venerdì 29 maggio 2015

La figlia del vento - William Wyler (1938)

(Jezebel)

Visto in Dvx.

New Orleans, metà ottocento, una ricca ereditiera locale è promessa sposa di un illuminato Fonda; lei è una ostinata rivoluzionaria (nei costumi locali); lui pur essendo innovatore sa che non vanno urtati gli altrui sentimenti; quando lei esagererà lui se ne andrà. Lei lo aspetterà sempre, ma quando lui tornerà lo farà con la nuova moglie. Un'enorme epidemia di febbre gialla darà alla protagonista la possibilità di riscattarsi.

Pochi anni prima la Davis era una sconosciuta, ma fattasi rapidamente una delle migliori carriere di sempre riuscì ad ottenere la possibilità di scegliere i copioni. Per questa sua libertà rifiutò di girare "Via col vento" (non gli andava il coprotagonista designato, Errol Flynn). Rendendosi conto dell'occasione perduta (era una megaproduzione con tutto il marketing che ai tempi ci si poteva permettere) volle fortemente avere un film con cui sfidare la corazzata di Selznick. Per suo volere venne costruito questo drammone, che come il rivale, fu ambientato nel sud, fu un film in costume e la protagonista subì il dramma (non della guerra, ma) dell'epidemia.

Il film si può quindi vantare di avere un grandioso cast perfettamente in parte (Oscar alla Davis) e una spesa in costumi e interni da fare invidia. Venne anche ingaggiato un ottimo Wyler che, senza troppi svolazzi, si mise a costruire scene su più piani (purtroppo senza ancora essere supportato da Toland e la sua profondità di campo).
Quello che però manca è il colore, che in "Via col vento" verrà utilizzato in maniera perfetta, dando molta più enfasi ai costumi e sottolineando la bellezza dei fondali (oltre che organizzare una fotografia che darà vita alle scene in controluce con la luce del tramonto).
L'altro dettaglio mancante è la sceneggiatura. In questo film c'è un'ottima tendenza a sottolineare i desideri dei protagonisti senza farli dire esplicitamente (come esempio valga la bella sequenza del ballo dove la Davis fa di tutto per andare vestita di rosso pentendosene dopo poco e cercando d'andarsene, ma a quel punto sarà Fonda o volerla punire). Uno sforzo utile a rendere ancora godibile il film, ma alla fin fine quello che rimane è la storia di una ragazzina viziata che si pentirà delle sue malefatte e cercherà di espiare tramite l'amore e il sacrificio, tutt'altra cosa rispetto a quella splendida stronza di Rossella, costretta e ricominciare da capo per non soccombere, e del suo degno compare.

Questo film batté sul tempo "Via col vento" uscendo un anno prima. Non credo ci sia però bisogno di aggiungere chi vinse questa sfida a distanza.

mercoledì 27 maggio 2015

Gli occhi della notte - Terence Young (1967)

(Wait until dark)

Visto in Dvx.

Una donna da poco divenuta cieca è sposata con un tizio di cui non ricordo il lavoro, a viaggia parecchio per questo motivo; un giorno lui porta a casa una bambola avuta da una donna che non conosce su un aereo; passano i giorni, la bambola viene persa, ma arrivano delle persone che vogliono metterci sopra le mani.

Film che arriva dal teatro di cui si può notare l'unità di luogo (tutto si svolge nella casa della donna cieca). Questo che usualmente è un difetto che si cerca di evitare ambientando scene di congiunzione in esterni, qui semplicemente non si nota. Non ci sono tentavi di uscire più del dovuto, né c'è un grosso lavoro d'inquadrature astruse per dare un ritmo diverso al film (come dovette fare Lumet per rendere digeribile un film complesso come "La parola ai giurati"). Young dirige sicuro, ma senza fronzoli, non si fa mai vedere, ma il ritmo è sempre mantenuto.
La Hepburn da vita a una delle sue migliori interpretazioni (per me); non che sia credibile come non vendente (anzi, il contrario), ma è proprio nel recitare che diventa completamente credibile in ogni angoscioso momento. Di supporto, fra i villain c'è un Arkin da manuale, un poco psicotico, un poco viscido, decisamente pericoloso.
La storia complessivamente poco credibile (con i tre bruti che mettono in scena una truffa incredibilmente complicata con travestimenti) è piuttosto articolata, ma il lavoro della regia la rende assolutamente accettabile e riesce a far scorrere bene anche i momenti più ostici.
Lo showdown finale è ovviamente uno dei momenti migliori.
Questo è, e rimane, un film non fondamentale, ma decisamente una prova encomiabile per un regista che dell'invisibilità sua e dell'invincibilità dei suo personaggi ha fatto una cifra stilistica.

lunedì 25 maggio 2015

Insidious - James Wan (2010)

(Id.)

Visto in Dvx.

Una famigliola felice si trasferisce nella lugubre casa nuova; ovvio che appena ci si metta piede comincino strani fenomeni, rumori di notti, oggetti che si spostano e interferenze con l'apparecchio per sentire il neonato che piange. Poi un incidente con uno dei figli più grandi; il coma inspiegabile; la paura di essere in una casa infestata e il nuovo trasferimento.
Ma tutto questo non cambia le cose; anzi, ci sono dei nani che si mettono a ballare in casa.

Avverto subito che essendo io poco sul pezzo ho visto "The conjuring" molto prima di questo; quindi tenderò a paragonare "Insidious" a quello e non il contrario.
Direi comunque che Wan si dimostra un classicista; ha cambiato le carte in tavola per un poco con "Saw", ma poi si è rintanato nel solito noto. Scelta con cui concorderei in pieno per tutti i primi tempi da lui realizzati; però il buon James dovrebbe rendersi conto di avere grossi problemi con i secondi tempi...
Nella prima parte del film si è immersi nel classico, con scricchiolii, brusii, lampadine che pendono dal soffitto e porte che si aprono da sole; il modello qui è una via di mezzo fra "Poltergeist" e "Paranormal activity"; tutta questa parte è simile al primo tempo di "The conjuring" che giocando coni suoni e il buoi dava vita ad alcune delle sequenze più spaventose degli ultimi anni. Non siamo a quei livelli, ma la tensione è dignitosa e il meccanismo del già visto, ma ben utilizzato, funziona perfettamente... e fin qui gli si vuole ancora bene a Wan (da applausi, secondo me, il piano sequenza nella casa nuova con la radio in sottofondo, ricco di dettagli e pieno di aspettative).
Poi, proprio come ne "L'evocazione" arriva il gruppo di esorcisti iperprofessionali, ma se là erano due serissimi professori universitari rocciosi e sicuri, qui sono una manciata di macchiettistici nerd ipertecnologici; qui si danno vita alle ultime scene accettabili (almeno fino alla seduta spiritica) e si riesce a rendere apprezzabile anche un demone dalla faccia rossa che fuori contesto sarebbe stato di una comicità involontaria imbarazzante. Poi però Wan decide di andare nell'aldilà... a fronte di qualche buona idea (una famiglia di pupazzoni che mettono in scena un omicidio senza muoversi... beh si veda questo bellissimo corto per avere un'idea), passa il resto del tempo a far muovere i protagonisti in una stanza buia con la nebbia alle caviglie (!!!! Roger Corman smise di farlo dopo gli anni '70!!! Davvero pensiamo ancora che un film della Hammer di 40 anni fa sia la fonte più attuale di idee per un horror?!!) e vengono inseguiti dal demone rosso che si rivela per quello che è, un'imbarazzante mancanza di idee.
Quello che ne vien fuori è un primo tempo dignitoso e gradevole a fronte di un secondo tempo baracconesco e patetico che fa pensare di più ad un fantasy demoniaco più che a un horror.

venerdì 22 maggio 2015

Il bacio della pantera - Paul Schrader (1982)

(Cat people)

Visto in Dvx.

Una ragazza si trasferisce a New Orleans dal fratello appena rintracciato. Il loro rapporto si dimostrerà piuttosto ambiguo, mentre lei si troverà ad essere attratta tanto da una pantera presente nello zoo, quanto dal responsabile dello zoo stesso. Su tutto aleggia una maledizione ancestrale.

Remake dell'omonimo capolavoro di suspense degli anni quaranta diretto da Tourneur. Qui si mette alla regia Schrader, sceneggiatore inappuntabile, regista altalenante. Purtroppo ha la pessima idea di prendere uno script già pronto fatto da altri (in realtà venne richiesto questo film dalla produzione che voleva sfruttare i diritti del primo film in una chiave moderna che potesse cavalcare l'onda horror di quegli anni). Purtroppo ha pure la sfortuna che la sceneggiatura sia stata scritta male, con salti enormi, tante scene inutili, tentativi di suspense che ricalcano (malamente) l'originale. Purtroppo Schrader ha pure l'incapacità di fare un film unico, lo riempie di episodi disgiunti e non riesce (quasi mai) a creare tensione (ok... la tensione nella scena dell'autopsia alla pantera c'è, almeno li c'è, ne sono sicuro).
Di fatto questo è un film differente dall'originale; tutto è declinato in un'ottica familiare e punta molto sull'erotismo e sullo splatter. Ma dell'erotismo riesce ad azzeccare solo la protagonista (una Kinski mai così sexy) e dell'horror gore ha gli effetti speciali impeccabilmente anni '80 che potrebbero fare invidia a un CGI moderno (la trasformazione della Kinski è splendida).
Poi è indubbio che azzecchi i protagonisti, della Kinski c'è poco da dire, McDowell invece è la scelta ovvia e da garanzia di inquietudine e perversione anche solo per il nome.
Bella pure la colonna sonora sintetizzamente anni '80 del nostro Moroder.
Se ci aggiungo pure la cura della fotografia (che però indugia spesso in colori eccessivi degni di quel decennio) e alcune location ottime... ecco direi che ho elencato i pregi del film; cioè tutto il comparto tecnico.
Purtroppo una sceneggiatura soporifera e una regia invisibile non possono essere compensate dai tecnicismi.

mercoledì 20 maggio 2015

Bakha satang - Lee Chang Dong (1999)

(Id. AKA Peppermint candy)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un uomo si suicida durante un picnic organizzato per il ventennale della sua classe. Il film è composto da ampi segmenti che mostrano la vita di quell'uomo, ma vengono montati a ritroso fino a tornare proprio a quello stesso luogo del suo suicidio, ma venti anni prima.
Il film è composto da lunghe sequenze che mostrano la vita del protagonista in vari momenti della sua vita, ma sono montate a ritroso.
Si certo, come in "Memento", ma meno frenetico (e con un anno d'anticipo); chiaramente con meno motivi per poterlo fare. Eppure l'operazione riesce, non soltanto il senso invertito da più ritmo ad una storia che sarebbe altrimenti piuttosto ovvia, ma riesce anche a giocare con il pubblico, introducendo oggetti all'inizio del film (che è, in realtà la fine della vicenda) che sembrano all'apparenza banali o dall'oscuro significato, ma che vengono chiariti e resi densi di senso nel finale, facendo riconsiderare in toto quanto avvenuto; qualcosa di molto più simile a "500 giorni insieme".
Le caramelle del titolo, così come la macchina fotografica diventano veicoli di sentimenti in maniera maggiore che in un film tradizionale.
Il finale in cui si vede il protagonista ventenne andare nel luogo dove si suiciderà e sentirgli dire che pur non essendoci mai stato è come se conoscesse quel luogo è da applausi. Il magone che viene andando a ritroso e vedendo in che modo una vita piena di speranza è finita malissimo è perfettamente riuscito.
Non un film impeccabile, ma un'idea ben utilizzata che verrà riutilizzata in seguito con fortune alterne.

lunedì 18 maggio 2015

Where the buffalo roam - Art Linson (1980)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato.

In parte la vita (una porzione della) di Hunter Thompson, in parte una riduzione di "Paura e disgusto a Las Vegas", il tutto con un filo conduttore focalizzato sull'avvocato Acosta (il Dr. Gonzo, per chi conosce l'argomento).
Difficile essere più precisi sulla trama dato che si sta di fronte alla cucitura di una serie di scene disgiunte collegate solo dai personaggi.
Il film ha l'indubbio pregio di presentare per la prima volta Thompson al grande schermo. Si pregia della presenza di un Murray (a metà strada fra l'inconcludenza del periodo SNL e la sua impassibilità d'attore votato al cinema) e di un incredibile Peter Boyle. Inoltre i personaggi sono maledettamente uguali agli originali e alle copie (duole dirlo... copie migliori) del film del 1998.
Alcuni momenti decisamente prestati alla commedia vorrebbero far ridere con idee anni '50 (la droga è utilizzata spesso in questo modo), terribile il fatto che cerchi di ricevere applausi facendo andare fuori di testa persone altrimenti sobrie (tecnica imbarazzante, risultati di conseguenza).

Per il resto questo film testimonia come, seppure la sceneggiatura sia un pezzo fondamentale del cinema, la regia possa cambiare radicalmente le cose; sia questo, sia il (simile) "Paura e delirio a Las Vegas" hanno una trama raffazzonata, fatta di episodi singoli; entrambi hanno personaggi al limiti del non credibile, entrambi hanno l'enorme problema di mostrare l'under the influence ad un pubblico (per lo più) sobrio al momento della visione, entrambi hanno il problema del ritmo (essendo due film di chiacchere giornalistiche). Eppure questo film parte dignitoso con dei bei titoli di testa, ha un incipit un pò eccessivo, prosegue con una scena nell'ospedale che da la carica ai persoanggi e regge bene, poi muore lentamente nella noia e nella mancanza di attrattive. Il film di Gilliam rimane sul pezzo ogni secondo, mantiene un ritmo pazzesco, ha idee visive continue (letteralmente ogni inquadratura gronda manipolazioni e ragionamenti) e riesce a rendere la droga come nessun film prima, senza giudizi. Impietoso il paragone fra i due film della scena dell'autostoppista.

venerdì 15 maggio 2015

L'incidente - Joseph Losey (1967)

(Accident)

Visto in Dvx.

Un professore universitario, amico di uno studente, è attratto dalla sua fidanzata; ne verrà sedotto anche l'amico del professore (anche lui insegnante). Non si arriverà mai a nulla di che, ma le tensioni fra i tre si faranno sempre più evidenti. Dopo l'incidente automobilistico (che c'è a inizio film), la ragazza semplicemente se ne andrà.

Secondo film della coppia regista/sceneggiatore Losey/Pinter dopo lo strepitoso "Il servo". Anche in questo film è evidente l'interesse a fustigare la società inglese (andando a toccare il fiore all'occhiello, ma anche l'emblema borghese, delle università d'alto livello), ma rispetto al precedente c'è meno fantasia, meno guizzi, meno cattiveria.
Questo è un film tutto teso a mostrare (senza farlo mai troppo) il lento esplodere delle tensioni latenti (che tanto latenti non sono), arrivando anche a creare una situazione in cui lo scontro fisico venga realizzato con il beneplacito di tutti. Nella realtà della realizzazione però questo è un film dove la trama si dipana lentissima, pigramente rilassata; ci sono più persone sdraiata a prendere il sole qui che a Jesolo in agosto; gli attori si limitano a chiacchierare tutto il tempo, bevono come idrovore e giocano spesso a cricket.
Indubbiamente la regia ci prova a dare dinamismo, con continui movimenti di macchina, carrelli, zoom e un montaggio che gioca molto sui dettagli; tuttavia non basta a creare interesse e non annulla il difetto peggiore di questo genere di film a tesi (senza una idea solida alle spalle), che è il cazzeggio mentale.
Bella l'idea dell'incontro fra i due vecchi amanti in una lunga sequenza in cui i due attori recitano senza mai parlare, il dialogo è lasciato alle loro voci fuori campo.
Bravi gli attori (come sempre ottimo Bogarde), che però devono sopportare di recitare per tutto il tempo come fossero annoiati.

mercoledì 13 maggio 2015

Gli uomini, che mascalzoni... - Mario Camerini (1932)

(Id.)

Visto in Dvx.

Lui e lei sono due ragazzi milanesi, lavoratori e seri. Lui la nota, la segue, pastura il giusto, si da delle arie e la conquista. Ma la sfortuna e una serie (interminabile) di equivoci o ripicche sembrano allontanarli ogni volta che si riavvicinano; almeno fino (all'inevitabile) lieto fine.

Commediola romantica ovvia fin dall'inizio, tenera e leggera che è un piacere da guardare. Non ci saranno colpi di scena, ma quello che vince è la freschezza dei protagonisti (grandissimo un Vittorio De Sica incredibilmente giovane) e il ritmo sempre ben tenuto.

Camerini però è modernissimo nella regia. Si muove con al macchina da presa da una stanza all'altra, nella fiera vengono usati frequenti carrelli, la scena del ritorno con la macchina da un perfetto senso della velocità con inquadrature traballanti dall'automobile alternate a inquadrature degli pneumatici.
Le location non si limitano a fare da tappezzeria, ma, pur non diventando mai parte fondamentale della storia, vengono scrutate con curiosità.
Infine viene infilata qualche buona idea degna di un Frank Capra, come la scena della confessione del reciproco amore tra i due dentro al taxi del padre di lei.
Il vero amaro in bocca lo lascia la consapevolezza di cosa poteva essere il cinema italiano se non fosse stato tarpato dal fascismo...

Noto il fatto che la canzone "Parlami d'amore Mariù" nasce in questo film (fu un successo enorme) in una scena deliziosa con i due che ballano e De Sica che la improvvisa.


lunedì 11 maggio 2015

I guerrieri della notte - Walter Hill (1979)

(The warriors)

Visto in Dvx.

Cyrus, Il capo della più importante gang di New York raduna 9 rappresentanti per ogni gruppo di avversari nel Bronx, devono essere tutti disarmati. Al raduno farà una proposta ghiotta, unirsi tutti per conquistare totalmente la città. Durante il discorso una testa calda gli spara e fa ricadere la colpa sui Warriors, una gang di Coney Island. Il capo verrà immediatamente catturato dalla polizia, per gli altri otto inizierà una fuga verso casa braccati da tutti; le gang che vorranno vendicare la morte di Cyrus, la banda che ha compiuto l'omicidio che vorrà zittirli prima che qualcuno possa credere loro e la polizia che li ricerca per omicidio.

Film cult dall'origine altisonante, tratto com'è dalle Anabasi di Senofonte, ma condito con citazioni classiche (non so se volute) d'altra origine, evidenti la gang di sirene e la circe adescatrice nel parco.
Con queste origini però non bisogna aspettarsi un film noioso, la storia è modernissima, un viaggio allucinato in mezzo a una città lisergica, fatta quasi esclusivamente di bassifondi e metropolitane, in un ambiente dove tutti gli esseri umani che si incontrano sono possibili nemici, dove la vita è in costante pericolo.
I difetti sono pochi e li riassumerei in uno soltanto; è un film piuttosto tamarro. Le varie gang sono identificate dal vestiario (idea ottima fare indossare loro delle "divise"), peccato che i più siano vestiti kitsch o stupidi... poi per carità era il 1979, forse all'epoca erano di buon gusto.

Tutto il resto invece è ottimo.
Il protagonista, uno sconosciuto Michael Beck è un personaggio rocciosissimo, serio e determinato, sia nella fuga che nella lotta, sia negli scontri che negli approcci con le ragazze; un eroe americano perfetto.
Hill alla regia dirige con mano fermissima, costruisce qualche scena di lotta che sono dei balletti stilizzati, si muove a suo agio negli spazi ristretti della metro, butta intermezzi autoriali per far muovere la storia al di là della fuga dei Warriors (la dj di cui vediamo solo la bocca perché lei è solo una voce alla radio, la banda di Cyrus inquadrata sempre con luci e ombre enfatiche, visi impassibili e molti profili).
Lo showdown finale che permette uno scioglimento vero e proprio senza scadere nel nulla di fatto.

venerdì 8 maggio 2015

Rosso sangue - Leos Carax (1986)

(Mauvais sang)

Visto in Dvx.

Il passaggio della cometa di Halley trasforma il tempo atmosferico e alza rapidamente le temperature per poi far nevicare improvvisamente. Un gruppo criminale che ha un grosso debito con una gang più potente decide di fare un colpo importante, rubare l'antidoto ad un nuovo virus che impazza sul pianeta. Per il colpo viene contattato il giovane figlio di un loro sodale di recente morto. Il figlio si innamora della ragazza che sta con il capo della banda.

Al suo film numero due Carax fa tutto quello che deve fare un regista con pretese autoriali nelle sue opere prime: proliferare di inquadrature ravvicinate o dall'alto, movimenti frequenti alternati a inquadrature fisse esageratamente lunghe, montaggio che abusa in velocità e in parallelismi (che in realtà riescono sempre bene), un cazzeggio mentale pieno di agnizione, una serie di scene inutili ma pregne di significato...
Simbolista più che surreale questo film riesce a non dire granché di interessante e per farlo sceglie un ritmo patologicamente lento; il risultato è un film noioso con alcune sequenze veramente buone (l'inseguimento tra Lavant e la Delpy) e qualche bella idea (la sagoma della Binoche sul letto vuoto)... però nell'insieme, tutte queste cose non fanno un film.

Cast enorme per grandi vecchi messi in elenco (c'è pure una comparsata di Hugo Pratt) e per le nuove leve nelle parti principali.

Nel complesso, per me, questo film è il luogo comune del film francese da odiare.

PS: poi non aiuta il fatto che, dopo aver visto "Magic", il ventriloquo non mi fa simpatia, se poi ha la voce alla "Saw" l'effetto è solo grottesco.

mercoledì 6 maggio 2015

Le streghe son tornate - Alex de la Iglesia (2013)

(Las brujas de Zugarramurdi)

Visto al cinema.

Due uomini compiono una rapina (a cui è presente anche il figlio di uno dei due) e scappano rapendo un tassista con relativo taxi. Nella fuga saranno inseguiti dalla ex moglie del protagonista che cercherà di riprendersi il bambino e da due poliziotti. I protagonisti si imbatteranno in una famigliola tutta al femminile che si rivelerà essere un gruppo di streghe che attende l'arrivo di un messia (il bambino) che distruggerà gli uomini.

Realizzato 2 anni fa, annunciato in uscita imminente è finalmente stato portato in sala in Italia da una settimana; pubblicizzato più di quanto mi aspettassi, sono finalmente riuscito a vedere un film di de la Iglesia nella sala cinematografica. Considerando che per l'estenuante tira e molla di "Balada triste de trompeta" non son riuscito a vederlo all'epoca dell'uscita e per protesta non l'ho più recuperato (ma adesso stò film mi ha rimesso la voglie del cinema del regista spagnolo).

Beh questo film si apre con una rapina fatta da un tizia vestito da Gesù a un compro oro, proterà via solo le fede nuziali presenti nel negozio (e sono molte), prosegue come un action comico nella migliore maniera di de la Iglesia (qui si cimenta per lo più negli inseguimenti, godibili, divertenti, ma non sono il suo forte); prosegue con un tono farsesco perfetto nell'introdurre il tema perturbante con l'arrivo notturno nei paesi baschi fino all'incontro con Carmen Maura e Carolina Bang. Poi sbraca del tutto con un lungo finalone per un quarto horror, un quarto action, un quarto comico e un quarto cazzata; interminabile e senza una chiara idea di come chiudere.
Ci si trova quindi davanti ad almeno due terzi di un ottimo film di de la Iglesia classico, cattivo e comico, dove una gruppo di uomini infantili e stupidi sono assoggettati a donne malvagie, con una serie di continui giochi da commedia dei sessi 2.0 e risvolti di critica sociale tra i più apprezzabili di sempre (quelli che non rispondo alle logiche di un film a tesi).
Nell'ultima parte de la Iglesia fa il classico pout pourri di chi non sa come chiudere, teso fra il personaggi di Carmen Maura che meriterebbe molto di più e quello della Bang (che essendo la moglie del regista dall'anno successivo, evidentemente non vuole lasciarla sullo sfondo).

Ovviamente de la Iglesia è uno che utilizza i genere che ama come preferisce e infarcisce il film di riferimenti per nulla pop, ma integrati nella storia, delle strizzatine d'occhio che tendono a dare il piglio del personaggio (si veda la Bang che entra in scena in versione Lisbeth Salander) o semplicemente a onorare dei grandi del passato che evidentemente apprezza (come l'anziana strega che, nel mettersi i denti di metallo, è il ritratto di Lon Chaney ne "Il fantasma del castello").

Un buon film medio (a mio avviso medio-basso) di de la Iglesia, giusto per non dimenticarci che, pur senza toccare i nostri cinema, c'è ancora qualcuno là fuori che sa il fatto suo.

PS: titolo italiano bruttissimo, ma estremamente calzante per il riferimento femminista.

lunedì 4 maggio 2015

Idiots and Angels - Bill Plympton (2008)

(Id.)

Visto in Dvx.

Un uomo cattivissimo vive una vita solitaria e astiosa. All'improvviso cominciano a crescergli due ali; all'inizio cercherà di toglierle, ma non riuscirà a evitarne lo sviluppo. Le ali però hanno una loro volontà e lo costringeranno a fare una serie di buone azioni. Quando tutti lo verranno a sapere verrà aggredito, ucciso e gli verranno tolte le ali per riutilizzarle. Il dramma però è solo all'inizio e Nemesi ci vede benissimo.

Plympton ha un tratto tondeggiante e deformante, ombroso e naif, deve piacere perché non ha niente di pulito, ma è all'apparenza dolce anche se le storie che racconta non lo sono affatto.
La storia è come il disegno, naif. I cattivi sono cattivissimi e le conversioni sono improvvise e immotivate; se si riesce ad accettare queste accelerazioni improvvise nella storia è fatta. Poi c'è una certa tortuosita nello sviluppo della trama e un buttare un pò troppi elementi nella seconda parte, ma direi che è la questione meno importante.
Al di là della qualità del disegno quello che vince su tutto è la sua capacità di giocare con le inquadrature e di sfruttare fino in fondo il mezzo dell'animazione; deformazioni eccessive, punti di vista impossibili (l'interno bocca che beve l'alcolico mentre si vede anche l'arcata dentaria inferiore), ma soprattutto i raccordi fra scene distinte che sono dei veri capolavori pindarici (si veda il primo risveglio del protagonista). Altro valore aggiunto la capacità visionaria complessiva che permette che un angelo muoia tra le fiamme e che fa partorire un uomo dall'ombelico (un'idea che sarebbe stata perfettamente in un film di Cronenberg degli anni '80), grottesco ed estremo, ma perfettamente calato e reso più accettabile dal tratto.
Al di là della trama, invece, quello che abbatte un poco il film è una certa lentezza nello svolgimento e una cura nell'animazione inferiore a quella del disegno (soprattutto all'inizio i personaggi sembrano muoversi a scatti).
Non un film bellissimo, ma un'opera interessante.

PS: colonna sonora minimal da urlo, con partecipazioni calzanti di Waits e St James infirmary.

venerdì 1 maggio 2015

L'ultima diva: Francesca Bertini - Gianfranco Mingozzi (1982)

(Id.)

Visto su youtube... ma ora non lo riesco più a trovare.

Negli anni 80, pochi anni prima della sua morte, la Bertini ritorna protagonista di un film, si tratta solo di un documentario per la tv, ma è tutto dedicato a lei.

Qualitativamente parlando non è niente di che, ha il difetto di essere un prodotto buono per la tv di quegli anni, quindi non ha la pretesa di essere esteticamente bello o accurato alla regia.
Piuttosto lungo e diviso in tre parti ripercorre la carriera della diva dagli esordi quasi fatalistici, cita e descrive brevemente tutta la sua produzione fino ad allora disponibile.
Il vero valore aggiunto (anzi l'unico vero e proprio pregio) del film è la presenza della Bertini stressa che commenta la propria carriera. Si ha davanti una novantenne incartapecorita e fragilissima, ma dalla volontà di ferro; sfotte il regista, si mostra pretenziosa e indocile; parla di sé con un'arroganza fantastica esagerando anche i pregi che le sono propri (fenomenale il suo commento sul fatto di essere lei la vera inventrice del neorealismo al cinema, con "Assunta Spina"); si fa grande promotrice di sé stessa, mostrando locandine e portando la macchina da presa alla cineteca per visionare i suoi film rimasti; incredibilmente amara nel notare che è stata rapidamente dimenticata e ancor più rammaricata che i suoi film siano relegati alla visione di pochi cinefili con permessi speciali (negli anni '80 era effettivamente l'unica possibilità). Un personaggio larger than life, degno di tutte le voci e i retroscena che si possono leggere in giro circa le lavorazioni dei suoi film.
Morì decisamente anziana; è però un peccato che non abbia potuto assistere all'avvento di internet; credo che sarbbe stata una grande sostenitrice del file sharing e di youtube, almeno per i suoi film; questi mezzi ora permettono di ottenere quello che lei sognava, che tutti potessero tornare a vederla giovane.