beve lui stesso, passeggiando in un ambiente con fondali fuori di testa.
Ecco, questo era Fleischer, cortometraggi di chiaro stampo surreale con canzonette e musiche blues.

I viaggi di Gulliver - Dave Fleischer (1939)

(Gulliver's travel)

Visto qui, in lingua originale.

Primo lungometraggio della compagnia di Fleischer, concorrente diretta della Disney che mosse i primi passi negli anni '10 con dei cortometraggi a tecnica mista (un uomo live action che si confronta con personaggi disegnati) che si evolvettero in alcune serie animate di grande successo per tutti gli anni '20 (Betty Boop e Popeye sono stati i cavalli di battaglia).
Lo stile caratterizzato da un'anarchia visiva impressionante e da una ricerca di innovazione tecnologica (Max Fleischer inventò il rotoscopia, aggeggio atto a riprodurre in disegni un filmato in live action; metodo che rende più credibili i movimenti).
Quando negli anni '30 la Disney decise di buttarsi nella folle idea di un lungometraggio animato (e ottenne un enorme successo), Fleischer per non rimanere indietro decise di copiare l'idea. E come l'avversario decise di prendere una storia classica e fare a meno dei suoi personaggi classici...
Ottenne un totale disastro (anche a causa della guerra in Europa che ridusse il bacino d'utenza del film).

A Lilliput il re sta predisponendo le nozze della figlia con il figlio del re confinante, i due sovrani sono amicissimi, ma la divergenza di opinione sulla canzone da cantare alle nozze si risolve in una dichiarazione di guerra. Nel mentre, sulla spiaggia, i lillipuziani trovano un gigante che li aiuterà a risolvere la situazione.
Di fatto la storia è un lungo pretesto per mostrare scene bizzarre in cui i lillipuziani legano Gulliver, in cui i lillipuziani vestono Gulliver o in cui i lillipuziani mangiano con Gulliver; almeno fino a tre quarti di film, la trama non si muove da quanto accaduto nei primi 10 minuti. Ovviamente Fleischer voleva mostrare le proprie capacità tecniche (Gulliver infatti è realizzato tramite il rotoscopio).
Peccato perché il film è di una stupidità imbarazzante, i personaggi creati sono buffi, ma non hanno la follia creativa dei cortometraggi (il target è quello più infantile possibile) e la tecnica del rotoscopio affiancato ai disegni normali è assolutamente spaesante e riesce a rendere meno credibile il personaggio di Gulliver.
In definitiva è un film brutto, mal realizzato e assolutamente sotto gli standard minimi della compagnia che lo produsse.

venerdì 23 maggio 2014

Saturno contro - Ferzan Ozpetek (2007)

(Id.)

Visto in tv.

In una famiglia allargata (amici, partner degli amici, ex e colleghi) che verte attorno ad una coppia omosessuale subentra una violenta crisi dopo il coma improvviso di uno dei due vertici. La crisi sarà emotiva per molti, famigliare per qualcuno, sociale per altri. L'elaborazione del lutto, l'affrontare i rapporti di coppia e il senso di abbandono (ma anche del tempo che passa) sarà un bisogno comune.

Ozpetek non lo conosco molto (inizio oggi), ma mi ha colpito la cura nel gestire gli spazi e la fotografia, gli oggetti disposti sulla scena ed i colori (su tutte sono un piccolo capolavoro le sequenze ambientate nel negozio di fiori, niente di esagerato e pacchiano, solo una disposizione ragionata delle cose), le location che permettono ambienti ampi in cui guidare la caterva di attori e di fatti che si susseguono, l'attenzione ai vestiti che devono essere in linea con il mood. Insomma un regista estetico, e la cosa mi piace.

Purtroppo però il film inizia male, con un susseguirsi di accomodanti scene di amicizia e amore piuttosto stucchevoli; certamente tutte utili per sottolineare la differenza che ci sarà dopo il coma e la morte, ma decisamente se ne poteva fare a meno. Il dinamico finale, accomodante e dal tono compiacente, ma dimesso è un capolavoro di demagogia e di già visto, che funziona perfettamente, ma mi ha lasciato ancora di più con l'amaro in bocca. Nel mezzo il film si muove meglio e si dispone a dare qualche momento veramente buono con il personaggio di Ambra Angiolini. Complessivamente però l'impressione che mi ha dato è di voler essere il film che il pubblico vorrebbe avere senza osare mai nulla, con una certa (ingiustificata) incertezza nella scrittura dei dialoghi. Il cast impeccabile (tranne Favino, ma lui si per una mia idiosincrasia; non lo riesco a tollerare) fa i salti mortali, ma il problema di sceneggiatura rende anempatica l'intera vicenda.

mercoledì 21 maggio 2014

Last action hero, L'ultimo grande eroe - John McTiernan (1993)

(Last action hero)

Visto in aereo, in lingua originale.

Un regazzino che impazzisce per i film action viene invitato, da un anziano amico proprietario di un cinema, a vedere il nuovo film del suo eroe interpretato da Schwarzenegger. Il biglietto che viene strappato è però magico e il regazzino si trova proiettato dentro al film; il cattivo presto si trova in possesso del biglietto e decide di uscire dallo schermo per uccidere il vero Schwarzenegger.

Titanica parodia del genere action sottogenere macho anni '80 di cui il regista ed il protagonista sono stati tra i maggiori interpreti; di fatto un'opera di autoironia prima che di meta cinema. Poi un discorso comico sul cinema in genere. I riferimenti e le idee messe sul tappeto sono talmente tante che è difficile capire se si è riusciti a coglierle tutte.

Le scelte estetiche di minima sono tra i due mondi in cui è ambientato il film. Il mondo reale è una New York sempre notturna e sempre piovosa con strade strette, marciapiedi affollati e palazzi alti che tolgono il respiro, la città del film è una Los Angeles sempre col sole, strade enormi dove si può guidare in maniera folle senza conseguenze e dove tutte le donne sono bellissime ("non è un film, è la California"); nel luminoso mondo del cinema i cattivi sono destinati a perdere, gli eroi a vincere e i personaggi comici a urlare; nel mondo reale le cose si muovono casualmente e i cattivi possono vincere. Nel mondo cinematografico le auto esplodono semplicemente uscendo di strada e le esplosioni fanno volare i personaggi senza scalfirli (quanto fantastico è vedere presi in giro questi luoghi comune che il genere action di quegli anni utilizzava davvero?).
Schwarzenegger ci da dentro con le autocitazioni (anche a sproposito, ma diciamocelo, è proprio quello che gli si chiede), l'autoironia (il personaggio odia l'attore, mentre il "vero" Schwarzenegger difende i film "violenti" e viene ripreso dalla vera moglie perché parla sempre del planet Hollywood).
I camei e gli inside jokes sono milioni, i più affascinanti sono quelli in cui un'insegnante (interpretata dalla Plowright, ultima moglie di Olivier commenta l'adattamento cinematografico dell'Amleto fatto dal marito (con una demenziale versione schwarzeneggeriana subito dopo) e quello della morte del Settimo sigillo che esce dallo schermo (interpretata da un McKellen dal naso particolarmente pronunciato); divertenti le citazioni dirette di Basic instict e Terminator 2, il gatto cartoon e la locandina di Terminator con Stallone al posto di Scwharzenegger; particolamente intelligente poi il fatto che il ragazzino dica a Schawrzenegger di non fidarsi del suo capo perchè ha ucciso Mozart (in quanto il capo è interpretato da Murray Abraham già Salieri in Amadeus), rivelandosi comunque profetico... poi c'è una vera e propria pioggia di camei nel finale. Al di là del finale, il citazionismo pesante è tutto utile, o a definire un ambiente, o utilizzato per le gag più riusciti, non è mai lasciato a sé, non è mai fine a sé stesso.

A livello più terra terra, McTiernan si rende conto di avere mano libera nel fare quello che vuole (tanto non deve contenersi per non strafare, anzi) e da vita ad una serie di sequenze d'azione dal ritmo altissimo che non possono essere criticate.

Si insomma un film d'azione dove la trama gioca con se stessa, con tutto il cinema di genere del decennio precedente e col cinema in generale senza rinunciare ai tratti principali e al ritmo che gli sono dovuti. Un'opera che, senza essere un capolavoro, è di un'intelligenza e una capacità di sintesi, notevoli, assolutamente non riproducibile e che ha in se il seme del cult movie se non quello dell'istant classic... Nonostante questo il film fu stroncato dalla critica (passabile) ed ignorato dal pubblico (inconcepibile). Non so davvero trovare un motivo, seppure la frase è abusata e io la disprezzi, riesco solo a pensare che fosse troppo moderno per l'epoca (solo 5 anni dopo, con il postmoderno impazzante, il citazionismo snob di fine anni '90, inizio anni 00, avrebbe amato un prodotto del genere)... riporto inoltre l'affilato commento di Morandini sulla questione "Soprattutto negli States non si perdonò a Schwarzenegger (anche produttore esecutivo) di avere un cervello meno banale di quello dell'americano medio".

lunedì 19 maggio 2014

The lego movie - Phil Lord, Christopher Miller (2014)

(Id.)

Visto in aereo, in lingua originale.

In una città fatta di lego tiranneggia un oscuro signore che vuole tutti omologati; un banale impiegatucolo felice della sua routine si trova per caso nel posto sbagliato al momento sbagliato e rimane attaccato al mattoncino che dovrà salvare il mondo dal dittatore. Verrà quindi rapito da una ragazza facente parte della resistenza che lo porterà in mondi paralleli dove incontrerà l'intero gruppo; ovviamente li condurrà alla cattura e dovrà cavarsela praticamente da solo, salvando loro e il mondo.

Un film di animazione con tecnica mista stop-motion CGI sostanzialmente impeccabile, sfruttando il meglio di ognuna delle due tecniche; ovviamente utilizza i mattoncini lego per ogni dettaglio determinando un dinamismo incredibile, ma con un effetto straniante nelle scene d'acqua, o cone le nubi. Magnifica anche l'idea dei suoni sostanzialmente corretti tranne che per i versi degli animali o alcuni veicoli, in entrambi i casi sono l'equivalente dei suoni fatti da un bambino che sta giocando, da una parte sottolineando il fatto che si ha davanti dei lego, dall'altra si collega la finale del film.

Si, ero anch'io molto dubbioso sulla riuscita in progetto così cretino come un film sui/coi lego; eppure guardandolo non sono riuscito a non esserne conquistato. Per prima cosa si ride, e molto, tutte le cretinerie (da Batman alla canzoncina idiota dell'inizio, dal nascondiglio segreto fra le nuvole alle citazioni di cartoni animati e fantasy recenti) sono funzionali a gag efficaci e niente cade nel vuoto; anzi la comicità folle prende in giro tutti io punti di riferimento di questo film. Ma l'idea vincente è la mancanza di regola, la totale follia della storia, il suo muoversi in mondi scollegati con personaggi che vanno a scavare nel pop come nell'assurdo con una serie di possibilità date proprio dal fatto che si tratta di personaggi fatto con i lego e per questo soggetti a determinate regole (si la libertà anarchica di questo film è in realtà una pubblicità fatta ai lego, ma direi che c'era da aspettarselo...); di fatto il film è realizzato dagli stessi registi dell'assurdo e magnifico "Piovono polpette". Il vero problema è quando questo getto di surreltà finisce...

SPOILER ALERT
...quando nel finale si rompe l'ultimo tabù e si esce dal mondo dei lego per entrare in quello reale... beh l'idea poteva anche reggere e dare ulteriori possibilità; invece ci si appiattisce sul banale, nel rapporto padre e figlio e il povero Will Ferrell (scelta giusta per dare continuità alle cretinerie) viene relegato in una parte scontata. Anzichè essere d'aiuto, il finale in live action affossa tutto.

venerdì 16 maggio 2014

Fantastic Mr. Fox - Wes Anderson (2009)

(Id.)

Visto in aereo, in lingua originale.

Una volpe, ladro gentiluomo di galline, acculturato amante della libertà e del wilderness si ritrova ad avere un figlio; dovrà mettere la testa a posto, trovare un lavoro fisso e rinunciare alla libertà. Anni dopo è un acuto giornalista, la moglie pittrice ed il giovane figlio un insoddisfatto che vive all'ombra di un padre troppo figo che lo considera troppo poco. Il padre sente sempre più inesorabile la necessità di tornare quello di una volta ed organizza un furto epocale ai danni dei tre cattivissimo uomini che vivono nelle vicinanze; scatenerà una guerra in cui tutti (lui, la sua famiglia, vicini e conoscenti) saranno trascinati.

Che Anderson realizzasse una serie di cartoni animati in live action era chiaro da tempo; recentemente confermato con il film più cartoonistico della sua carriera. Qui semplicemente lo ammette senza vergogna.
Un film in stop motion realizzato da Anderson è qualcosa di molto particolare; ha un sapore vintage fin dalla scelta dei personaggi (realizzati come opere di tassidermia antropomorfa di epoca vittoriana); la trama affabulatoria e caotica (molto fiabesca, ma con una visione moderna senza moralismi); il gusto per il dettaglio enorme... si insomma è molto particolare perché è tutto quello che mette nei suoi film live action, ma che nell'animazione non è una consuetudine.
La regia spigolosa ed ortogonale qui è estremizzata e perfettamente coerente con il racconto, divenendo in alcuni momenti lo scroll laterale dei cartoni animati classici; si veda la scena iniziale che salta direttamente il genere diventando videogioco... altro punto questo che qui si esprime per la prima volta (o io noto per la prima volta), la vicinanza dello stile di regia ai videogame, oltre allo scroll si pensi alle soggettive con la mano del personaggio in primissimo piano.

La storia regge bene, intrattiene ed il mondo in cui è ambientata affascina. L'ho visto in lingua originale ed il doppiaggio è seducente, gli attori sembrano sempre sussurrare, anche nei momenti più concitati.

mercoledì 14 maggio 2014

Il postino suona sempre due volte - Bob Rafelson (1981)

(The postman always ring twice)

Visto in aereo, in lingua originale.

Un uomo si innamora della giovane moglie di un proprietario di una tavola calda; l'uomo viene assunto alla tavola calda e i due iniziano una torrida storia d'amore (quanto amo dire "torrida storia d'amore"). Le cose cominciano a deragliare quando i due tentano di uccidere il marito per intascarne i beni e vivere insieme.

Film tratto dallo stesso romanzo che ispirò "Ossessione" e l'omonimo film degli anni quaranta. In questa versione Rafelson spinge sulla sensualità della vicenda; il rapporto è estremamente carnale, fatto di rapporti sessuali e corpi che si muovono, si amano, si scontrano, si fanno violenza, soffrono; tutto trasuda carne e calore.
Se la prima parte riesce ad interessare ed intrigare parecchio i ripetuti tentativi di omicidio, la lentezza che dalla metà si fa consuetudine e una certa indecisione nella regia rendono il film gravoso e difficilmente empatico, tanto da disfare quanto di buono è stato fatto nell'incipit (o quanto di buono verrà fatto nel finale).
Un dramma poderoso fatto di casualità e incapacità dei personaggi condotto con un cast ottimo (Nicholson lo adoro anche quando gigioneggia, la Lange è semplicemente perfetta).
Nell'insieme l'ho trovato un tentativo buono nei presupposti, ma malriuscito.

lunedì 12 maggio 2014

Midnight in Paris - Woody Allen (2011)

(Id.)

Visto in aereo, in lingua originale.

Uno scrittore americano in vacanza a Parigi con la compagna e i genitori di lei, si isola sempre di più dalla famiglia ed evita gli appuntamenti vacanzieri per passeggiare di notte per la città; qui entrerà in contatto con la Parigi anni '20; letteralmente. Incontrerà Fitzgerald che lo introdurrà nel cenacolo artistico dell'epoca, il contatto con scrittori e pittori gli farà riconsiderare il suo rapporto con l'arte in ogni senso (dalla sua scrittura a ciò che considera arte) ai rapporti interpersonali.

Un Woody Allen dai temi usuali (il rapporto con l'arte, l'impossibilità dei rapporti di coppia, ai rapporti con la città) declinati in una commediola fantastica anch'essa consueta per il regista newyokese, ma talmente lieve da non sentirne la mano pesante (oltre al balbettio di Wilson). Una commedia godibilissima di per se, che può, a chi interessa prestare attenzione, dare molto di più come filosofia di vita e incuriosire con una galleria di personaggi enorme (a mio avviso esagerata, ma che non si limita quasi mai al semplice body count, quasi tutti entrano in scena con uno scopo).

Non l'Allen migliore, ma è incredibilmente un film ben riuscito.

Ottime la prova del cast, di cui ricordo soprattutto la breve comparsata di Brody nelle vesti di un Dalì identico all'originale.

venerdì 9 maggio 2014

Il barbiere di Rio - Giovanni Veronesi (1996)

(Id.)

Visto in Dvx.

Un barbiere divorziato con figli decide di fuggire dalla finanza e dalle grinfie della moglie arpia verso il Brasile, dove lo attende la sorella più anziana e una serie di nipoti non tutti raccomandabili. Finirà a farsi pestare e rubare i soldi da un transessuale, a farsi prendere per il culo da un gruppo di italiani adattatisi alle latitudini, e ad innamorarsi della morosa del nipote malavitoso. Fuggirà verrà ritrovato tornerà in Italia, ma poi i figli sistemeranno tutto.

Commediola in teoria nella scia della commedia all'italiana che per sapidità umilia tutta la categoria. Senza idee, senza nerbo, senza voglia, si trascina avanti con la solita storia usurata e i i luoghi comuni che il Brasile può fornire all'italiano da agenzia viaggi.
Interessante solo per vedere un Abatantuono unico degno di nota (e ora capisco da dove ha preso il suo modo di porti De Luigi), una Irene Grandi inutile in una parte che fa da carta da parati nella storia, e una Margaret Mazzantini stronza impeccabile... c'è pure un giovane Papaleo che passa di li.

mercoledì 7 maggio 2014

The last performance - Pál Fejös (1927)

(Id.)

Visto qui.

Un mago si innamora della sua giovane aiutante (e le chiederà di sposarlo) e mantiene vicino a se un altro irritante aiutante. Una notte trova in casa sua un disperato che gli sta svaligiando la tavola imbandita; decide di dargli una possibilità e lo assume come aiutante dell'aiutante. Gli diverrà molto caro finché non scoprirà (grazie all'aiutante odiato) che se la fa con la sua innamorata (proprio la sera in cui voleva pubblico il loro futuro matrimonio). Poker face come pochi finge che nulla sia successo, ma durante una performance con le spade fa uccidere l'aiutante odioso dal suo concorrente in amore. In tribunale confesserà per amore...

Al di là del finale incomprensibile (come al solito), che però smaschera un meccanismo intelligente, questo è un ottimo film.
Veidt veterano dei palcoscenici e dell'agnizione da il viso gelido ad un uomo innamorato che medita una delle vendette più intelligenti in maniera impeccabile come di consueto.
Intanto dietro la macchina da presa lo sconosciuto (per me) Pál Fejös fa miracoli. Se la trama nella fase centrale rallenta molto, la regia è una delle più movimentate che ricordi nel cinema muto. Una serie di carrelli continui in avvicinamento e in allontanamento (si pensi alla cena dell'annuncio del matrimonio con la mdp che corre continuamente sul tavolo); costruisce veri e proprio piani sequenza (l'inizio del primo spettacolo o il fuggi fuggi in teatro dopo la morte dell'assistente) che vedo qui per la prima volta nel cinema degli anni '20 (ma ora mi devo documentare); ma se anche tutte queste creazioni non ci fossero state, sarebbe sufficiente la lunga sequenza dello spettacolo iniziale a far applaudire (inquadrature da ogni angolazione, scena mostrata di spalle per inquadrare la sala e dare profondità all'immagine, inquadrature oblique per mostrare il dietro le quinte).

lunedì 5 maggio 2014

El topo - Alejandro Jodorowsky (1970)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato.

Un pistolero salva un gruppo di frati da 5 banditi, li abbandona il figlio per prendere con se la donna del capo dei banditi. Persi in mezzo al deserto la donna chiede al pistolero di battere i 4 maestri nell'arte del duello che li vivono. Il pistolero accetta e riuscirà a vincerli tutti tranne l'ultimo che si opporrà al duello. Sconfitto fuggirà, sarà inseguito e colpito a morte. Ancora vivo, in realtà, verrà soccorso da un gruppo di freaks che lo porteranno nella loro città sotterranea dove rimarrà in coma per anni e loro lo adoreranno come un loro dio. una volta rinvenuto uscirà dalla città sotterranea con una nana per aprire (da fuori) una galleria per permettere a tutti di uscire ed entrare nella città vicina. Ma proprio nella città vicina entrerà in contatto con il peggio creato dall'uomo, e li incontrerà il figlio abbandonato.

Film western (biblico) surrealista più che surreale. Una storia simbolica fino all'eccesso, dove tutto è prepotentemente simbolo (oggi definibile new age, ma all'epoca stava tra l'hippie e l'originale), spesse volte comprensibile, molte altre personale del regista. Per essere un film surrealista di 2 ore è incredibilmente godibile, grazie ad una storia fatta di personaggi strani, ma assolutamente lineare nello sviluppo, latita solo un po nel ritmo.
Jodorowsky dimostra, come regista, di aver visto Sergio Leone, ma di utilizzarlo il meno possibile. Per il resto si dimostra un ottimo disegnatore di immagini, con i mezzi a disposizione, tira fuori alcuni shot notevolissimi (il colonnello nella stanza circolare dell'inizio, quasi tutta la preparazione del primo maestro al duello, i conigli morti nel recinto, tutto l'incredibile incipit), un personaggio epico nel suo essere un filosofo/frate/pistolero silenzioso e una serie di sequenze incredibili per forza e visione (per me su tutte vince la roulette russa in chiesa per dimostrare la fede). A questo si aggiunge una certa immobilità della macchina da presa compensata da un montaggio sincopato utilizzato al posto dei movimenti (carrellate all'indietro sostituite con zoom negativi, montaggio parallelo di scene in sequenza). Quello che manca è una maggior cura nella fotografia.
Esperimento riuscito.

PS: El topo è interpretato dal Jodorwsky stresso ed il bimbo dell'incipit da suo figlio; anni dopo il regista (poeta, filosofi, psicologo, ecc...) sarà costretto a sottoporre il primogenito ad un atto di psicomagia per chiudere la ferita aperta da quello che viene obbligato a fare nel film. True story.

venerdì 2 maggio 2014

Il castello maledetto - James Whale (1932)

(The old dark house)

Visto qui, in lingua originale.

Marito, moglie e amico, finiscono fuori strada durante una notte di tempesta, vittime al contempo di un'alluvione e una frana; verranno "accolti" in una lugubre casa (quella del titolo originale) da un uomo terrorizzato da tutto, la sorella che odia apertamente tutti e un maggiordomo muto, alcolista e violento. Ai tre si aggiungerà un'altra coppia arrivata li per lo stesso motivo (zona molto trafficata mi pare). Quello che non sanno, ma scopriranno a breve è che ai piani alti della casa c'è pure un centenario morente ed il terzo fratello dei padroni di casa, piromane e assassino.

Il film è composto da una prima metà apertamente nel genero commedia (anche brillante, soprattutto all'inizio) ed una secondo più dinamica e drammatica.
Delle due metà, a mio avviso, non se ne salva nessuna.
La parte della commedia è irrimediabilmente invecchiata, non è divertente, intrattiene a stento e si perde nel chiacchericcio spesso inutile dei personaggi intorno al tavolo, al fuoco o nella macchina. La seconda parte appare più assurda; non mi è chiaro come e perché i personaggi si comportino in quel modo, per quale motivo il terzo fratello sia una minaccia così pericolosa; non mi è arrivata tensione (neppure al netto del tempo passato) e anche nelle parti più dinamiche il tedio ha il sopravvento.

Film di impostazione teatrale (tutto dialoghi continui e ambientato in 2 o 3 stanze senza dinamismo), Whale indugia poco nel gotico che solo l'anno prima lo ha reso famoso; gioca un poco con le ombre (molto poco) e con gli specchi (un poco in più), con qualche bell'effetto che però si perde nel mare di noia.
Nuova collaborazione del regista con un irriconoscibile Karloff messo li come carta da parati; il film si fregia della partecipazione di un giovane (ma qui inutile) Laughton e di un intero cast di nomi interessanti completamente sprecati.