mercoledì 30 aprile 2014

L'evocazione, The conjuring - James Wan (2013)

(The conjuring)

Visto in Dvx.

Anni 70, nella migliore tradizione americana, una dolce famigliola (moglie marito e... 5 figlie! tutte femmine!!!) si trasferisce nella casa nuova; tempo 30 secondi e cominciano a esserci stanze segrete, rumori sospetti, morti improvvise, oggetti che si muovono e  porte che si aprono da sole. Who ya gonna call? La famiglia Warren!
Lei sensitiva, lui esorcista ufficioso, entrambi indagatori dell'incubo, scientifici (per quanto possano permetterlo i 70's), seri ed efficaci.

Un appunto; mi rendo conto che nel parlare di film (soprattutto di genere; soprattutto horror) tendo all'entusiasmo, sempre; quindi diciamolo subito, questo film non è un capolavoro, mi è piaciuto, ma è caduto nel finale.

Bon.
Curioso mesh up di Poltergeist, L'esorcista e PSI factor in ambiente vintage; realizzato dall'enfant prodige James Wan. James Wan ha avuto un'idea geniale e l'ha sfruttata fino in fondo; per il resto è un ottimo mestierante che ha divorato il cinema (horror soprattutto) e lo conosce in maniera enciclopedica (e lo cita a mani basse, in questo film soprattutto, basti vedere anche solo la lista che ne fa wiki). In questo film decide di non pensare a niente di nuovo (giuro; neanche un'idea che sia una), ma utilizzare i cliché più usurati per fare un film horror convenzionale. Sfida quasi assurda; ma a mio avviso vinta in pieno.
Tutta la prima parte è fatta di rumori fuori campo, forze invisibili che aprono porte e tirano piedi, di ragazze affette da sonnambulismo, visioni (che lo spettatore non vede) e classici giochi di buio e luce (categoricamente di lampadine appese al soffitto o fiammiferi); niente di nuovo, ma tutto usato con lenta maestria che conduce con ansia verso la scena madre di metà film (quella in cui la madre è rinchiusa in cantina e la figlia viene aggredita), vero gioiello di atmosfera e tensione che non vedevo da tempo (ma prima è encomiabile almeno la scena del gioco del battimani della madre).

Nella seconda parte entrano in gioco i Warren; due personaggi realmente esistiti; borghesissimi, chiccosi e seri; entrano in campo a gioco iniziato e iniziano a muoversi ad armi pari con i demoni. li conoscono, li studiano da tempo, sono i professori universitari del male. Questi personaggi fanno cambiare completamente la storia, ma sono il vero valore aggiunto che permette ad un perfetto film de paura di farsi ricordare. Tutte le tecniche base utilizzate fino a questo momento vengono affrontate da loro senza un plissè con la calma sicurezza del professionista; era proprio dai tempi di Poltergeist che non entrava in campo un esperto di ESP degno d'essere menzionato; non più la tensione o lo spavento, in primo piano ora c'è il rapporto con esso.
Nel finale infine si deraglia nel demonologico basso (un po jhorror un po L'esorcista) e i luoghi comuni infastidiscono (non c'è genere più inutile dell'esorcismo; perché il capostipete è partito a mille e non è pensabile di superarlo) facendo crollare un film fino a quel momento impeccabile.

Ovviamente la camere dei demoni in casa Warren (idea idiota, ma geniale), la chiamata del prete finale e un po tutto l'andamento del film lascia aperte possibilità per molti seguiti; il che non è un male, se ben usati questi due saranno dei gran personaggi.

lunedì 28 aprile 2014

È stato il figlio - Daniele Ciprì (2012)

(Id.)

Visto in DVD.

Una bambina muore per sbaglio per una pallottola vagante; questo omicidio viene sfruttato dalla famiglia, fingeranno che la bimba sia morta per mano della mafia per avere un risarcimento dallo stato. La famiglia comincia a spendere i soldi che non ha, contrae debiti e deve rivolgersi ad uno strozzino. Quando finalmente i soldi arriveranno verranno spesi per comprare una macchina.

Che Ciprì, anche in coppia con Maresco sia interessato in primo luogo ai corpi (secondariamente ai visi) è cosa nota; ma qui estremizza, l'obesità, la magrezza estrema o i muscoli, l'andatura sbieca o ingobbita, i sorrisi tirati e le posizioni delle braccia (ma anche nanismo, voci stridule e la semplice accozzagli di corpi sempre vicini gli uni agli altri) sono tutte maschere che delineano il personaggio in maniera chiara. Un tale estremismo che lo mette sullo stesso piano di Jared Hess (di cui condivide anche la cura per la fotografia e l'ambientazione vintage) con gli stessi ottimi risultati.
Che Ciprì sia interessato alle immagini è evidente in ogni scena; al di la della fotografia strepitosa, la scelta delle location, è incredibile; tutto è bellissimo, le discariche, i condomini alveari, le spiagge e le navi in demolizione, tutto è estetizzante; allo stesso modo in cui i suoi personaggi sono dei bellissimi freak anche il mondo che li circonda li rispecchia, c'è un degrado enorme, ma è un degrado simmetrico e ordinato. E in tutto questo anche le persone entrano a far parte dei luoghi; se i corpi dei protagonisti sono utilizzati per parlare, ci sono dei veri e propri monoliti all'interno della vicenda (il vecchio in mezzo allo spiazzo del condominio, la bambina che chiede di giocare) che hanno il solo scopo di delineare un luogo, come gli oggetti che li circondano; splendido.

In questa selva di scelte estetiche, la macchina da presa si muove di conseguenza, niente invenzioni definitive, ma una pedissequa ricerca della bellezza dell'immagine, seguendo i personaggi, inquadrandoli dal basso, mettendoli in secondo piano, mettendo in risalto i tic o le deformità, inquadrandoli dentro a cornici o allontanandosene con carrelli continui.
Fa di tutto Ciprì e prima ancora di una vicenda grottesca fatta di piccole persone che sopravvivono senza uno scopo ce le mostra; ce le fa percepire in maniera precisa; non ha bisogno di dire nulla perché le immagini parlano perfettamente. Di fatto una prosecuzione dei lavori precedenti, ma più godibile (più commerciale se vogliamo, ma nel senso migliore) e sempre impeccabile a livello tecnico.

Infine la trama; un racconto di un racconto in cui il narratore parla con un pubblico (è in fila in posta) senza però che sia chiaro a chi si rivolge (sempre che si rivolga a qualcuno e non solo a se stesso); la storia raccontata è un grottesco estremo dove nessuno degli eventi narrati è accomodante, buono o consolatorio; tutto e tutti i protagonisti, persino le vittime (si pensi alla bambina uccisa che è una piccola stronza), sono negativi. Una storia di per se terribile, trattata con i toni e i ritmi di una farsa riuscitissima, con una galleria di personaggi epici per buffoneria.

Infine il cast, perfetto, dove risalta Servillo; non perché migliore degli altri, ma in quanto attore più famoso, completamente irriconoscibile nelle smorfie del suo personaggio.


venerdì 25 aprile 2014

La generazione rubata - Phillip Noyce (2002)

(Rabbit proof fence)

Visto in DVD, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Anni '30 il governo australino prende i figli mezzosangue degli aborigeni per farli diventare dei bravi bianchi in modo che, con le generazioni, ogni traccia di meticciato venga persa (questione spinosa che è rimasta attiva fino agli anni '70 del 900!!!). Due sorelle e la loro cugina decidono di fuggire da quella specie di orfanotrofio per tornare a casa a oltre 3000km (parlano in miglia quindi non son sicuro). Ce la faranno, a piedi nel giro di mesi, facendosi guidare dall'enorme recinzione che va da oceano ad oceano che serve a tenere i conigli lontani dai campi coltivati.

Phillip Noyce gira con un rigore encomiabile, senza guizzi, tutto concentrato sulla storia e sui paesaggi (lo so che è quasi un luogo comune far parlare i paesaggi in un film australiano, ma qui è la storia di un viaggio in mezzo ad un deserto da parte di tre bambini!), con una fotografia ben curata; si concede solo l'utilizzo della soggettiva per tentare una maggior amplificazione delle emozioni, la usa molto, ma sempre in momenti utili. La storia si muove nella prima parte (che potremmo definire rapimento e carcere) in maniera inutile e totalmente accusatoria (siamo tutti d'accordo che i bianchi idioti abbiano commesso un'infamia, ma proprio perché siam tutti d'accordo si potrebbe evitare di mostrare il gretto e freddo funzionario che compie il suo dovere); ma nella seconda, dove il viaggio diventa inseguimento a distanza (distanze siderali), fatto di piccole arguzie, incontri fortuiti, piccoli colpi di sfortuna, tutto a misura di bambini (un tono un poco sognante riempe ogni scena) e tutto incredibilmente arioso e ampio, lento e tranquillo anche nei sussulti.
Non un film perfetto, ma un'opera ammirevole che fa dell'inseguimento un "luogo dell'anima" (se mi si passa l'usurata espressione fuori contesto).

PS: ovviamente c'è l'immancabile David "The tracker" Gulpilil che fa la sua porca figura

mercoledì 23 aprile 2014

Grand Budapest Hotel - Wes Anderson (2014)

(The Grand Budapest Hotel)

Visto al cinema.

Una ragazza nel 2014 legge il libro di uno scrittore, che ne parla nel 1985; i fatti risalgono agli anni '60 e si basano sul racconto di un personaggio che si riferisce alle proprie esperienze come garzoncello del Grand Budapest Hotel negli anni '20.

Si era notato che Anderson si ispirava ai cartoni animati per il suo film, o quantomeno ne riproponeva gli stilemi in live action (personaggi in divisa, gesti convulsi, regia ortogonale spesso con carrellate laterali alla Flintstones). Fantastic Mr. Fox fu solo una presa di coscienza e, anzi, un'allontanamento dai canoni classici del proprio cinema e dei cartoons. Qui in questo film però Anderson va oltre e mette in scena in tutto e per tutto un cartone animato degli anni '30, demenziale, sincopato, rapido e con personaggi standardizzati (i cattivi in nero, i buoni sempre buoni) e surreali.

La cura nei dettagli è come al solito ottima, qui però si sfoga nel dare nuove interpretazioni alle stesse location (bellissimo però l'uso dello stile e dell'arte mitteleuropeo); gli abiti usati come divisa qui vengono portati alle estreme conseguenze (come si diceva i cattivi vestiti di nero; le divise degli alberghi tutte uguali solo di colori differenti, ecc...); le movenze agitate dei personaggi raggiungono nuovi picchi; la trama più surreale e più semplice di sempre; la regia ortogonale qui va a nozze con ogni scena, viene però introdotta e abusata la panoramica a schiaffo che da una velocità maggiore alle sequenze. Qui si aggiunge anche un citazionismo che nei precedenti non avevo notato, dall'inseguimento nel museo che sbeffeggia Hitchcock, al controllo degli alimenti in carcere preso paro paro da Il buco (o è Un condannato a morte è fuggito? questi due li ho mischiati nella memoria...).
Quello che però più stupisce è il ritmo esagerato del film; da quando parte la porzione di film principale è un susseguirsi ininterrotto di fughe, inseguimenti, lotte, talvolta interrotto solo da un ritorno al presente (il terzo presente) che serve davvero ad alleggerire un ritmo troppo serrato. Un piccolo gioiello di lungometraggio d'azione.

PS: Il cast titanico per nomi messi in campo (così tanti che mi è sfuggito Keitel) e per minutaggio di ognuno (incredibilemnte alto se si considera quanti sono) è più un segno della moda che circonda il regista che altro; rimane comunque un motivo in più per guardarsi il film.

lunedì 21 aprile 2014

Quella casa nel bosco - Drew Goddard (2012)

(The cabin in the wood)

Visto in DVD.

Bene, proviamo a parlare di 'sto film.
Cabin in the wood comincia con un paio di colletti bianchi che parlano del più e del meno... inizio da commedia.
Poi; secondo inizio. Cinque ragazzi americani che più banali non si può decidono di passare il weekend in una qualche baracca montana sperduta in mezzo al niente e lontano da chiunque li possa salvare in caso di attacco zombie.
I due inizi sottendono a due film che sembrano correre in parallelo (infiltrandosi l'uno nell'altro); da una parte una commedia nera, dall'altra "La casa" ricalcata minuto per minuto con solo l'aggiunta di un limone duro ad lupo impagliato.
Poi ad un certo punto le cose si faranno decisamente più chiare, ma in quel momento il film perderà completamente la testa e diventerà un'assurdo balletto con schizzi di sangue ovunque.

Non si può dire altro per non rovinare un film che fa, non dei colpi di scena, ma dei cambi di punti di vista, la sua forza.

Ci sono comunque diverse cose da dire.

1- Questo è un film meta-cinematografico; sulla scia di uno Scream o (meglio) di un Behind the mask, ma in maniera decisamente diversa; utilizza tutti gli stilemi del genere per un motivo preciso, ma il motivo non pesa e non pretende di chiarire come funzionano le usa per veicolare un finale assurdo che altrimenti non avrebbe mai potuto esistere.
2- Questo film non è un horror, non per davvero almeno, in realtà è una commedia; con una porzione cretina con i colletti bianchi (bellissima la telefonata in viva voce!) e con una parte più prettamente in ambiente horror che ha una serie da idee da 15enne, non fa ridere, ma ti fa passare via tranquillamente.
3- Si c'è almeno una testa segata, qualche quintale di sangue e pure un paio di tette che non t'aspetti; ma non è un film splatter, si ferma sempre poco prima; si vede il sangue, ma non da dove arriva.
4- Questo è un film citazionista abbestia, oltre a La casa cita qualche altra decina di film di genere in un finale che vive di quello.
5- Non perde mai la sua follia iconoclasta neppure alla fine (SPOILER ALERT, si pensi all'idiozia dell''unicorno che incorna o al tritone che uccide! SPOILER ALERT FINITO).

Ecco detto ciò possiamo riassumere in questo modo. Un film cazzaro in ogni senso fin dalle prime immagini. Cazzaro perché fa ridere e cazzaro perché non si prende sul serio. Utilizza l'horror classico in maniera enciclopedica solo per dare l'avvio ad un finale enorme. E questo finale è tutto il film. Se non piace la sbroccata degli ultimi 20 minuti il film non può piacere in toto.
Personalmente l'ho adorato; dall'inizio alla fine. Rimane un film idiota, ma di un'idiozia estremamente intelligente.

venerdì 18 aprile 2014

L'eliminatore, Eraser - Chuck Russell (1996)

(Eraser)

Visto in tv.

Schwarzenegger è deputato alla protezione testimoni; ovviamente è il migliore nel ramo. Quando però viene incaricato di proteggere una ragazza (ovviamente gnocca) non sa che sta per cacciarsi in un guaio. Lei sta per far crollare un senatore che metterà alle sue calcagna chiunque, comprese le forze dell'ordine. Schwarzenegger ingaggerà un uno contro tutti devastante.

Ovviamente questo film non è granché. Non lo si può annoverare fra i (molti) capolavori del governator. Ma non per le solite critiche cretine contro i film action anni '80-'90, perché è ovvio che qui la storia sia una barzelletta e gli attori pochi inclini recitare; qui proprio manca la voglia... anzi diciamola tutta, c'è una tendenza alla brutta recitazione più spiccata del solito...
In ogni caso è la svogliatezza generale a non far mai ingranare, anche se sulla carta le idee (eccessive) per riuscire c'erano tutte. Di fatto, dopo il periodo delle commedie Schwarzenegger tornava all'action puro, ma come poterlo fare dopo tutta quella (auto)ironia e dopo le esagerazioni anni '80? Ovviamente schiacciando ancora sull'acceleratore. Il machismo anni '80 qui fa il salto di qualità, diventa supereroismo fumettistico; agli anni '90 non serve Superman, perché c'è già Schwarzenegger.
Secondo me l'idea, esagerata, poteva funzionare. Tuttavia la stanchezza di realizzazione (il film è nelle mani di Chuck "non ho idee" Russell) ammazza scene potenzialmente epiche, su tutte il volo dall'aereo senza paracadute, e azzecca diverse scene che convincono più per idiozia che per prova muscolare (sto parlando di Arnold vs alligatori; ovvio).
Il finale particolamente debole (parlo dello scontro finale) riesce a concludere un film riuscito meno che a metà. Rimane un buon intrattenimento televisivo quando non c'è nient'altro...

mercoledì 16 aprile 2014

Arsenico e vecchi merletti - Frank Capra (1944)

(Arsenic and old lace)

Visto in DVD.

Un critico teatrale allergico al matrimonio (Grant), alla fine, cede e si sposa. Il giornod el matrimonio, poco prima di partire per il viaggio di nozze passa a salutare le due zie zitelle che abitano a Brooklyn; sfortunatamente scoprirà proprio in quel momento che le due vecchiette hanno un'attività caritatevole particolare; invitare in casa proprio e poi uccidere delle persone sole, per sotterarle in cantina. Le cose si complicheranno quando il fratello criminale di Grant si presenterà dalle ziette con un cadavere suo.

Commedia nera e grottesca in maniera inimmaginabile per i tempi condotta con mano incredibilmente ferma da Frank Capra.
Diciamolo subito, io sopporto poco Cary Grant e ancor meno quando fa il picchiatello. Tutta la prima parte è stata per me un lento aspettare che Grant bevesse accidentalmente il vino di sambuco. La seconda invece, dove le atmosfere si fanno più cupe, i personaggi aumentano (entrano in scena un bravissimo e giovanissimo Lorre e un Massey che fa il verso a Boris Karloff, prima scelta per quella stessa parte), la storia si fa più interessante con una sorta di commedia degli equivoci, il ritmo più serrato, ecco in questa seconda metà il film decolla.
Capra fa miracoli con quello che ha, una stanza ed un cimitero, l'uso delle ombre e una manciata di caratteristi di livello. Bravo.

PS: estremamente irritante il doppiaggio d'epoca, sia per pronuncia che per tono.

lunedì 14 aprile 2014

Marina Abramović: The artist is present - Matthew Akers, Jeff Dupre (2012)

(Id.)

Visto in tv.

Il resoconto della personale di Marina Abramović al MoMA, l'ideazione della performance da fare per quell'occasione e la performance stessa, le difficoltà nel compierla e le emozioni date al pubblico.

Questo è un film per chi già conosce la Abramović. C'è un breve resoconto di quanto fatto nel suo passato, ma solo per motivare le emozioni esternate nell'incontro con Ulay e questo solo perché quell'incontro modifica e da un sapore in più alla performance al MoMA.
Questo è un film per chi già sa cosa sta per guardare perché, coraggiosamente, parla solo di quel preciso momento. Stranamente si; questo è un documentario su un evento che viene considerato epico; viene mostrato il suo nascere; poi lo svolgimento, ed è qui che il film spinge ulteriormente. Lo svolgimento ha chiaramente due intenti: sottolineare l'enorme sforzo dell'artista nel suo stare immobile a fissare chi ha davanti, la forza mentale e l'energia fisica per compiere una atto che è una tortura volontaria per 6 ore al giorno per 3 mesi (e, a dirla tutta, il senso viene reso bene, ma solo nella prima parte, poi si perde nel veicolare il secondo concetto); il secondo è il rapporto col pubblico, anzi le emozioni stimolate dall'artista nel pubblico, non indaga i motivi, i rapporti con l'opera d'arte o le conseguenze, solo le reazioni immediate (e questo è forse il vero picco del film).

Che dire, non può piacere a tutti, perché può non essere chiaro a chi non conosce la protagonista; in secondo luogo perché il ritmo è piuttosto lento e, nella seconda parte, i silenzi superano le parole. I registi fanno un lavoro egregio nel cercare inquadrature affascinanti in un ambiente ristretto sempre uguale a se stesso (sono aiutati dal fatto che è già scenograficamente predisposto); sono invece poco interessati al montaggio (peccato, un'occasione buttata). Se poi le esperienze di questo episodio particolare possono essere utilizzate per un'idea d'insieme (non solo le emozioni nel guardare la Abramović, ma magari il rapporto tra opera e fruitore) non lo so, anche perché il finale da un senso di sollievo e abbandono nel contempo, un pò come alla fine di una performance di 3 mesi...
Forse è solo un documentario su un episodio, ma è decisamente ben condotto.

venerdì 11 aprile 2014

I gigli del campo - Ralph Nelson (1963)

(Lilies of the field)

Visto in tv.

Poitier è un tuttofare che gira in macchina in cerca di lavori vari; incappa in gruppo di suore tedesche (!) che gli chiedono di riparare il tetto; con questa scusa lo incastrana "controvoglia" a costruire una cappella. C'è bisogno di dire che impareranno a conoscersi e ad apprezzari per come sono nonostante le differenze?! e c'è bisogno di dire che Poitier arriverà a prendere sul serio la costruzione della cappella tanto da essere da esempio alla comunità che lo aiuterà spontaneamente?
Beh l'ho detto comunque.

Film che contestualizzato è indubbiamente un tentativo di riconciliazione cinematografica importante con gli afroamericani, considerando che uscì nell'anno della marcia su Washington di Martin Luther King direi che fu decisamente coraggioso (Hollywood che prende una posizione così netta in una questione interna!). Ed è anche un pezzo fondamentale della storia del cinema americano per il primo oscar vinto da un afroamericano. Direi quindi che va visto per motivi storici.
Anche perché altri motivi sono piuttosto deboli. Una storia scontata e stucchevole fin dall'inizio, con una serie di sequenze che se durassero 30 secondi sarebbero accettabili, ma ripetute per tutto il film fanno venire l'orticaria per l'idiozia (le "lezioni" di inglese di Poitier alle suore); un andamente rilassato per una storia senza sussulti poi può facilmente scadere nel poco interessante. Pure le interpretazioni non mi sono sembrate così magistrali...
Unico punto nettamente positivo la splendida grana del bianco e nero utilizzato.

mercoledì 9 aprile 2014

Hair - Miloš Forman (1979)

(Id.)

Visto in tv.

Un ragazzo dell'entroterra statunitense arriva a New York per partire come militare per il Vietnam; a Central Park però incontra un gruppo di hippie a cui si lega, più per ingenuità che per pacifismo e schieramento politico. Passerà due giorni intensi, fatti di libertà, innamoramenti e droghe lisergiche. Partirà comunque per il campo di addestramento; gli amici lo raggiungeranno, ma per uno scambio di persona non sarà lui a volare in Vietnam.

Musical anni '70 (anche se ormai siamo negli '80s o quasi), tutto giocato con canzoni rock, stile visivo minimalista e abolizione di coreografie elaborate.
Le musiche: sono fighe. Non tutte sono memorabile, ma quelle che effettivamente rendono di più sono quelle passate alla storia "Let the sunshine in" e "Aquarius"; ma neanche le altre sfigurano.
Lo stile visivo minimalista è quello tipico anni 70, non solo dei musical, ma un po del cinema in genere di quegli anni (tranne Kubrick ovvio)... questo io lo considero un problema non essendo mai stato in grado di apprezzare quei colori azzoppati e quella grana grossa della pellicola. Comunque si può sorvolare.
L'assenza di coreografie è un'idea già presente in quel decennio, ma qui Forman fa qualcosa di più; eliminando le danze decide di ballare con la regia; anzi con il montaggio. Sono le apposizioni di immagini, la sequenza di azioni, luoghi e personaggi montati insieme a dare ritmo alle canzoni; idea entusiasmante che da vita anche ad alcune scene molto ben riuscite (su tutte quella del trip da acido).

Il vero difetto è l'assenza di una storia e il cast.
L'assenza di storia spesso fa in modo che le singole scene siano disgiunte da quelle adiacenti... tuttavia quanti sono i musical con una trama valida? A mio avviso in questo genere l'assenza di storia (che in questo caso c'è, ma è debole) in un musical è un problema solo in parte.
Il cast... li ho odiati quasi tutti... davvero non li sopporto... ma le canzoni comunque ti fanno dimenticare i cantanti.

lunedì 7 aprile 2014

La zona morta - David Cronenberg (1983)

(The dead zone)

Visto in tv.

Un insegnante rimane in coma per 5 anni a causa di un incidente. Al suo risveglio si rende conto di vedere episodi del passato o del futuro dell persone con cui entra in contatto. Gli episodi del passato si rivelano infallibilmente corretti; quelli del futuro invece sembrano più probabilistici, si rende conto di riuscire a modificare gli eventi. Nel finale dovrà porsi una domanda imbarazzante; se fossi davanti ad un nuovo Hitler sarebbe giusto ucciderlo in via preventiva?

Primo film hollywoodiano di Cronenberg e, forse, il meno personale di sempre. Difficile trovare una sua tematica classica in questa storia se non tirandola molto (vogliamo vedere un qualche discorso sulla trasformazione? o magari sui giochi della mente?). Anche lo stile è asciuttissimo e concreto come ci ha abituati di recente, ma assolutamente distante dagli eccessi degli anni '80. Il film però ingrana bene; sembra bypassare (non so quanto volontariamente) la parte più prettamente fantasy del gioco di vedere nel tempo e si concentra sulla sofferenza di un uomo isolato per la sua metamorfosi, escluso da un'ambiente che era il suo fino a poco prima (per lui sono passati pochi minuti, per tutti gli altri 5 anni), un uomo che si trova fra le mani un qualcosa che non capisce, non controlla e non sa fino a che punto è affidabile. Tutto questo viene magistralmente mostrato da un misuratissimo CHRISTOPHER WALKEN (per rispetto devo scrivere il nome di questo grande attore tutto in maiuscolo) che nell'interpretare un uomo banale immerso nello sconforto e al limite della psicosi è semplicemente impeccabile.
Indubbio però qualche momento con il freno a mano tirato che porta avanti la vicenda personale del protagonista senza particolari scopi.

PS: non ho mia letto il libro, ma per emozioni che trasudano dallo schermo (e non per mera qualità delle immagini) questo è, forse, la miglior trasposizione cinematografica di un film di King.

venerdì 4 aprile 2014

Angoscia - George Cukor (1944)

(Gaslight)

Visto in dvd.

Una ragazza assiste alla morte della ricca zia senza riuscire a fermare (o identificare) il colpevole. Fugge in Italia dove rimane fino alla maggiore età. Lì divenuta cantante d'opera e donna nel contempo, decide di sposarsi e tornare a vivere a Londra nella casa della zia. Spoiler alert: non sarà una buona idea. Lì comincerà ad avere strane sensazioni, a dimenticare le cose e le azioni, a vedere e sentire cose che non esistono.

Detto così sembra un thriller interessantissimo e moderno; in realtà è evidente fin da subito chi sia il colpevole; eppure nonostante questo il film funziona.
Il cast enorme (tutti bravi, solo Cotten recita con il pilota automatico, ma è la parte a richiedere pochissimo sforzo) da vita al tormento di una donna, al suo scivolare verso la follia e all'apparente inesorabilità della cosa.
Curiosamente, nonostante tutto sia evidente fin da subito, è proprio quando viene svelato ufficialmente ciò che sta accadendo che il film perde forza; nel finale la tensione crolla completamente e ci si addentra pure in un paio di idee francamente imbarazzanti; ma il gigantesco gioco psicologico fatto nella prima ora e mezza non si può dimenticare così facilmente.

Cukor poi sorprende in maniera incredibile; il bianco e nero è di una grana affascinante (ma spesso mi succede d'essere affascinato dal B/N) Cukor passa oltre, gioca un poco con le ombre e con le luci, ma soprattutto decide di superare il noir e di giocare con gli elementi della scena mettendo in primo o secondo piano ciò che gli interessa mostrare assieme agli attori e si muove con brevi ma bellissimi movimenti di macchina che sottolineano la relazione fra gli oggetti, la tensione che aumenta, la claustrofobia.

Oscar alla Bergman che fa egregiamente la parte della matta tutta tesa a nascondere le emozioni che le traspaiono sul viso; e primo film di una giovanissima Angela Lansbury che riesce comunque a dire la sua.

mercoledì 2 aprile 2014

Yentl - Barbra Streisand (1983)

(Id.)

Visto in tv.

La Streisand è figlia unica di un rabbino di un villaggetto dell'Europa orientale; con lui studia teologia, ma deve nascondersi agli occhi sessisti dei compaesani. Alla morte del padre, si "traveste" da ragazzo e si iscrive ad una scuola talmudica. Qui si innamorerà del suo compagno di studi. Se già così l'assurdometro è notevole le cose si complicano quando la fidanzata dell'amico viene data in sposa a lei... Dopo il matrimonio (!) la Streisand le proverà tutte per non dover fare sesso con la neo moglie. Alla fine ammetterà il proprio sesso (e l'amore all'amico)...

Storia assurda e accomodante oltre ogni dire tratta da un'opera di Singer (che a intuito deve essere migliore). Messa in scena notevolissima con costumi e location perfette.
Quello che non è perfetto è l'assurda Streisand che interpreta un uomo (un brutto uomo tra più femminei che si possa immaginare), che interpreta canzoni assolutamente dimenticabili (non mi si dica che ce n'è anche solo una di decente) interpretate con stile (e ci mancherebbe), ma che allungano tantissimo il minutaggio senza alcuno scopo. Le scene canore poi sono dirette (dalla stessa Streisand!!) con una noia e una mancanza di fantasia che ha del notevole.

Di fatto un carrozzone che la Streisand crea per far rifulgere se stessa.