venerdì 25 agosto 2017

La la land - Damien Chazelle (2016)

(Id.)

Visto a un cineforum.

Un'attrice si innamora, ricambiata, di un musicista jazz; il loro primo bacio impiegherà tutto il primo tempo ad arrivare, il secondo sarà occupato dal tentativo di realizzare i propri sogni.

Un film incredibilmente reazionario, a livello di contenuti (ma anche diverse idee di messa in scena) non inventa nulla; dichiaratamente ispirato ai musical di Stanley Donen (la tavolozza di colori viene tutta da lì) ne prende completamente la linearità della trama, il tono fresco e positivo, le turbolenze dell'agnizione melodrammatica, ma soprattutto prende le canzoni come momento di esposizione di sentimenti e/o pensieri e non come momento per far proseguire la trama o come dialogo contato.
Come si diceva anche la fotografia è presa a piene mani dai musical di 60anni fa, mentre le coreografie sono ancora più conservatrici (dopo un incipit alla "Fame") con il più classico dei tip tap, danze da sogno tra le stelle e una scena in piscina che, seppure molto diversa, non può non far pensare ai musical anni '30. Ancora una volta sembra inventare poco, anzi pochissimo (addirittura nella scena musicale finale dove si ripercorre tutta la loro storia, alternativa, c'è la stessa complessità fantasiosa delle migliori sequenze musicali della Disney).
Eppure la macchina da presa non riesce a stare mai ferma, dando dinamismo a tutte e le scene e trasformando molte scene di ballo in piano-sequenza anche laddove non sarebbe necessario o scontato (l'incipit in strada, la preparazione alla festa dove l'uso degli spazi interni è perfetto).

Incredibile quindi che un film così tanto derivativo possa essere così efficace. Invece funziona e funziona proprio per la precisa volontà di rifare un film strutturalmente vecchio in un contesto moderno, con metodi e tecniche recenti. Funziona nonostante una trama che qui e la zoppica nel noioso, nonostante le imperfezioni nel ballo dei due protagonisti (la scena del tip tap è piuttosto piatta); funziona per la potenza evocatrice che riesce a superare i difetti, grazie alle musiche assolutamente buone e alla regia dinamica che non perde occasione per sfruttare appieno le megalitiche scene ricostruite in interni. Non stupisce quindi che il primo tempo, più candidamente anni '50 risulti migliore del secondo dove Chazelle preferisce riprendere una sua ossessione (sul successo raggiunto con lo sforzo e la sofferenza) anziché proseguire nel solco del passato.
Una scommessa rischiosa che, nonostante il cambio di marcia, risulta perfettamente vinta, regalando uno dei film visivamente migliori del 2016.

PS: non intendo neanche discutere sugli attori data la mia antecedente adorazione per Emma Stone.

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