mercoledì 10 aprile 2013

...e ora parliamo di Kevin - Lynne Ramsey (2011)

(We need to talk about Kevin)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un film estremamente ben pensato e ben curato, nelle mani di una regista (Lynne Ramsay) che sa il fatto suo e vuol dimostrarlo. Si perché è proprio la regia che la fa da padrona in quest’opera.
Questo, infatti, è un film che parla per immagini più che per il sonoro, con una costruzione simmetrica delle sequenze con diverse tendenze autoriali con l’uso del fuori fuoco che però, in questo caso, ha sempre uno scopo; l’estetica. Un uso degli attori come vero e proprio veicolo di emozioni più che di informazioni, le informazioni arrivano dai dettagli. su tutti il colore rosso, tutto qui è rosso, la vernice, i pomodori dell’inizio (così come le scatole di pomodoro al supermercato), la marmellata, le luci, l’orologio, ecc… tutto è rosso, perché tutto tende verso il finale senza mai mostrare nulla di direttamente evidente (addirittura alla fine non viene mostrato niente di diretto). Anche il montaggio viene usato come veicolo di informazioni; basti pensare al montaggio parallelo del ragazzo che lancia le frecce e Tilda Swinton a letto immersa in una luce rossa; un carico di significato degno di Eisenstein.
Il cast (più che altro la Swinton ed Ezra Miller) fantastico, come si è detto usato in maniera talmente estrema che ogni sorriso della protagonista si ricorda con una forza incredibile (sorriderà 2 volte se va bene).

Detto ciò la storia… non è necessario essere totalmente all'oscuro della trama per vedere questo film (io sapevo di cosa parlava, ma l’ho apprezzato tantissimo comunque), ma senza saperlo, capendolo poco alla volta, si gusta molto di più l’inizio che può apparire quasi assurdo. Per chi lo vedesse la prima volta senza sapere nulla credo che dopo s’imponga una seconda visione per apprezzare tutto il lavoro di sottintesi della Ramsey fin dalle prime immagini.
Detto ciò la storia. 

SPOILER. Basterebbe l’originalità della storia a interessare, perché il mostrare la famiglia dell’adolescente che fa la strage è quanto di più originale si possa fare. La famiglia dell’assassino è sempre l’anello debole mai raccontato e mai giustificato (figuriamoci poi compreso) di questi eventi. Il raccontare le difficoltà di questa donna con un grande cinismo rimanendo però scarni, senza mai abusare di nulla (si pensi agli incontri con i famigliari delle vittime, avrebbero potuto essere scene madri enormi, invece sono solo un paio e molto contenuti). Poi si potrà obbiettare che la storia in se è un poco cretina (il bambino è demoniaco più di Damien; e la strage con arco e frecce sa di implausibile), ma si salva per il grandissimo uso che ne fa la regia. Ora che posso dirlo più liberamente, un encomio per aver raccontato una strage in modo estremamente emotivo senza aver mostrato sangue.

2 commenti:

Babol ha detto...

Un film bellissimo ma disturbante da morire.
L'orribile intuizione che, proseguendo nella visione, si ha del finale è da pelle d'oca e la regia è da manuale, così come l'interpretazione dei bravissimi attori.
Non so però se avrò mai la forza di rivederlo, sinceramente.

Lakehurst ha detto...

come nel 90% dei casi, l'ho visto conoscendo tutta la storia, quindi l'effetto sorpresa del finale, l'angoscia di non sapere dovre andrà a parare o l'effetto straniante dei comportamenti dei personaggi dell'inizio sono andati a quel paese e credo che l'effetto che dici sia stato molto diminuito.
lo riguarderei anche domani