Da quest'opera, pochi anni dopo, Nolan trarrà il suo film omonimo.
Il film vive tutto sul rapporto con l'ambiente in cui è girato. Il circolo polare artico, il freddo e la luce pervasiva del sole di mezzanotte. Tutto gira attorno a questo elemento; il protagonista algido e distaccato (ma sempre più sofferente), la fotografia desaturata che rende visibile il mood, il ritmo, continuo, ma rilassato che porta avanti una trama ricca di suggestioni e autodistruzione.
L'opera, insomma, è il contenitore che prende la forma del proprio contenuto, trasformando un normale giallo in un'epopea umana dell'ispettore svedese disposto a tutto per arrivare in fondo alla vicenda di cui è vittima e carnefice allo stesso momento.
Se la vicenda, ben scritta, si appoggia tutta all'estetica calma e senza speranza, la credibilità della trama trova una sponda fondamentale in (un giovanile) Skarsgård, protagonista impeccabile, che gioca con l'impassibilità professionale dell'inizio per poi deviare verso fastidio, desiderio e consunzione continua e e in costante peggioramento, una prestazione ottima.