venerdì 30 dicembre 2011

Operazione diabolica - John Frankenheimer (1966)

(Seconds)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
SPOILER. Randolph è un medioborghese oltre la mezzetà, più o meno senza sbocchi, chiuso in una vita buia... da un poco sembra essere pedinato (bella la sequenza iniziale) e torturato telefonicamente da un amico... peccato che quell'amico sia morto. Andrà ad un appuntamento per capire cosa sta succedendo e si ritroverà dentro un'azienda che cambia l'identità e la vita, senza che tu lo voglia, semplicemente ti scelgono e ti cambiano vita. Randolph subisce un intervento di plastica facciale e diventa Rock Hudson (ah ah ah ah), si trasferisce in California dove farà il pittore, ma le cose non andranno per il verso giusto e l'azienda che cambia le vite non avrà ancora finito il suo lavoro.

Film affascinante, dall’idea originale e decisamente ben realizzata (in fondo l’assunto è semplice, una ditta permette di cambiare letteralmente la tua vita, solo che non da possibilità di scegliere quando) con un colpo di scena finale, prevedibile, ma orchestrato in maniera da colpire in ogni caso.
Frankenheimer da sfoggio di tutte le sue capacità molto anni ’60, con camere ravvicinante, che seguono i personaggi in maniera ansiogena e con montaggio rapidissimo, tutto avviato a dare un senso di claustrofobia che dona al film quel qualcosa in più. Il problema è che esagera. Si dilunga sempre troppo, troppo lunga la sequenza del baccanale hippie, troppo lunga della festa in cui Hudson si ubriaca, troppo lunga la disperazione del protagonista alla fine del film. Il film rimane orginale, ma perde molti punti.

PS: titoli di testa di Saul Bass che introducono fin da subito in un ambiente malato.

giovedì 29 dicembre 2011

Muertos de risa - Alex de la Iglesia (1999)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale con sottotitoli in inglese.
Un duo comico si forma per caso e ancor più per caso raggiunge il successo. Dei due il più spontaneamente comico non è in realtà interessato all’arte di far ridere, scatenando le invidie dell’altro; il primo dei due poi sarà a sua volta scontento per la parte che dovrà interpretare. Le piccole invidie dei due cresceranno negli anni, diverranno patologiche, avveleneranno la vita di entrambi fino alla conclusione… che è in realtà l’inizio.

Film di De la Iglesia che spinge sul grottesco in maniera invidiabile, con una coppia di personaggi sfigati e tristi anche durante la loro maggior fortuna e che si rovinerà per la mancanza di dialogo fra loro… però per il resto manca tutto. Si il grottesco è una componente sostanziale del regista spagnolo, così come l’eccesso visivo che in qualche punto c’è, ma sono proprio i personaggi a non rendere per nulla. Non c’è mai una reale cattiveria, non c’è mai un reale traino: il punto di forza dei suoi film più riusciti è calare brutti persone in ambienti ancora più brutti e far vincere il personaggio negativo che meglio riesce a muoversi. Qui tutta questa componente viene a mancare e si assiste, divertiti (ma neanche troppo), alla discesa verso il basso di due perdenti… niente di che.

mercoledì 28 dicembre 2011

Orfeo - Jean Cocteau (1950)

(Orphee)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
Secondo capitolo della trilogia cominciata con Le sang d'un poète.

Una rivisitazione in chiave moderna del mito di Orfeo, immesso in una città francese degli anni ’50. Orfeo diventa un poeta e da il destro a Cocteau per continuare il discorso iniziato in Le sang du poet sul ruolo dell’artista nella società, in questo caso come ponte fra i mondi… ma francamente questo è il meno. La storia è surreale nelle scene iniziali, poi si fa via via più razionale ed inerente al mito, di pari passo le invenzioni visive da rade si fanno sempre più fitte, con l’espressione massima nelle immagini dell’aldilà.

Ecco il punto del film è, come sempre in Cocteau, l’immagine. Cocteau amava gli effetti visivi (oggi diremmo effetti speciali) ed era un maestro nel realizzarli affinché stupissero, ma soprattutto, creassero un mood adatto al clima del film. Trucchi nelle prospettive, nei paesaggi che sono in realtà pavimenti inquadrati dall’alto, specchi che sono porte fatte d’acqua, il rewind nel far resuscitare le persone o nel mettere i guanti, le orchestrazioni perfette nelle scene in cui si inquadrano specchi che in realtà non esistono ecc… poche sono le idee realmente, ma in questo film vengono utilizzate in maniera maggiore che non ne La bella e la bestia e sono poste in un film con una trama, una storia, vera e propria (che mancava in Le sang du poet) che ne semplifica la fruizione e che ne giustifica l’utilizzo.

PS: quando il paesaggio fuori dall’auto viene mostrato come il negativo ella pellicola credo sia impossibile non pensare a Nosferatu.

martedì 27 dicembre 2011

The loved ones - Sean Byrne (2009)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in italiano.



Un ragazzo che si incolpa della morte del padre rifiuta, con garbo, di andare alla solita festa di fine college... purtroppo la ragazza (ed il suo padre psicotico quanto lei) non apprezza, rapisce e tortura il ragazzo...
Altra sorpresa sul genere torture movie/sequestri, questo film australiano conquista immediatamente per la confezione decisamente ben curata, che si fa spettacolare nelle scene della finta festa da ballo; bella l’ambientazione vintage e splendidi i personaggi… ovviamente mi riferisco agli antagonista, dei pazzi molto ben realizzati con una spruzzata di possibile incesto che da a tutto un tocco più fuori di testa della media. Poi però anche Sean Byrne si dà da fare, con un uso delle musiche vintage assolutamente ragionato e qualche vero e proprio colpo di classe alla regia (su tutte, la scena in cui i due ragazzi fanno sesso in macchina e il montaggio sembra suggerire che vengano scoperti dal padre…).

Però,vedendolo a poca distanza da 5051 Rue des Ormes, è impossibile non fare dei confronti tra i due. Tra i due la confezione è sempre molto alto, ma direi che questo film vince, calca molto di più la mano, ma non esagera mai nel kitsch fine a se stesso; la famgilia di matti di The loved ones è di molto migliore dell’altra per l’eccesso a cui arrivano, per l’assenza di uno scopo reale che li rende più pericolosi e per il personaggio del padre succube volontario che è grandioso (inoltre la ragazza vince il premio per la pervicacia nell’ammazzare tutti). Quello che 5051 ha di vantaggio è la credibilità, fino al colpo di scena finale (implausibilissimo), la storia è trattata come un’analisi di una famiglia disfunzionale, ma in equilibrio, che viene disturbata dall’arrivo di un corpo estraneo, in questo film non c’è nulla che sia verosimile (i ragazzi in cattività, la lobotomia, la fuga, ecc…); inoltre 5051 ha una maggior asciuttezza, in due scene racconta tutto il background, tagliando via tutte le parti inutili e giungendo rapidamente al punto, The loved ones decisamente no…

lunedì 26 dicembre 2011

Il corvo - Henri-Georges Clouzot (1943)

(Le corbeau)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
In un paese della provincia francese (durante l’occupazione nazista, nota di costume che non viene mai mostrata nel film, ma di fatto è ambientato in contemporanea con l’epoca d’uscita), un anonimo comincia a spedire lettere in cui vengono messe a nudo le attività illecite, le piccole e grandi prevaricazioni e la vita privata più perversa (per l’epoca) di diversi personaggi illustri e gente comune della città. Tutte le lettere poi sembrano concentrarsi soprattutto nei confronti di un medico…

Prima di tutto la storia è una figata, buona l’idea, entusiasmante lo svolgimento (su tutto la scena in cui, al circolo, i vari personaggi seduti al tavolo tirano fuori le lettere ricevute, sparlando gli uni degli altri), fantastico il finale, con una serie di show down finali che si concludono poi con il dubbio (davvero è stata solo quella persona?!) e soprattutto il finale è certamente prevedibile, ma tutti i prefinali fanno completamente perdere il senso di prevedibilità.

Poi ovviamente la regia di Clouzot, che ci mette piccoli tocchi di stile (la scena del dialogo fra il protagonista e il vecchio medico alla luce ondeggiante della lampadina) e veri e propri colpi di genio (la fuga della suora dalla folla… folla che non si vede mai, si sentono solo le grida, ma il senso di inquietudine e di disperazione è assolutamente perfetto).
Infine, ovviamente, il cast è assolutamente all’altezza della prova richiesta.
Il film entusiasma dall’inizio alla fine senza momenti di stanca. Magnifico.

PS: la realizzazione del film creò non pochi problemi al regista, in quanto il governo di occupazione nazista ci vide una critica alla società da loro “creata”, impedì la distribuzione del film fin dopo la fine della guerra e impedì al regista di realizzare altro.

venerdì 23 dicembre 2011

L'uomo che sapeva troppo - Alfred Hitchcock (1934)

(The man who knew too much)

Visto in VHS.
L’originale Uomo che sapeva troppo è molto simile al più noto remake anni ’50, se ne discosta solo nel finale. Inutile dire che tra i due questo film degli anni ’30 è decisamente il peggiore.
Hitchcock non ha ancora tutte le idee o le capacità per realizzarle, che avrà nei decenni successivi. Il ritmo latita in qualche punto e la storia nel complesso appare molto più farraginosa che non nel film con James Stewart.

Detto ciò però questo rimane un film abbastanza godibile con alcuni momenti molto belli. La cosa migliore sono le location, lugubre il giusto quella nella chiesa e perfettamente squallida quella dal dentista. Buona la sequenza ella doppia telefonata in cui rimane il dubbio il più a lungo possibile su chi sia riuscito a chiamare per primo (questo è forse il momento di maggior suspense del film), ma è da ricordare anche la scena del tentato omicidio durante il concerto.

Inoltre credo sia da notare che al suo primo film non tedesco, Peter Lorre, da vita a un cattivo normale e controllato, una rarità nella sua filmografia decisamente sopra le righe.

giovedì 22 dicembre 2011

La vita è un miracolo - Emir Kusturica (2004)

(Zivot je cudo)

Visto in tv. Bosnia 1992. Luka, ingegnere arrivato da Belgrado in un paesino di montagna con moglie soprano un po' nevrotica e figlio abile calciatore, vede la sua vita mutare rapidamente. Lui e' li' per costruire un tratto di linea ferroviaria ma la guerra scoppia, la moglie se ne va, il figlio viene fatto prigioniero e lui e' richiamato nell'esercito. Per di più, quando gli viene affidata una giovane prigioniera musulmana se ne innamora. (mymovies).

Kusturica fa il solito film caotico, per accumulo di immagini implausibili e grottesche, dove il dramma è unito all’ironia e all’irreale… ma stavolta pare eccessivo. L’incipit è confuso come non mai, ma quel che è peggio sembra esserlo apposta, senza un motivo che non sia di farlo alla “Kusturica”. Ma volendo anche Underground aveva un intro eccessivamente casinista… Poi il film si libera della zavorra e porta avanti la storia d’amore impossibile fra il serbo e la bosniaca, mentre accumula frecciatine contro la stampa ed il diffuso menefreghismo nei confronti della guerra a Sarajevo… Ma anche qui le poche immagini surreali (come la visione fluttuante nell’aria del protagonista che taglia l’albero con il figlio) sembrano messe li a bella posta e non si vede neppure una grande idea veramente originale.

Tutto sommato un film che, dopo il pesante inizio, si fa visibile senza problemi e dipana un melodramma anche notevole… Ma non è un granché se si considera chi c’è dietro la macchina da presa.

mercoledì 21 dicembre 2011

The karate kid, La leggenda continua - Harald Zwart (2010)

(The karate kid)

Visto in DVD. Karate kid… la prima cosa che mi viene in mente è: c’era davvero bisogno di rifarlo?! No dico, posto che Jackie Chan è una scelta buonissima per sopperire all’insostituibile Maestro Miyagi originale; ma tolto lui, che bisogno c’era di rifarlo? Che attualità ha? Non mi pare ci sia una recrudescenza dei film di arti marziali e non mi pare che ci sia una nuova moda in quel genere di sport… Mah.

Comunque l’ho visto ad ora tarda mentre ero cotto duro, dunque non so se sono totalmente attendibile.

Beh il film parla del figlio di Will Smith che con la madre ha la pensata di trasferirsi in Cina pur non parlando (nessuno dei due) una parola di cinese. Per carità, il ragazzetto punta subito gli occhi su una ragazza locale, ma dei bulli prepuberi cinesi che ne sanno a pacchi di arti marziali gli fanno il culo. Lui decide di imparare l’arte di tirare grattoni e intenerisce il vecchio saggio Jackie Chan, si iscrive in un torneo, smazza tutti e diventa l’afroamericano di 11 anni più famoso di tutto il suo condominio.

Questo film è un crimine per tanti motivi. Non c’è la manovra magica per curare ogni cosa del Maestro Miyagi invece c’è un po di magia new age. Poi il ragazzetto è un coglioncello preadolescente qualunque, se io fossi il detentore di una conoscenza millenaria utile a risolvere i problemi di integrazione certamente non lo insegnerei a lui! Poi se poteva sembrare credibile che il metti la cera togli la cera potesse portare alle pacche in maniera diretta (in fondo Pat Morita diceva quale movimento doveva fare), mi pare proprio una vaccata il togli il giacchetto metti il giacchetto che trasforma un ragazzetto digiuno di lotta in Bruce Lee incazzoso. Poi la Cina rappresentata è lucida, pulita e perfettamente a modo sotto ogni punto di vista, li il problema dell’integrazione (che c’era pure nell’altro) non è perché l’ambiente è ostile, ma solo per mancanza di comunicazione (dato l’alfabeto con cui erano scritti i produttori presumo che questo film sia stato solo un grosso spot post olimpiadi). Il colpo finale è una cazzata ben peggiore di quello originale. Jackie Chan si convince ad insegnargli le arti oscure quasi esclusivamente perché il bambino litiga con la madre perché è disordinato. Ah già, non c’è un briciolo di karate in questo karate kid, visto che siamo in Cina e quello che viene insegnato è kung fu…

Ma ciò che, forse, è peggio non ha proprio senso; non regge. Se nel film originale il ragazzo era un adolescente fatto e finito che quindi aveva reali problemi nel reclutare belle figliole o di adattamento a dei bulli che facevano male per davvero; qui è solo un bambino che impiega un poco ad integrarsi; proprio non ci sta… e poi vedere i bimbetti che tirano gomitate per spaccare gli sterni fa tanta tenerezza…

Detto ciò, il film è ridicolo, ma godibile e, specie se non si conosce l’originale (o si è cotti duro), lo si può guardare senza problemi.

martedì 20 dicembre 2011

Gli spietati - Clint Eastwood (1992)

(Unforgiven)

Visto in DVD. Rimando alla sempre quasi-affidabile wikipedia per la trama.

Che film! Eastwood termina la sua parabola western nel modo migliore. Un film du un vecchio ex renegade ormai bollito e portato sulla buona strada che riprende in mano la pistola per una buona causa ed un mucchio di soldi. Esatto! Quel vecchio che non uccide nessuno da 11 anni è Eastwood, che non realizzava un western da 10 anni, che mostra il tramonto dell’epoca d’oro del west con un western atipico sugli ultimi giorni dei pistoleri come categoria sociale. Proprio i pistoleri vengono continuamente sbeffeggiati, ne vengono spiegate le regole e gli ideali solo per distruggerli poco dopo, vengono messi a nudo e rivelati come degli incalliti mentitori (è italiano, giuro) costantemente sotto gli effetti del whiskey. Si insomma un finale perfetto per l’intero genere.

Ovviamente Eastwood è lo stesso texano dagli occhi di ghiaccio di qualche decennio prima, deve solo riprenderci la mano e una volta che questo è avvenuto riuscirà in tutto ciò che poco prima rimaneva impensabile. Il tutto condito con un sentimentalismo spinto in ogni direzione (la moglie che l’ha salvato dalla sua stessa vita, morta ormai da anni; il legame con il ragazzo che vorrebbe essere un pistolero; l’intera parabola del personaggio di Morgan Freeman; ma anche la sete di pace e dello sceriffo Hackman; ecc…) che non solo non eccede mai, ma anzi eleva il film al di sopra di molti altri (non necessariamente di questo stesso genere).

Il tutto poi è visto con un taglio noir, affascinante, disincantato e perfetto nel sottolineare il personaggio (in fondo i due generi hanno tantissimo in comune, la lotta contro un destino già scritto, la morte costantemente presente, l’amore impossibile, la solitudine…).

lunedì 19 dicembre 2011

Una pallottola per Roy - Raoul Walsh (1941)

(High Sierra)

Visto in DVD. Un esperto di rapine a mano armata (Bogart) viene fatto uscire di galera da un suo vecchio compagno di merende che gli propone il solito colpo che vale una vita. I suoi compagni di avventure sono due sbarbatelli che però… si portano dietro la Ida Lupino che si innamorerà di Bogart… Ovviamente le cose non andranno per il verso giusto…

Un buon film con una visione d’insieme piuttosto europea (strano, non ho ben presente se sia un pregio da imputare a Walsh) che butta tutta l’attenzione sui personaggi fregandosene abbastanza della storia e descrive con particolare grazia un amore impossibile (quello della Lupino nei confronti di Bogart; che non si concretizza mai in nulla perché Bogart la rispetta, ma ama un’altra), che in un film meno originale sarebbe stato possibile (in fondo il personaggio della donna è tipico in un melodramma amoroso più che in un film di gangster).

Poi è affascinante l’unione fra il film di gangster (perché questo è) ed il noir, che spunta fuori proprio per l’interesse particolare nei confronti dei personaggi, l’amore impossibile, e il destino ineluttabile (qui incarnato in un cane ben prima di Kubrick).

Piuttosto enfatico, ma pregevole il finale esplosivo per le emozioni esposte e per le inquadrature dall’alto.

PS: ma quanto ha la faccia facciosa Henry Travers?! Mette proprio una nota di positività. Anche se è perfetto, io non lo avrei mai messo in un noir, nenache nella parte del padre di famiglia bonaccione e sfortunato del sud.

venerdì 16 dicembre 2011

Ciao America - Brian De Palma (1968)

(Greetings)

Visto in DVD. La vita di 3 amici che cercano di evitare di essere mandati in Vietnam, nel frattempo di gingillano tra i vari topoi di quegli anni, la guerra, i complotti governativi, il sesso, i film amatoriali, ecc…
Secondo film di De Palma, è il classico film anni ’60. Completamente libero nella forma completamente caotico nell’assenza di trama. Un film che presenta i giovani che sopravvivono nonostante il governo.

Nella forma, come sempre in quegli anni nell’ambito indie, De Palma ci da dentro a fare ogni cosa che gli passi per la testa fregandosene del fatto che sia effettivamente utile o meno, dalle accelerazioni; a stacchi di montaggio che mostrano il punto di vista opposto della stessa scena, ma palesemente ripreso in un momento diverso; ai cartelli; agli attori che parlano in camera.
Certamente ha dei pregi, dalla storia parallela del ragazzo ossessionato dall’omicidio di JFK, all’appuntamento mostrato in chiave di film porno/muto.

In definitiva un film certamente rilevante all’epoca (e rilevante per creare il De Palma che oggi conosciamo), ma che è irrimediabilmente invecchiato e sena l’attenuante di creare immagini da urlo come invece riesce a fare“Chi sta bussando alla mia porta?”.

giovedì 15 dicembre 2011

Stand by me, Ricordo di un'estate - Rob Reiner (1986)

(Stand by me)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
C’è stato un periodo, nei favolosi anni ’80, in cui i film per ragazzi erano dei film decenti, quantomeno, e talvolta veri e propri gioielli. Solitamente quei film erano realizzati/prodotti da Spielberg/Amblin. Ecco direi che da quell’elenco l’unico che non è passato dalla mente del regista di ET è proprio questo, Stand by me.

Se, per dire, prendiamo " I Goonies" come uno dei capisaldi di quel cinema (e dico "I Goonies" per questioni puramente soggettive), direi, quantomeno, che questo film è la versione seria e sentimentale de "I Goonies".

La storia è il viaggio, di due giorni, di un gruppo di 4 amici, alla ricerca del cadavere di un ragazzo. Il viaggio rappresenterà il classico elenco di piccole avventure (decisamente credibili in questo caso) e dei propri demoni che dovranno essere affrontati.

In se niente di nuovo, ma quello che entusiasma è il modo in cui il tutto è trattato. I ragazzi sono trattati come ragazzi, non sono dei geni incompresi, ne sono dei bambini che ragionano e vivono come adulti. Si insomma l’idea di base (bella, ma non entusiasmante) vince perché è trattata con una serietà invidiabile.

Odio dirlo, il film intrattiene e commuove con stile e senza mai scadere nell’eccesso o nell’inverosimile… e poi quel finale li, semplice e pulito, è il migliore e il più atroce commento sul tempo che è passato.

PS: mi pregio di sottolineare nel cast un giovane River Phoenix e un giovanissimo Ultraman.

mercoledì 14 dicembre 2011

Buppha Rahtree - Yuthlert Sippapak (2003)

(Id.) aka Flower of the night o variazioni sul genere.

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in italiano.
Tahilandia, una ragazza estremamente sulle sue viene sedotta da un ricco ragazzotto locale, lei non sa che lui lo fa solo per una sfida fra i ricchi ragazzotti locali. Quando però lei rimane in cinta, lui, pieno di rimorso la convince ad abortire… ripeto, è pieno di rimorso ed in quel momento, probabilmente, comincia ad innamorarsi di lei, ma il di lui padre lo manda a studiare in Inghilterra. Lei si rinchiude nel suo appartamento dove muore a causa dell’aborto… se fosse tutto qui non sarebbe niente di che. Quando la proprietaria del condominio si accorge che la ragazza è morta e chiama la polizia, beh, la ragazza fa capire a tutti che non ha intenzione d’andarsene. Esatto! È un fantasma! Uno di quei fantasmi orientali fatti tutti di trucco in faccia e camminata strana (a meno che quella non sia una corsetta normale in Thailandia… non so, non conosco il background). Dopo il melodramma dell’inizio parte la seconda porzione di film, la parte horror/comica. Le varie apparizioni del fantasma, il rapporto con i vari inquilini, i reiterati tentativi di liberarsene (ci provano con monaci locali, con un prete cattolico che cita apertamente L’esorcista e pure con un monaco cambogiano) e le reazioni della proprietaria sono gli elementi di questo secondo tempo. Poi il ragazzo torna dall’Inghilterra. Va nell’appartamento della ragazza, che non sa essere morta, e le chiede scusa e decide di stare li da lei. Però la vita di coppia non è idilliaca, i due non si capiscono del tutto e lui va a farsi la ragazza del chiosco vicino. Il fantasma non ne sarà affatto contento e concluderà la vicenda deragliando verso Audition. Poi colpo di scena, prevedibile, ma comunque buono.

Applausi ai thailandesi, il film è dignitosamente realizzato, non troppo stupido e non è mai noioso. Per carità in se niente di male, ma è fantastico come l’horror e lo splatter vengano immersi in una storia prima d’amore, quindi comica, quindi melodrammatica! Non è un film fondamentale, ma mostra la versatilità di un genere che da noi è tenuto solo di nicchia.

martedì 13 dicembre 2011

Sono strana gente - Michael Powell (1966)

(They're a weird mob)

Visto in Dvx, in lingua originale.
Un italiano vola in Australia ad incontrare il fratello che gli ha proposto di fare il giornalista per una rivista per la comunità di immigrati oriundi a Sydney. Una volta arrivato il fratello non si presenta e la rivista sembra essere stata chiusa. Rimasto solo in terra straniera, senza soldi per fare alcunché, trova lavoro come muratore e da li ricomincia costruirsi una nuova vita.

Curioso film tratto da un romanzo di un italiano, prodotto e realizzato dagli inglesi la cui trama cerca di raccontare gli australiani (sono loro la “strana gente” del titolo, non gli italiani) dal punto di vista di un immigrato. Curioso inoltre che alla regia ci sia Powell e come protagonista Walter Chiari. Non son, non c’ero, quindi magari l’ha fatto; ma io fossi stato in Chiari mi sarei bullato di questo film tutta la vita.

Detto ciò il film è una gradevole commediola che una certa venatura romantica che però non stanca mai e non prende mai il sopravvento. Carino e divertente il giusto si muove tra idee, comicità e trovate piuttosto vecchie (anche per l’epoca), su tutte i termini in australiano incomprensibili per un autoctono. Alcune sequenze sono ben riusciti (come la telefonata collettiva di Walter Chiari con il futuro datore di alvoro, in cui partecipano e aiutano tutti gli inservienti dell’hotel), niente giuzzi geniali, ma il film rimane godibile.

PS: nel finale si vede l’Opera House in costruzione.

PPS: l’ho visto in lingua originale, quindi non so come abbiano reso i giochi di parole in italiano…

lunedì 12 dicembre 2011

L'assassino abita al 21 - Henri-Georges Clouzot (1942)

(L'assassin habite... au 21)

Visto in Dvx. Un serial killer semina il panico per le strade di Parigi. Grazie ad una soffiata un commissario di polizia scopre che l’assassino abita in una pensione, quindi vi si introduce travestito da prete e cerca di condurre indagini nei confronti di ogni inquilino per scoprire chi sia il maniaco.

Affascinante commedia gialla che ha il suo punto di forza in una scrittura impeccabile, personaggi ben fatti anche quando sono banali e dialoghi stupendi. Tutto viene realizzato con cura e “l’indagine” passa in secondo piano, il riuscire a trovare l’assassino non è più il primo pensiero di chi guarda il film.

Certo il finale a sorpresa è una buona idea, ma il film avrebbe retto anche con idee più scontate.
Clouzot fa il suo lavoro con maestria e regala alcuni buoni momenti (come la soggettiva dell’assassino all’inizio del film che da dei suggerimenti sulla sua identità che verranno poi abbattuti) e anche alcune idee geniali (il passaggio dell’incarico di trovare l’assassino in poco tempo che diventa sempre più perentorio a mano a mano che dal ministro si va più in basso nella gerarchia).

venerdì 9 dicembre 2011

Occhi senza volto - Georges Franju (1960)

(Les yeux sans visage)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese. Un medico, maestro nei trapianti causò lo sfigura mento della figlia, chiaramente ora vuole porvi rimedio ben oltre i limiti della legalità, quindi con l’aiuto di un’infermiera connivente, rapisce giovani donne e prova a trapiantare il loro viso sulla figlia… Con scarsi risultati.

Film assurdo sotto ogni punto di vista che fa della recitazione azzerata la sua caratteristica principale ed il finale è talmente insoddisfacente che fa venire il dubbio che sia stato tagliato…
Però il comparto visivo è magnifico. Il volto sfigurato che non viene mai mostrato se non con immagini alterate, l’inquietante maschera di gomma bianca che la ragazza indossa, il finale con il mostro in mezzo alla natura o l’evoluzione di uno dei trapianti mostrato attraverso una serie di foto che ne descrivono il fallimento. Ecco, tutto questo, oltre alla storia in se, rende lodevole questo film sempre sul limite fra serie A e B.

PS: pensa te dove in che film ha recitato Alida Valli...

giovedì 8 dicembre 2011

Valhalla rising, Regno di sangue - Nicolas Winding Refn (2009)

(Valhalla rising)

Visto in Dvx in lingua originale sottotitolato in inglese.
Un vichingo imbattibile nella lotta, ma dal passato misterioso e dal mutismo totale, chiamato one eye, si libera dalla schiavitù di un gruppo di connazionali, fugge portando con se un ragazzetto, unico sopravvissuto dal suo massacro, e incontra un gruppo di convertiti al cristianesimo che vogliono andare in terra santa. Si unisce a loro, ma per colpa della nebbia e della bonaccia la navigazione diventa impossibile e vengono trascinati dalle correnti fino in America dove lentamente verranno portati alla follia e alla morte, fra presagi e visioni varie.

Refn è sempre stato un regista che mette la città al primo posto nelle inquadrature, descrive la location prima ancora dei personaggi, quindi trovarlo a descrivere un medioevo senza neppure un villaggio è cosa strana. Ma ovviamente se la cava egregiamente. Più che un regista di città direi, a questo punto, che Refn è un regista di ambienti. La descrizione del paesaggio è perfetta, la natura ha la parte del leone e tutto viene declinato con i colori del fango e della nebbia che pervadono il film in maniera insistita, con solo qualche squarcio del rosso intenso che il regista si porta dietro dai tempi di Fear X. I paesaggi non entusiasmanti riescono ad avere una forza che in mano chiunque altro non avrebbero potuto neppure sperare. E nel complesso candido questo film come il più umido della storia del cinema, forse anche più di Lezioni di piano.

Detto ciò bisogna però ammettere che non è un buon film. La spiritualità e la metafisica che pervadono l’opera sono l’unico collante fra le varie parti senza che ci sia una vera e propria correlazione; i personaggi e la storia si muovono in maniera caotica, utili solo a dare la possibilità a Refn di dilatare i silenzi in lunghe sequenze ridondanti, belle, ma inutili.

Esteticamente notevole, ma mortalmente noioso, è forse il primo, vero, passo falso del regista danese.

mercoledì 7 dicembre 2011

Il lungo addio - Robert Altman (1973)

(The long goodbye)

Visto in DVD. Le indagini di Marlowe ambientate in epoca contemporanea (gli anni ’70) e di conseguenza attualizzando il personaggio. Va reso onore ad Altman che ha osato l’inosabile, fare un noir con un personaggio classico cercando di ammazzare i cliché nati con Bogart… peccato che l’esperimento non riesca…

Il mondo che viene dipinto è un mondo più ironico che cinico ed il Marlowe mostrato è il personaggio di Chandler con più battute che disillusione; in un certo senso quindi il film non si discosta dalla traccia originale, la ripulisce soltanto. E va detto, il protagonista funziona, diverte e piace come vorrebbe. È il resto del mondo che non funziona.

Capisco l’ironia, ma non si può creare un film noir con echi classicheggianti dove il cattivo di turno fa spogliare tutti gli scagnozzi perché per dire la verità bisogna essere nudi; e non mi si può mettere delle dirimpettaie hippie che fanno yoga nude a tutte le ore solo per divertire ed attualizzare…

PS: per tutto il film si sentono continuamente versioni diverse della canzone, che ovviamente è The long goodbye.

martedì 6 dicembre 2011

5150, Rue des Ormes - Éric Tessier (2009)

(Id.)

VIsto in Dvx, in lingua originale con sottotitoli in inlgese.
I canadesi lo fanno meglio, l’horror, specie se sono francofoni.
Un ragazzo incappa per sbaglio nel ripostiglio di un maniaco con famiglia a carico. Il maniaco, come spesso accade, è anche estremamente morale e quindi non vuole ucciderlo perché non è un peccatore… quindi lo rinchiude e lo tiene li finché non rimane deluso dall’incapacità omicida della figlia e decide che il ragazzo sarà il figlio maschio che non ha mai avuto; cominceranno a giocare a scacchi e poco alla volta gli esporrà il suo piano.

Nei limiti del film di nicchia e delle svariate ingenuità di sceneggiatura e regia, questo è un gran film. Intanto perché ha uno degli incipit più concisi di sempre, con due pennellate in tutto descrive in maniera più che esaustiva tutto il background famigliare e culturale del protagonista, uno sfigatello buono e gentile. Poi, subito dopo, arriva un atterraggio di faccia del protagonista, scena che fa sempre ridere e che giustifica il cellulare inutilizzabile (è vero che i gatti neri portano sfiga). Poi inizia il film per davvero.

Inizia un film che è nella scia del classico famiglia disfunzionale e omicida, ma qui non c’è una follia fine a se stessa, ma un piano ben preciso (che in realtà è la parte meno accettabile… gli scacconi giganti… cazzo!). e questo ancora è il meno. Perché il film si veste da horror, ma in definitiva mostra come in questa famiglia folle sotto ogni punto di vista, tutti vivano in un equilibrio perfetto, finché l’arrivo di questo ragazzo non cambi decisamente i rapporti di forza e i sentimenti in gioco; e questo è l’80% del film. Il resto è invece l’effetto sul ragazzo, sull’ossessione che gli cresce dentro e gli scacchi che da mezzo per la fuga diventano il fine ultimo.

Il film coinvolge tantissimo (soprattutto fino al finale, poi si perde) e la regia gioca con le aspettative dello spettatore assuefatto al genere (la classica soggettiva da film horror che si rivela essere solo un movimento di camera).

Punto in più, quando si pensa ad una partita a scacchi che decide della vita e della morte non si può non pensare a “Il settimo sigillo”. Punto in meno, le pessime scene in CG delle partite, francamente inutile e mal fatto.

PS: Rue des Ormes in inglese si traduce con Elm street...

lunedì 5 dicembre 2011

Nove regine - Fabián Bielinsky (2000)

(Nueve reinas)

Visto in DVD. Un giovane truffatore incontra per caso un truffatore più scafato che lo assolda per la giornata visto che il suo socio è scomparso. Fatalità proprio durante la stessa mattinata gli capita il colpo della vita. Fra continui sospetta di essere fregato il giovane accetterà di far parte del gioco…

È un film di truffe, quasi un genere a se (che adoro). Qui c’è tutto il compartimento classico. Figure solitarie ed astutissime; una lunga carrellata di trucchi del mestiere; la morale sul fatto che i veri ladri son altri; lo scontro di personalità diverse che devono convivere; poi il colpaccio, la pianificazione, la realizzazione e i continui compromessi per appianare gli inevitabili ostacoli dell’ultimo minuto. Ovviamente ogni film di truffe deve poi avere un colpo di scena finale che sveli la grande truffa nascosta agli occhi dello spettatore (truffa finale che, tra l’altro, viene più volte paventata anche dallo stesso protagonista).

Che dire, il film è un buon esempio di mediocrità. Tutto funziona bene, le regole vengono rispettate senza fantasia, gli attori fanno il loro porco lavoro con stile (più i comprimari che i due coprotagonisti a dire la verità), i trucchi sono abbastanza da appagare la sete di conoscenza di ogni aspirante truffatore di paese…

Quello che fa realmente la differenza qui è il colpo di scena finale, assolutamente inaspettato e perfetto, tutto il film è un lodevole numero di prestigio che distoglie l’attenzione dando continue informazioni superflue e distrae credendo di stare a guadare la solita storia. Il finale alza decisamente il livello del film; per carità non ne migliora la qualità, ma rende più soddisfacente la visione delle due ore precedenti, si insomma per tutta la durata dell’opera pensi di stare guardando l’Ocean’s thirteen del Sudamerica e improvvisamente ti rendi conto che invece era un Ocean’s eleven senza fronzoli e ironia.

PS: reiterata, quanto immotivata, citazione di Rita Pavone.

venerdì 2 dicembre 2011

Tirate sul pianista - François Truffaut (1960)

(Tirez sur le pianiste)

Visto in DVD.
Dopo I 400 colpi Truffaut voleva cambiare completamente genere e si prodigò nella realizzazione di un noir… che poi tanto lontano dai 400 colpi non è, dato che è un film introspettivo fatto di agnizioni personali e famiglie disfunzionali… ma tant’è.
Il film racconta di Aznavour pianista di successo che per una disgrazia accaduta per colpa sua si cambia nome e si nasconde suonando il pianoforte in un localino di cui diventa la piccola attrazione. Tutto va per il meglio finché non arriva il fratello inseguito da due ladri con cui aveva fatto un colpo e a cui non vuol dare la loro parte. Il pover’uomo verrà trascinato verso il fondo con il parentado e a farne le spesa sarà pure la nuova sua nuova fiamma con cui proprio in quel momento intreccerà una storia d’amore.

Film lento ed anempatico che sproloqui sui massimi sistemi senza motivo e fa accadere le situazioni come se dietro non ci fosse nessuno che decide cosa ci sarà nella scena successiva. Il protagonista è inquietantemente grigio e distacca lo spettatore dal film in maniera impensabile. In una sola frase direi che è la quint’essenza del luogo comune discriminativo del cinema francese.

Alcune sequenze rimangono comunque degne di nota (è pur sempre Truffaut) come la scena in cui il protagonista ci prova con la ragazza, tutta una serie di decisioni e ripensamenti che risultano poi in un nulla di fatto; bella anche la battuta sul fatto che “al cinema, più di così, non ti fanno vedere”…

giovedì 1 dicembre 2011

Quando i mondi si scontrano - Rudolph Maté (1951)

(When worlds collide)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
Oh, un film di fantascienza anni ’50 con tutti i crismi. Uno scienziato buono che capisce tutto subito, avverte il mondo, ma viene scherzato come fosse l’ultimo dei geologi; un cattivo che però è parte integrante del progetto; il dubbio che via via si insinua sulla veridicità di ciò che sta accadendo; e poi astronavi che devono salvare l’umanità (almeno una parte) e l’atroce sacrificio dei buoni. Ecco questo è il film.

Poi se vogliamo andare nel dettaglio, un pianeta si scontrerà con la terra distruggendola, uno scienziato ha la pensata giusta, saltiamo sul pianeta che vince e ricostruiamo una civiltà tutta nuova e piena d’amore… ma non tutto riuscirà ad andare come previsto.
Cosa si può volere di più; un’apocalisse prevista che lentamente si avvicina e viaggi interstellari visti con l’ingenuità tutta particolare degli anni ’50. Se si aggiungono dei fondali fantastici del cantiere del razzo spaziale si è detto tutto. La presenza di Maté alla regia, più che un valore aggiunto è un dato di fatto.