venerdì 21 giugno 2013

Gentlemen Broncos - Jared Hess (2009)

(Id.)

Visto in Dvx in lingua originale con sottotitoli in inglese.

Un ragazzo appassionato di fantascienza scrive racconti di genere dall'età di 7 anni; ad un campo di scrittura incontra il suo idolo, un autore di sci-fi che lo ha molto segnato. Durante l’incontro viene annunciato un concorso per racconti inediti che verranno giudicati da una giuria in cui prenderà parte anche l’idolo del ragazzo; ovviamente parteciperà, il suo eroe leggerà il racconto e rimasto colpito dalla storia (ed essendo in crisi d’idee) lo copierà e lo pubblicherà ottenendo un grande successo. Ah si, diciamolo, è una commedia.

Da qui parte tutto, ma questo è un film di Jared Hess, un film dove il contorno determina il contenuto. Il regista torna all’ambiente che conosce meglio e che ama descrivere, gli anni ottanta dai colori spenti di “Napoleon dynamate”, pur ambientando il film ai giorni nostri. Compare anche un computer, ma i vestiti, lo stile, i colori, le pettinature, i volti, le posizioni degli attori, tutto rimanda all'estetica '80s.

Ovviamente, come in ogni film di Hess, l’assenza di recitazione è la cifra distintiva, ma questo perché  i volti degli attori fanno già la differenza; si recita con i tratti del viso e con le espressioni (fintamente) involontarie prima ancora che con la voce o con il corpo e Hess propone una nuova carrellata di personaggi congelati, nell'incipit c’è già tutto (come al solito poi ci sono titoli di testa curati e mirati esattamente sul tema del film).

Ovviamente, come in ogni film di Hess, l’origine del protagonista è umile e la trama è il tentativo di raggiungere un sogno. Ma in questo caso l’origine umile non è solo la condizione iniziale da cui risorgere (come in “Nacho libre”), ma è un’aggravante, è un’effettiva limitazione e l’irraggiungibilità dei sogni dei protagonisti qui assume un sapore diverso, sembrano l’unica alternativa alla disperazione e nella scena in cui la madre del protagonista non riesce a far accettare la sua linea di vestiti al suo capo non si prende la notizia con tranquillità, ma si capisce perfettamente che può essere la fine di tutto ed il ritorno alla vita precedente senza altre possibilità. Da questo momento tutto assume un mood diverso, l’incontro in carcere (ridicolo come deve essere) ha una tenerezza di sottofondo che non c’era mai stata; le reazioni esagerate (la madre che scappa urlando tappandosi le orecchie o il giovane protagonista che spara freccette con una cerbottana verso il capo della madre) hanno un sapore di emozioni vere; ma soprattutto l’inespressività, l’apparente apatia dei protagonisti (costante nei film di Hess), sembra l’unica alternativa alla disperazione, quindi basta una sola lacrima o un mezzo sorriso (entrambi nel finale) per scoperchiare tutto un universo di sentimenti e di significati che altri film avrebbero mostrato con una lunga scena madre.
Ancora una volta lo stile particolare, pesantissimo e anticommerciale di Hess vince, anzi, fa un passo avanti e acquista nuovi significati. Vedremo quanto ancora riuscirà a mantenerlo senza bruciarsi. Per ora bravo.

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