(Id.)
Visto su Mubi, in lingua originale sottotitolato.
Un esploratore torna da un viaggio nel non meglio precisato continente africano; verrà invitato come attrazione a una serata uppercut class dove verrà mostrato anche un quadro. Il quadro però verrà rubato, almeno due volte. Si indagherà per la ricerca dei colpevoli.
Secondo lungometraggio dei Fratelli Marx e ultima opera cinematografica (c'è un corto perduto di inizio anni '20 come prima opera assoluta a cinema) del gruppo tratta da una precedente opera teatrale.
L'origine non originale si sente tutta.
Il film (diretto da Heerman, regista per lo più del muto poi rimasto nel settore come sceneggiatore per cui vinse anche un oscar) è legnoso, molto statico e sembra non voler fare altro che rimettere in scena l'opera teatrale in maniera pedissequa, ma con una camera da presa davanti.
Il film si sviluppa solo in interni organizzati in teatro di posa, per lo più gli stessi 3-4, la macchina da presa è sempre di fronte all'attore o al gruppo che declamano la loro parte in favore dell'obiettivo (c'è in verità qualche lieve tentativo di dinamismo, uno o due movimenti di macchina che cercano un minimo di tridimensionalità, ma il resto è talmente statico che sembra si siano sbagliati a muoversi).
Il ritmo ne è inevitabilmente distrutto e il film non può che essere difficoltoso per un pubblico abituato ad altro.
Sarà per la forma, ma sembra che anche le gag del gruppo siano decisamente meno efficace che nei film successivi, anarchiche e surreali come sempre, ma per lo più autoindulgenti, fuori tempo, eccessive. Funziona bene solo lo slapstick di Harpo (che tutto sommato può essere declinato identico su molti formati diversi) e il solito Groucho, ma più che per l'effettivo divertimento (quello è soggettivo), funziona per la velocità e l'irruenza.
Vi sono infine inserti cantati e due momenti musicali che servono a mostrare il virtuosismo di due del gruppo (Chico e Harpo); altro dettaglio utile in teatro, ma che al cinema serve solo a spezzare un ritmo già claudicante.
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lunedì 6 luglio 2020
lunedì 11 dicembre 2017
Uomini di domenica - Curt Siodmak, Robert Siodmak, Edgar G. Ulmer, Fred Zinnemann (1930)
(Menschen am Sonntag)
Visto in Dvx.
Una giornata di festa nella Berlino del 1930. Il film segue, soprattutto, una ragazza innamorata di un uomo che, però, le preferisce un'altra. Ma la storia è solo la scusa per mostrare una giornata di spensieratezza nella grande città.
Una storia impalpabile (una trama presente, ma delicatissima) di fatti normali, persone come tante e piccoli dettagli, dove i sentimenti in gioco sono fragili e banali come la gioia di una domenica mattina.
Un film incredibile sotto molti aspetti, il più scontato è il poker d'assi al lavoro in questa produzione, oltre ai registi (3 su 4 sono nomi di peso della regia USA dei due decenni successivi) alla sceneggiatura c'è pure un contributo di Billy Wilder, tutti alla loro prima esperienza (tranne Wilder alla seconda).
Questo film inoltre, è una sorta di neorealismo alla tedesca, con attori presi dalla strada e un uso della città (o del fuori città) molto debitore a "Berlino: sinfonia di una città" (più che a Vertov come ho letto in giro).
Il film però è sorprendente anche dal punto di vista tecnico.
Per essere un manipolo di parvenu la regia è grandiosa, con numerosissimi punti d'inquadratura che rendono succosa ogni sequenza e danno dinamismo e ritmo.
Onestamente trovo che questa sia una delle doti principali di un'opera prima, riuscire a non annoiare con la staticità, soprattutto in un progetto, come questo, fatto da numerosi primi e primissimi piani (densi e spesso bellissimi).
Come esempi bastino il dialogo al caffè o il riposo sul prato con l'uomo diviso fra le due donne e una delle due che si appoggia col volto sulla mano di lui.
Infine, è incredibile la capacità di questo film di trasmettere emozioni. C'è un'aria complessiva di ingenua gioia di vivere (ancora più caricabile di emotività se si considera che in un decennio tutto sarà spazzato via) che traspare da ogni scena, mentre i sentimenti dei protagonisti vengono perfettamente resi percepibili da un'espressione del viso, uno sguardo, un movimento o una posizione (l'inseguimento nel bosco o il riposo sul prato). Tutto riesce a essere espresso tramite dettagli impalpabili.
Un film incredibile di quasi assoluta perfezione.
Visto in Dvx.
Una giornata di festa nella Berlino del 1930. Il film segue, soprattutto, una ragazza innamorata di un uomo che, però, le preferisce un'altra. Ma la storia è solo la scusa per mostrare una giornata di spensieratezza nella grande città.
Una storia impalpabile (una trama presente, ma delicatissima) di fatti normali, persone come tante e piccoli dettagli, dove i sentimenti in gioco sono fragili e banali come la gioia di una domenica mattina.
Un film incredibile sotto molti aspetti, il più scontato è il poker d'assi al lavoro in questa produzione, oltre ai registi (3 su 4 sono nomi di peso della regia USA dei due decenni successivi) alla sceneggiatura c'è pure un contributo di Billy Wilder, tutti alla loro prima esperienza (tranne Wilder alla seconda).
Questo film inoltre, è una sorta di neorealismo alla tedesca, con attori presi dalla strada e un uso della città (o del fuori città) molto debitore a "Berlino: sinfonia di una città" (più che a Vertov come ho letto in giro).
Il film però è sorprendente anche dal punto di vista tecnico.
Per essere un manipolo di parvenu la regia è grandiosa, con numerosissimi punti d'inquadratura che rendono succosa ogni sequenza e danno dinamismo e ritmo.
Onestamente trovo che questa sia una delle doti principali di un'opera prima, riuscire a non annoiare con la staticità, soprattutto in un progetto, come questo, fatto da numerosi primi e primissimi piani (densi e spesso bellissimi).
Come esempi bastino il dialogo al caffè o il riposo sul prato con l'uomo diviso fra le due donne e una delle due che si appoggia col volto sulla mano di lui.
Infine, è incredibile la capacità di questo film di trasmettere emozioni. C'è un'aria complessiva di ingenua gioia di vivere (ancora più caricabile di emotività se si considera che in un decennio tutto sarà spazzato via) che traspare da ogni scena, mentre i sentimenti dei protagonisti vengono perfettamente resi percepibili da un'espressione del viso, uno sguardo, un movimento o una posizione (l'inseguimento nel bosco o il riposo sul prato). Tutto riesce a essere espresso tramite dettagli impalpabili.
Un film incredibile di quasi assoluta perfezione.
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venerdì 1 settembre 2017
Carcere - George W. Hill (1930)
(The big house)
Vist in Dvx, in lingua originale sototitolato in inglese.
Un uomo viene condannato per omicidio colposo, finirà in cella con una coppia di carcerati di lunga data, esperti nella gestione del penitenziario. Nonostante gli attriti, la fuga di uno dei due li riavvicinerà come cognati e una rivolta all'interno del carcera farà da deus ex machina.
Primo film sulla vita di carcere degno i questo nome, essenziale nella trama, ma già con tutti quelli che in futuro saranno gli archetipi di genere (lo scontro con il duro, il tentativo di fuga, la rivolta, il rigido direttore della prigione). Interessante anche che, a fronte di una trama lineare, il protagonista del film cambi circa a metà, passando dal ragazzo dell'inizio, al compagno di cella innamorato della seconda parte.
Al di là del switch di metà (che credo fosse dovuto al tentativo di dare dinamismo alla vicenda più che a un progetto alla Hitchcock), il film risulta ben realizzato con un ritmo di minima ben tenuto e una serie di personaggi che, pur non essendo ben caratterizzati, prendono posto sulla scena polarizzando l'attenzione. Ovvio che il migliore in questo senso sia il personaggio di Beery; personaggio che avrebbe dovuto essere interpretato da Chaney morto in quello stesso anno; Beery sopperisce egregiamente per presenza scenica, ma latita in capacità attoriali, rimanendo un buon caratterista (nomination all'oscar esagerata).
Ottimo anche l'utilizzo degli spazi, tutti costruiti in maniera regolare e spoglia con un ricercato gigantismo degli interni per sminuire le figure umane.
PS: sceneggiatura lineare, ma che vinse un Oscar, realizzata da Frances Marion che vinse il suo secondo premio solo due anni dopo con una storia di pugilato, esondando quindi per due volte in territori all'epoca "maschili".
Vist in Dvx, in lingua originale sototitolato in inglese.
Un uomo viene condannato per omicidio colposo, finirà in cella con una coppia di carcerati di lunga data, esperti nella gestione del penitenziario. Nonostante gli attriti, la fuga di uno dei due li riavvicinerà come cognati e una rivolta all'interno del carcera farà da deus ex machina.
Primo film sulla vita di carcere degno i questo nome, essenziale nella trama, ma già con tutti quelli che in futuro saranno gli archetipi di genere (lo scontro con il duro, il tentativo di fuga, la rivolta, il rigido direttore della prigione). Interessante anche che, a fronte di una trama lineare, il protagonista del film cambi circa a metà, passando dal ragazzo dell'inizio, al compagno di cella innamorato della seconda parte.
Al di là del switch di metà (che credo fosse dovuto al tentativo di dare dinamismo alla vicenda più che a un progetto alla Hitchcock), il film risulta ben realizzato con un ritmo di minima ben tenuto e una serie di personaggi che, pur non essendo ben caratterizzati, prendono posto sulla scena polarizzando l'attenzione. Ovvio che il migliore in questo senso sia il personaggio di Beery; personaggio che avrebbe dovuto essere interpretato da Chaney morto in quello stesso anno; Beery sopperisce egregiamente per presenza scenica, ma latita in capacità attoriali, rimanendo un buon caratterista (nomination all'oscar esagerata).
Ottimo anche l'utilizzo degli spazi, tutti costruiti in maniera regolare e spoglia con un ricercato gigantismo degli interni per sminuire le figure umane.
PS: sceneggiatura lineare, ma che vinse un Oscar, realizzata da Frances Marion che vinse il suo secondo premio solo due anni dopo con una storia di pugilato, esondando quindi per due volte in territori all'epoca "maschili".
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venerdì 9 dicembre 2016
I prodigi del 2000 - David Butler (1930)
(Just imagine)
Visto qui.
Nel futuro (è il 1980) il matrimonio viene deciso da un tribunale e obbligato; un uomo combatte per il suo desiderio di sposare l'amata e decide di dimostrare il suo valore compiendo l'ardimentosa missione esplorativa su Marte; ad accompagnarlo l'amico di sempre e un tizio colpito da un fulmine nel 1930 e riportato in vita dalla possente scienza medica.
Film particolarissimo essendo il primo musical fantascientifico (con un'insistente voglia di comicità). Fu un totale insuccesso e il motivo è lampante: è un musical fantascientifico (con un'insistente voglia di comicità).
All'epoca il sonoro era appena arrivato e il musical era l'innovazione, che però essendo agli albori veniva mischiato con ogni altro genere per valutarne l'efficacia; ecco quindi il motivo di questa scelta bislacca.
Al di là della scelta del peggior crossover di sempre, il secondo motivo dell'insuccesso è da ricercare nel fatto che questo è un film totalmente cretino. Trama ridicola, attori inadeguati (El Brendel, comico noto all'epoca e qui l'uomo del passato, è semplicemente irritante), la ricostruzione di Marte è risibile, il razzo fallico per raggiungere il pianeta rosso sarà adeguatamente scherzato nei decenni successivi (verrà riutilizzato per la serie di "Flash Gordon" e quindi verrà parodiato nei film fantascientifico erotici di "Flesh Gordon"), canzoni dimenticabili quando non cretine loro pure ("Never swat a fly" è una canzone folle) e balletti di gruppo (pochi per fortuna) di rara bruttezza.
Al di là della rarità del crossover e della curiosità il film offre qualche (minimo) motivo d'interesse (che non riscattano per nulla il resto!): sono l'impegno nella costruzione dei mondi (la città alla Metropolis o le scenografie di Marte sono notevoli), ma soprattutto gli effetti speciali, dalle braccia mobili dell'idolo marziano alla retroproiezione di alcune scene, come la partenza del razzo o quella iniziale in volo (che rappresentano anche la prima volta dell'utilizzo della retroproiezione in una grossa produzione).
Visto qui.
Nel futuro (è il 1980) il matrimonio viene deciso da un tribunale e obbligato; un uomo combatte per il suo desiderio di sposare l'amata e decide di dimostrare il suo valore compiendo l'ardimentosa missione esplorativa su Marte; ad accompagnarlo l'amico di sempre e un tizio colpito da un fulmine nel 1930 e riportato in vita dalla possente scienza medica.
Film particolarissimo essendo il primo musical fantascientifico (con un'insistente voglia di comicità). Fu un totale insuccesso e il motivo è lampante: è un musical fantascientifico (con un'insistente voglia di comicità).
All'epoca il sonoro era appena arrivato e il musical era l'innovazione, che però essendo agli albori veniva mischiato con ogni altro genere per valutarne l'efficacia; ecco quindi il motivo di questa scelta bislacca.
Al di là della scelta del peggior crossover di sempre, il secondo motivo dell'insuccesso è da ricercare nel fatto che questo è un film totalmente cretino. Trama ridicola, attori inadeguati (El Brendel, comico noto all'epoca e qui l'uomo del passato, è semplicemente irritante), la ricostruzione di Marte è risibile, il razzo fallico per raggiungere il pianeta rosso sarà adeguatamente scherzato nei decenni successivi (verrà riutilizzato per la serie di "Flash Gordon" e quindi verrà parodiato nei film fantascientifico erotici di "Flesh Gordon"), canzoni dimenticabili quando non cretine loro pure ("Never swat a fly" è una canzone folle) e balletti di gruppo (pochi per fortuna) di rara bruttezza.
Al di là della rarità del crossover e della curiosità il film offre qualche (minimo) motivo d'interesse (che non riscattano per nulla il resto!): sono l'impegno nella costruzione dei mondi (la città alla Metropolis o le scenografie di Marte sono notevoli), ma soprattutto gli effetti speciali, dalle braccia mobili dell'idolo marziano alla retroproiezione di alcune scene, come la partenza del razzo o quella iniziale in volo (che rappresentano anche la prima volta dell'utilizzo della retroproiezione in una grossa produzione).
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mercoledì 9 novembre 2016
La divorziata - Robert Z. Leonard (1930)
(The divorcee)
Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
La felicità di una coppia viene infranta dal tradimento di lui. I due si parlano, sembrano chiarirsi, lui insiste sul fatto che in fin dei conti quel tradimento non abbia valore. Lei sconfortata, cede e lo tradisce a sua volta... stavolta però il marito non sembra più di così larghe vedute e chiede il divorzio. La donna si trascina cercando conforto in un vecchio amore, ma si farà da parte per non essere lei la causa della fine del matrimonio dell'amico. Happy end finale.
Una commedia romantica; addirittura stucchevole nella parte iniziale che si trasforma poi in un dramma (che in un altro decennio avremmo definito borghese) con spunti di melò piuttosto riusciti. Il finale positivo è, come spesso succede, fuori posto, ma dopotutto, in questo caso, sopportabile.
Quello che risulta più indigesto è piuttosto l'inizio, eccessivamente enfatico verso il lato rosa della vicenda, ma indubbiamente è necessario per creare un contrasto maggiore con l'agnizione della separazione.
Dietro la macchina da presa c'è Leonard, regista che conosco pochissimo, ma di cui penso molto male per quanto concerne il ritmo, ma penso molto bene circa la costruzione di immagini. Se il ritmo qui è adeguato, ma senza sprazzi, e la regia in generale sembra sottostare a questo profilo basso; qualche tocco molto positivo lo si può notare, su tutto la serie di amanti e di avvicinamenti mostrati solo attraverso le mani dei protagonisti.
Buono il cast con una Shearer sempre credibili e che rimane il vero motivo per cui guardare questo film (oltre al gusto di vedere un film sentimentale ancora libero dal codice Hays).
Purtroppo il limite di questo film è proprio la sua intenzione, Vuole essere un dramma intimo su un divorzio e tale rimane, solo la storia di un divorzio; poca empatia, poco allontanamento dal piccolo per poter diventare universale; godibile, ma rimane chiuso in sé stesso.
PS: innegabile non fare il paio fra questo film e il successivo "Donne"... il film di Cukor non è impeccabile, ma innegabilmente riesce molto di più a farsi empatico.
Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
La felicità di una coppia viene infranta dal tradimento di lui. I due si parlano, sembrano chiarirsi, lui insiste sul fatto che in fin dei conti quel tradimento non abbia valore. Lei sconfortata, cede e lo tradisce a sua volta... stavolta però il marito non sembra più di così larghe vedute e chiede il divorzio. La donna si trascina cercando conforto in un vecchio amore, ma si farà da parte per non essere lei la causa della fine del matrimonio dell'amico. Happy end finale.
Una commedia romantica; addirittura stucchevole nella parte iniziale che si trasforma poi in un dramma (che in un altro decennio avremmo definito borghese) con spunti di melò piuttosto riusciti. Il finale positivo è, come spesso succede, fuori posto, ma dopotutto, in questo caso, sopportabile.
Quello che risulta più indigesto è piuttosto l'inizio, eccessivamente enfatico verso il lato rosa della vicenda, ma indubbiamente è necessario per creare un contrasto maggiore con l'agnizione della separazione.
Dietro la macchina da presa c'è Leonard, regista che conosco pochissimo, ma di cui penso molto male per quanto concerne il ritmo, ma penso molto bene circa la costruzione di immagini. Se il ritmo qui è adeguato, ma senza sprazzi, e la regia in generale sembra sottostare a questo profilo basso; qualche tocco molto positivo lo si può notare, su tutto la serie di amanti e di avvicinamenti mostrati solo attraverso le mani dei protagonisti.
Buono il cast con una Shearer sempre credibili e che rimane il vero motivo per cui guardare questo film (oltre al gusto di vedere un film sentimentale ancora libero dal codice Hays).
Purtroppo il limite di questo film è proprio la sua intenzione, Vuole essere un dramma intimo su un divorzio e tale rimane, solo la storia di un divorzio; poca empatia, poco allontanamento dal piccolo per poter diventare universale; godibile, ma rimane chiuso in sé stesso.
PS: innegabile non fare il paio fra questo film e il successivo "Donne"... il film di Cukor non è impeccabile, ma innegabilmente riesce molto di più a farsi empatico.
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venerdì 5 agosto 2016
Gli angeli dell'inferno - Howard Hughes (1930)
(Hell's angels)
Visto in Dvx, in lingua originale.
Due fratelli, innamorati della stessa donna (che flirta con tutti) si arruolano in aviazione per combattere i tedeschi (occhio alla data di realizzazione del film, è ancora la prima guerra mondiale!), dopo gloriose battaglie saranno candidati (anzi, si offriranno) per una missione suicida, verranno catturati e il loro eroismo sarà posto alle estreme conseguenze.
La storia produttiva è travagliata e piena di tracotanza, ma credo sia abbastanza nota; complessivamente si può riassumere in: Hughes è un tizio pieno di soldi con la passione degli aerei, vuole fare un film sulle battaglie aeree della prima guerra mondiale, ma rimane insoddisfatto dal lavoro quindi si mette dietro la macchina di presa, il tempo di finire il film e il sonoro invade le sale cinematografiche, Hughes non si perde d'animo, caccia fuori altri soldi e rigira tutto quello che deve. Il film viene distribuito ed è un successo.
L'unica nota che mi ha sempre dato un certo rammarico è che il regista ufficiale, prima della discesa in campo di Hughes, era James Whale (fu proprio l'inettitudine di quest'ultimo, secondo Hughes, nelle battaglie aeree che lo convinse a stracciare tutto e ricominciare da capo), di cui cedo rimanga ben poco; peccato perché sarei stato curioso di vedere cosa ne avrebbe tirato fuori.
Al di là di tutto comunque il risultato è assolutamente buono.
La trama piuttosto enfatica è ben utilizzata per veicolare le sequenze aeree e tutto sommato (nonostant eil minutaggio) non è quasi mai pesante.
In effetti però il vero valore aggiunto sono proprio le sequenze volute da Hughes, tecnicamente impressionanti esteticamente perfette fanno impressione ancora oggi (le calme immagini dei bombardamenti, lo zeppelin che esce dalle nubi, sono immagini che non sfigurerebbero in un film contemporaneo) e riescono a essere comunque strettamente legate al dramma messo in scena (si pensi al suicidio dei soldati tedeschi per far perdere peso) con un efficacia da pelle d'oca.
E in tutto questo c'è anche il tempo per un piccolo apologo antimilitarista.
Visto in Dvx, in lingua originale.
Due fratelli, innamorati della stessa donna (che flirta con tutti) si arruolano in aviazione per combattere i tedeschi (occhio alla data di realizzazione del film, è ancora la prima guerra mondiale!), dopo gloriose battaglie saranno candidati (anzi, si offriranno) per una missione suicida, verranno catturati e il loro eroismo sarà posto alle estreme conseguenze.
La storia produttiva è travagliata e piena di tracotanza, ma credo sia abbastanza nota; complessivamente si può riassumere in: Hughes è un tizio pieno di soldi con la passione degli aerei, vuole fare un film sulle battaglie aeree della prima guerra mondiale, ma rimane insoddisfatto dal lavoro quindi si mette dietro la macchina di presa, il tempo di finire il film e il sonoro invade le sale cinematografiche, Hughes non si perde d'animo, caccia fuori altri soldi e rigira tutto quello che deve. Il film viene distribuito ed è un successo.
L'unica nota che mi ha sempre dato un certo rammarico è che il regista ufficiale, prima della discesa in campo di Hughes, era James Whale (fu proprio l'inettitudine di quest'ultimo, secondo Hughes, nelle battaglie aeree che lo convinse a stracciare tutto e ricominciare da capo), di cui cedo rimanga ben poco; peccato perché sarei stato curioso di vedere cosa ne avrebbe tirato fuori.
Al di là di tutto comunque il risultato è assolutamente buono.
La trama piuttosto enfatica è ben utilizzata per veicolare le sequenze aeree e tutto sommato (nonostant eil minutaggio) non è quasi mai pesante.
In effetti però il vero valore aggiunto sono proprio le sequenze volute da Hughes, tecnicamente impressionanti esteticamente perfette fanno impressione ancora oggi (le calme immagini dei bombardamenti, lo zeppelin che esce dalle nubi, sono immagini che non sfigurerebbero in un film contemporaneo) e riescono a essere comunque strettamente legate al dramma messo in scena (si pensi al suicidio dei soldati tedeschi per far perdere peso) con un efficacia da pelle d'oca.
E in tutto questo c'è anche il tempo per un piccolo apologo antimilitarista.
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lunedì 23 novembre 2015
All'ovest niente di nuovo - Lewis Milestone (1930)
(All quiet on the western front)
Visto in Dvx.
Ovviamente tratto da Remarque, quindi la storia della prima guerra mondiale vista dagli occhi di un adolescente tedesco convinto ad arruolarsi volontario.
C’è stato un periodo a cavallo fra gli anni ’20 e 30, a cavallo fra muto e sonoro, che massacrò diversi registi, ma chi riuscì a sopravvivere creò alcune delle opere più interessanti di sempre. Anche qui vi sono scene da vero e proprio film muto (il ragazzo che si presenta alla madre in divisa o il passaggio degli stivali da un militare all’altro) e un uso emotivo del sonoro (il bombardamento durante l’attacco alla trincea); primi e primissimi piani bellissimi degni di un Dreyer (ok, non esageriamo, sono poco un poco più insipidi) e un uso del montaggio molto vivace.
Un film enorme, che con la regia riesce a rendere l'intero mood del libro originale anche più della sceneggiatura. Incipit bellissimo, con i soldati in marcia sempre sullo sfondo (ci sono grandissime scene/affresco con moltissimi piani) mentre in primo piano la gente comune in piena euforia sceglie di arruolarsi; dopo pochi minuti arriverà la guerra vera.
Bellissima, anche, la scena dell’attacco alla trincea, molto coinvolgente dove il sonoro (usato splendidamente) è fatto solo dalle esplosioni dei bombardamenti e vi sono lunghe carrellate sulla trincee (come in molti film di guerra… beh almeno delle guerre di trincea appunto). Unica scena poco risucita, poco empatica, è l’assassinio dentro la buca, dove il dramma non viene quasi per nulla trasmesso. Però poi si conclude con una scena bellissima, che in un altro film sarebbe stata stucchevole.
Detto ciò questa rimane una delle trasposizioni cinematografiche meglio riuscite e, ripeto, per lo più grazie all'uso intelligente dei movimenti di macchina da presa e del sonoro.
Visto in Dvx.
Ovviamente tratto da Remarque, quindi la storia della prima guerra mondiale vista dagli occhi di un adolescente tedesco convinto ad arruolarsi volontario.
C’è stato un periodo a cavallo fra gli anni ’20 e 30, a cavallo fra muto e sonoro, che massacrò diversi registi, ma chi riuscì a sopravvivere creò alcune delle opere più interessanti di sempre. Anche qui vi sono scene da vero e proprio film muto (il ragazzo che si presenta alla madre in divisa o il passaggio degli stivali da un militare all’altro) e un uso emotivo del sonoro (il bombardamento durante l’attacco alla trincea); primi e primissimi piani bellissimi degni di un Dreyer (ok, non esageriamo, sono poco un poco più insipidi) e un uso del montaggio molto vivace.
Un film enorme, che con la regia riesce a rendere l'intero mood del libro originale anche più della sceneggiatura. Incipit bellissimo, con i soldati in marcia sempre sullo sfondo (ci sono grandissime scene/affresco con moltissimi piani) mentre in primo piano la gente comune in piena euforia sceglie di arruolarsi; dopo pochi minuti arriverà la guerra vera.
Bellissima, anche, la scena dell’attacco alla trincea, molto coinvolgente dove il sonoro (usato splendidamente) è fatto solo dalle esplosioni dei bombardamenti e vi sono lunghe carrellate sulla trincee (come in molti film di guerra… beh almeno delle guerre di trincea appunto). Unica scena poco risucita, poco empatica, è l’assassinio dentro la buca, dove il dramma non viene quasi per nulla trasmesso. Però poi si conclude con una scena bellissima, che in un altro film sarebbe stata stucchevole.
Detto ciò questa rimane una delle trasposizioni cinematografiche meglio riuscite e, ripeto, per lo più grazie all'uso intelligente dei movimenti di macchina da presa e del sonoro.
Inoltre un film del genere con i tedeschi buonini non lo avrebbero
più potuto fare per qualche decennio...
PS: la versione che ho visto è quella ridotta con mezzora in meno.
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lunedì 28 ottobre 2013
A proposito di Nizza - Jean Vigo (1930)
(À propos de Nice)
Visto in Dvx.
Visto in Dvx.
Qualche tempo
fa ho provato a guardare “L’Atalante”… purtroppo condizioni contingenti mi
hanno obbligato ad addormentarmi durante la visione. Mentre aspetto che mi
torni lo sgurz di riprendere in mano quel film, mi avvicino a Jean Vigo da lato
con questo cortometraggio.
Questo è un
cortometraggio che Vigo fece nel 1930 mentre si trovava a Nizza per curarsi
dalla tubercolosi. Aiutato da un Boris Kaufman (come direttore della
fotografia), fratello di quel Dziga Vertov che modificò completamente ilconcetto di cinema (almeno per quanto riguarda la ripresa della realtà) qualche
anno prima.
Chissà quanta parte ebbe Kaufman nella
realizzazione di questo corto. Qui c’è abbondanza di tutto: inquadrature
dall'alto perpendicolari al terreno, macchina da presa che si muove in relazione
alle forme architettoniche che inquadra, carrelli che mostrano in primo piano
il marciapiede, inquadrature storte, montaggio che gioca con l’immagine (una
donna ripresa con vestiti diversi fino ad inquadrarla nuda, un uomo abbrustolito
dal sole). Vertov è ovunque, la sua lezione è ripetuta in maniera ossessiva; non
conta molto quello che si inquadra, ma conta la possibilità di mettere in
relazione la macchina da presa con quello che mostra, non è l’oggetto ad avere
predominanza, ma il modo che si ha di inquadrarlo.
Poi vien fuori la parte sociale del
documentario alternando scena dalla molle e sonnacchiosa vita dei borghesi nel
loro buen retiro alternate a scene di povertà e degrado assoluti a volte
anche molto pesanti; o mettendo in relazione dei frivoli festeggiamenti con il
lavoro, la guerra e la morte (sempre come in Vertov tutto si può mostrare senza
autocensure).
Un documento piuttosto piccolo, meno
appagante de “L’uomo con la macchina da presa”, ma decisamente molto ben
realizzato.
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giovedì 5 aprile 2012
Omicidio! - Alfred Hitchcock (1930)
(Murder!)
Visto in DVD.
Un giallo classico, in cui per un omicidio viene accusata (e condannata) un’innocente. Un attore, che era parte della giuria che la condannò, si fa carico di dimostrarne l’innocenza e si mette ad indagare.
Strutture banale per un genere che non è propriamente quello di Hitchcock, di fatto non c’è una sola scena di tensione dato che la trama non la permette. La regia da un po il meglio di se con alcuni brevi carrelli molto schematici che mettono in chiaro le scene o le strutture delle stanze. Le vere idee originale (almeno al cinema) però sono i pensieri degli attori resi con voce fuori campo e le voci fuori campo vere e proprie che sottolineano quello che sta accadendo nella stanza a fianco (la condanna del tribunale) o sottolineano il mood delle scene mostrate (la sequenza dei preparativi dei due attori che si vestono per andare all’invito a pranzo); tutte situazioni già presenti nel teatro, ma che vengono introdotte al cinema a circa un anno dall’invenzione del sonoro (chapeau). Bella anche l’idea del pavimento molle per descrive la tensione del personaggio.
Per il resto, come si è detto, il film non trasmette molto; la scoperta dell’assassino non interessa più di tanto e anche il ritmo latita. Solo per appassionati.
Visto in DVD.

Strutture banale per un genere che non è propriamente quello di Hitchcock, di fatto non c’è una sola scena di tensione dato che la trama non la permette. La regia da un po il meglio di se con alcuni brevi carrelli molto schematici che mettono in chiaro le scene o le strutture delle stanze. Le vere idee originale (almeno al cinema) però sono i pensieri degli attori resi con voce fuori campo e le voci fuori campo vere e proprie che sottolineano quello che sta accadendo nella stanza a fianco (la condanna del tribunale) o sottolineano il mood delle scene mostrate (la sequenza dei preparativi dei due attori che si vestono per andare all’invito a pranzo); tutte situazioni già presenti nel teatro, ma che vengono introdotte al cinema a circa un anno dall’invenzione del sonoro (chapeau). Bella anche l’idea del pavimento molle per descrive la tensione del personaggio.
Per il resto, come si è detto, il film non trasmette molto; la scoperta dell’assassino non interessa più di tanto e anche il ritmo latita. Solo per appassionati.
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venerdì 6 gennaio 2012
La terra - Aleksandr Dovzhenko (1930)
(Zemlya)
Visto in Dvx.
Film muto, nonostante l’anno di uscita, presentato nel '32 alla prima mostra del cinema di Venezia.
La storia è l’avvento della tecnologia (il trattore) in una campagna russa, l’avvento di una nuova possibilità per i giovani contadini osteggiata dalla chiusura mentale dei vecchi, ma ancora di più, dal potere costituito (in due parole, borghesi e preti).
Il film inizia con una venerazione commossa e amorevole della natura alla maniera di Olmi (anche se molto più sentimentale e con una costruzione delle inquadrature più impostata) per poi giungera alla glorificazione del progresso mostrato in ogni dettaglio, vero leit motiv del cinema sovietico.
I motivi di interesse per vedere questo film sono diversi, dalle inquadrature ben realizzate, al montaggio usato da dio (alla Eisenstein, ma anche frenetico per dare il senso della velocità e della potenza, ma anche il montaggio in avvicinamento in sostituzione delle zoom, ecc…). Un finale ben costruito con i cattivi che impazziscono, i buoni che cantano, donne che partoriscono, un prete che lancia maledizioni il tutto in un unico susseguirsi di stacchi rapidissimi… infine ci sono uomini che pisciano nel radiatore di un trattore… cos’altro si può chiedere ad un film muto?
Visto in Dvx.

La storia è l’avvento della tecnologia (il trattore) in una campagna russa, l’avvento di una nuova possibilità per i giovani contadini osteggiata dalla chiusura mentale dei vecchi, ma ancora di più, dal potere costituito (in due parole, borghesi e preti).
Il film inizia con una venerazione commossa e amorevole della natura alla maniera di Olmi (anche se molto più sentimentale e con una costruzione delle inquadrature più impostata) per poi giungera alla glorificazione del progresso mostrato in ogni dettaglio, vero leit motiv del cinema sovietico.
I motivi di interesse per vedere questo film sono diversi, dalle inquadrature ben realizzate, al montaggio usato da dio (alla Eisenstein, ma anche frenetico per dare il senso della velocità e della potenza, ma anche il montaggio in avvicinamento in sostituzione delle zoom, ecc…). Un finale ben costruito con i cattivi che impazziscono, i buoni che cantano, donne che partoriscono, un prete che lancia maledizioni il tutto in un unico susseguirsi di stacchi rapidissimi… infine ci sono uomini che pisciano nel radiatore di un trattore… cos’altro si può chiedere ad un film muto?
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Yuliya Solntseva
martedì 16 agosto 2011
Le sang d'un poète - Jean Cocteau (1930)
(Le sang d'un poète)
Visto in Dvx, in lingua originale con sottotitoli in inglese.
Un artista disegna un volto la cui bocca si mette a parlare, cerca di zittirla cancellandola, ma la bocca si attacca alla mano dell’artista (dopo una notte di passione fra un uomo e la propria mano!) per liberarsene la applica sul volto di una statua. A questo punto la statua prende vita e invita l’artista ad attraversare lo specchio; da li l’artista arriva in un albergo nelle cui stanze vi sono ombre cinesi, lezioni di volo, ermafroditi e quant’altro. Torna indietro disperato ed in preda alla rabbia distrugge la statua; ma come si sa chi distrugge una statua diviene statua lui stesso. Una volta pietrificato dei ragazzini si mettono a giocare a palle di neve attorno a lui distruggendolo; uno dei ragazzi, il capo, uccide a colpi di neve uno degli avversari, li un uomo e una donna danno spettacolo con una partita a carte…
Surrealismo puro, con una traccia flebile di storia, che più che altro da continuità alle varie visioni create da Cocteau.
A livello stilistico il regista fa di tutto, usa la sovrapposizione, il negativo, ma utilizza idee inedite come teste e mani di pietra che sostituiscono quelle dei protagonisti durante le inquadrature a dettaglio.
A livello visivo poi è veramente bello; il film risulta molto più catchy di un, chessò, Bunuel simbolista, perchè Cocteau punta tutto sull’aspetto visuale e poco o nulla sul parlato (dove c’è una curiosa commistione di sonoro e cartelli).
PS: il film è dedicato a Pisanello, Piero della Francesca e Andrea del Castagno.
Visto in Dvx, in lingua originale con sottotitoli in inglese.

Surrealismo puro, con una traccia flebile di storia, che più che altro da continuità alle varie visioni create da Cocteau.
A livello stilistico il regista fa di tutto, usa la sovrapposizione, il negativo, ma utilizza idee inedite come teste e mani di pietra che sostituiscono quelle dei protagonisti durante le inquadrature a dettaglio.
A livello visivo poi è veramente bello; il film risulta molto più catchy di un, chessò, Bunuel simbolista, perchè Cocteau punta tutto sull’aspetto visuale e poco o nulla sul parlato (dove c’è una curiosa commistione di sonoro e cartelli).
PS: il film è dedicato a Pisanello, Piero della Francesca e Andrea del Castagno.
giovedì 29 luglio 2010
Marocco - Josef von Sternberg (1930)
Drammone dell'amore di Sterneberg con la Dietrich in cornice esotica. Lei se ne va in Marocco abbandonando tutto non si sa perchè, lui (un giovanissimo Gary Cooper) è nella legione straniera non si sa perchè, ovviamente si innamoreranno, ovviamente non lo ammetteranno, si lasceranno, ma non smetteranno mai di pensare l'uno al'altra. Nel finale a sorpresa la Dietrich si sacrifica per lui, seguendolo; strano per una mangiauomini come lei.
Film noiosetto senza particolari punti di interesse, da tenere presente solo per la creazione di una nuova immagine iconografica della protagonista in smoking e tuba.
Film noiosetto senza particolari punti di interesse, da tenere presente solo per la creazione di una nuova immagine iconografica della protagonista in smoking e tuba.
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venerdì 11 giugno 2010
L'angelo azzurro - Josef von Sternberg (1930)
(Der blaue engel)
Visto in DVD.
Il secondo film sonoro di von Sternberg (e credo il primo di Jannings) è il dramma di un uomo che per amore (ma alla fin fine per la passione nei confronti di una ballarina di night... quindi si può pure definire fregola) si trova costretto a rinunciare a tutto (abbandonare la cattedra al liceo, abbandonare la città natale) e ad abbassarsi a farsi mantenere da lei (che poi non lo trovo così tragico) e a umiliarsi e farsi umiliare nei panni di un clown anche davanti ai suoi ex concittadine, davanti all'indifferenza di una glaciale Dietrich.
Di per se il film non è granchè, la trama non molto originale ha il difetto di essere troppo lenta ed inutile nella pate centrale, mostrando fatti di cui ci interessa poco e mostrandoli pure con poco appeal. Il personaggio del professore è certamente ben fatto, ma piuttosto semplice, mentre quello della ballerina è talmente risibile che rende evidente il fatto che la Dietrich ha avuto successo solo perchè mostrava le gambe....però, c'è sempre un però... anche due...
In primo luogo, Jannings è sempre lui; è sempre in parte, sempre adatto, sempre perfetto in ogni personaggio, e nel fare lo sconfitto aveva già mostrato le sue capacità ne "L'ultima risata", e qui bissa il successo.In secondo luogo Sternberg azzecca diverse sequenze. La scena della Dietrich che canta "Ich bin von Kopf bis Fuß auf Liebe eingestellt", pur senza alcuna velleità artistica, si fa ricordare. Inoltre l'incipit è spettacolare per come introduca il personaggio interpretato da Jannings (già molto noto come attore muto) con una sequenza iniziale dove non parla mai, vi sono solo poche parole da parte della donna delle pulizie, ma lui si limita a recitare. Inoltre il finalone, titanico e disperato è una pietra miliare, sospeso tra "L'ultima risata" e "Freaks" salva l'intero film dall'oblio.
PS: il film fu girato in due versione, una tedesca ed una inglese per il mercato internazionae... non so se fosse sempre la Ditriech a cantare anche in questa versione, ma, per chi la apprezza, è imperdibile setirla cantare "Falling in love again".
Visto in DVD.
Il secondo film sonoro di von Sternberg (e credo il primo di Jannings) è il dramma di un uomo che per amore (ma alla fin fine per la passione nei confronti di una ballarina di night... quindi si può pure definire fregola) si trova costretto a rinunciare a tutto (abbandonare la cattedra al liceo, abbandonare la città natale) e ad abbassarsi a farsi mantenere da lei (che poi non lo trovo così tragico) e a umiliarsi e farsi umiliare nei panni di un clown anche davanti ai suoi ex concittadine, davanti all'indifferenza di una glaciale Dietrich.
Di per se il film non è granchè, la trama non molto originale ha il difetto di essere troppo lenta ed inutile nella pate centrale, mostrando fatti di cui ci interessa poco e mostrandoli pure con poco appeal. Il personaggio del professore è certamente ben fatto, ma piuttosto semplice, mentre quello della ballerina è talmente risibile che rende evidente il fatto che la Dietrich ha avuto successo solo perchè mostrava le gambe....però, c'è sempre un però... anche due...
In primo luogo, Jannings è sempre lui; è sempre in parte, sempre adatto, sempre perfetto in ogni personaggio, e nel fare lo sconfitto aveva già mostrato le sue capacità ne "L'ultima risata", e qui bissa il successo.In secondo luogo Sternberg azzecca diverse sequenze. La scena della Dietrich che canta "Ich bin von Kopf bis Fuß auf Liebe eingestellt", pur senza alcuna velleità artistica, si fa ricordare. Inoltre l'incipit è spettacolare per come introduca il personaggio interpretato da Jannings (già molto noto come attore muto) con una sequenza iniziale dove non parla mai, vi sono solo poche parole da parte della donna delle pulizie, ma lui si limita a recitare. Inoltre il finalone, titanico e disperato è una pietra miliare, sospeso tra "L'ultima risata" e "Freaks" salva l'intero film dall'oblio.
PS: il film fu girato in due versione, una tedesca ed una inglese per il mercato internazionae... non so se fosse sempre la Ditriech a cantare anche in questa versione, ma, per chi la apprezza, è imperdibile setirla cantare "Falling in love again".
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