mercoledì 5 novembre 2014

La spia, A most wanted man - Anton Corbijn (2014)

(A most wanted man)

Visto al cinema.

L'agenzia di intellingence tedesca sta seguendo un individuo sospetto legato all'estremismo islamico/ceceno; verrà presto a sapere quali sono i suoi interesse e decideranno di sfruttarli; non è lui che vogliono, ma qualcuno di più grosso. Questo qualcuno lo stanno seguendo da molto più tempo, ma non è lui che vogliono, è qualcuno di più grosso.

"La talpa" ci aveva insegnato che la vera vita di una spia non è quella di James Bond, una spia è un dipendente pubblico molto simile a tutti gli altri (almeno di quelli che lavorano per la pubblica sicurezza), sono burocrati, devono discutere con il capo, devono affrontare gli scazzi privati senza che interferiscano con il lavoro. Qui siamo da quelle parti.
Le spie sono persone normali, che si fanno il mazzo, hanno reazioni emotive, sono rudi cavernicoli (gli europei almeno, mentre gli statunitensi sono stilosi e perfetti), sono frustrati e devono continuamente combattere per ottenere vantaggi e per battere le altre agenzie investigative con cui collaborano per obbligo non per volontà. In mezzo ai film di spionaggio quindi ci sono anche i soliti intrighi di palazzo che qui, pur essendo determinanti, rimangono spesso sullo sfondo.
In primo piano la vicenda principale; un lungo pedinamento di una persona sospetta senza avere nulla in mano che non porta a nulla se non il fatto di avere uno strumento in più per battere qualcun altro in un eterno gioco di scatole cinesi.

Dal punto di vista estetico... beh si ritorno ancora una volta a "La talpa" (se verrà prodotto un'altro film sullo stesso modello credo sia legale dire che ha inventato un nuovo stile se non un filone); la città di Amburgo è ripresa dai bassifondi o dalle strutture spigolose moderne o moderniste, gli interni sono spigolosi e geometrici (molto anni '70), i colori sono terrei con molte ventate di grigio; tutto torna a mostrare la realtà dal punto di vista più basso possibile. Qui le spie non shakerano Martini, ma battono la strada.
Quello che però si distanzia molto dal film di Alfredson è che qui a dirigere non c'è un rigido svedese molto formale, ma uno sporco americano disilluso e figlio anche lui della strada (si lo so, Corbijn è olandese, ma direi che lo possiamo considerare mezzo americano figlio della strada, almeno culturalmente), niente macchina da presa ortogonale e inquadrature precise e ragionate, qui si va di camera a mano, di inquadrature dall'auto, di riprese fatte dalle videocamere di sorveglianza, di inquadrature velate da teli di plastica.

C'è bisogno di parlare del cast? Ultimo film di Hoffman che è bravissimo (come è ovvio) ed è bellissimo vederlo recitare di fianco ad un Dafoe in parte e a una Wright che ormai si è cristallizzata nella parte della chiccosa doppiogiochista.

Se si riesce a tollerare un film scarno e diretto, realistico e con alcuni silenzi in più di quanto ci si aspetti (e se si riesce a sopportarlo per 2 ore), questo film non potrà non piacere.

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