(Karumen kokyô ni kaeru)
Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
Una ragazza che fa "l'artista" (la cantante ballerina di avanspettacolo... o forse qualcoasa di più...) a Tokyo torna i campagna dove è nata e dove vive il padre che si rifiuta di vederla. Il villaggio si muove attorno a questo ritorno mentre lei cerca conferme negli sguardi degli altri.
Un filmetto grazioso, ma senza nerbo e senza motivi di interesse particolare. La vicenda è trattata in maniera superficiale e il mezzo twist del finale non ne aumenta la profondità. La sceneggiatura veleggia su una superficialità incosciente che rende la storia solo un ritorno, senza effetti sui personaggi (fatto salvo l'aver recuperato dei soldi), senza scavo, senza vere sorprese o cambiamenti.
Kinoshita si cimenta per la prima volta con il colore (il film è da ricordare unicamente per questo motivo: è il primo film a colori prodotto in Giappone) gestendolo in maniera semlicistica con un effetto zuccheroso; le due protagoniste indossano vestiti dai colori sgargianti, frequenti campi medi (o lunghi) che incastrano i personaggi in un idillio campestre fatto da campi verdi e cieli incredibilmente azzurri. Kinoshita si butta anche a gestire l'intero film con carrelli brevi che tentano di rendere dinamiche le staticissime sequenze o muovendosi con le passeggiate dei personaggi.
Quello che rimane è soltanto quello che già si è detto, il primo film a colori giapponese. Niente di più.
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