giovedì 30 dicembre 2010

Seduzione mortale - Otto Preminger (1952)

(Angel face)

Visto in DVD.

Visto che finora ho sottovalutato troppo Preminger ho deciso di darci dentro e vederne una lista di suoi film.


Questo Seduzione mortale è un noir atipico… una ragazza di famiglia ricca si innamora del paramedico Mitchum e cerca di portarlo sempre più vicino a se; non avrebbe idee negative nei confronti dell’uomo, ma ha troppa voglia di ammazzare la matrigna e anche lui rimarrà invischiato.

Noir atipico dicevo, in primo luogo per la femme fatale, che in questo caso è una via di mezzo fra una wannabe vamp e una ragazzina viziata, con il risultato di non riuscire quasi mai credibile agli occhi del protagonista e i cui tranelli sono evidenti a chilometri di distanza. In secondo luogo perché inizia soltanto come un noir, ma poi finisce come un dramma intimistico e cupo come pochi, fatto di rapporti umani distrutti e senza speranza.

Il film convince in quasi tutto e si fa lodare l’originalità dall’inizio al prevedibile, ma sconcertante, finale.

mercoledì 29 dicembre 2010

The tourist - Florian Henckel von Donnersmarck (2010)

(Id.)

Visto al cinema.

La Jolie è un agente dell'interpol che ha voltato le spalle ai suoi per supportare un ladro internazionale che ha fregato miliardi ad un mafioso inglese che si circonda di russi perchè fa bello averli li e parlarci russo assieme. Chiaro che il ragazzo sarà inseguito in capo al mondo sia sall'interpol, sia dal mafioso.

Per depistare tutti, su suggerimento dell'amato ladro (che non vede da due anni, ma che comunica con lei con delle lettere), sale su un treno per Venezia (lei è a Parigi), va dal primo che per corporatura sia simile al ricercato (Depp), lo seduce, se lo spupazza, se lo porta in albergo a Venezia, non ci fa nulla, lo mette in un sacco di casini, se ne diaspiace, lo aiuta, se ne innamora e poi tutto finisce con un twist finale alla Shyamalan.

Il problema di questo film è uno solo: è tutto sbagliato. No, sul serio, basta citare una qualsiasi parte del film e si capisce rapidamente che è sbagliatissima. Il film inizia con un ritmo agghiacciante, più lento di un film di Godard dei peggiori, tutti ripetono la stessa storiella 12 volte (e la storia è di una semplicità imbarazzante); unendosi quindi alla tendeze di questi anni nella costruzione di un film e cioè basarsi sul chiacchericcio.

Poi la storia d'amore zoppica come Bannister, le scene d'azione sono la cosa più imbarazzante mai mostrata sullo schermo dall'epoca di "Chiken Park" (chi ha il coraggio di definire inseguimenti quelle gitarelle in barca o sui tetti?! chi?), la storia principale si risolve nel colpo di scena finale meno credibile in assoluto (ma che potrebbe anche soddisfare)... e poi ci sarebbero altre 2000 cose che non funzionano; dai personaggi di una banalità non giustificabile, alle luci (addirittura le luci sono sbagliate!) che rendono palese le ricostruzioni in interni dei tetti di Venezia (per esempio), un uso degli effetti speciali risibile e addirittura alcune sequenze sono anche realizzate proprio male (la peggio di tutti è la fuga sui tetti; ma anche lo scontro tra Depp e Frassica è proprio stato fatto da un sordocieco).

Un film deludente sotto ogni punto di vista, anche per chi si aspetti un blockbuster (anzi, la lentezza, l'incapacità nell'uso delle luci e del CGI, la totale incompetenza nelle scene d'azione sono tanto più deprecabili dato che ci si trova davanti ad un blockbuster; fosse stato un indie o un film di serie b si potrebbe anche chiudere un occhio)

martedì 28 dicembre 2010

Delicatessen - Jean-Pierre Jeunet (1991)

(Id.)

Visto in DVD.

Agli inizi Jeunet era già Jeneut; meno fiabesco, ma sempre favolistico (se mi si passa l’espressione).

In un futuro post-apocalittico, in un condominio fuori città, il macellaio (padrone del palazzo) offre carne umana come cibo più pregiato, carne presa dai malcapitati che rispondono ad un suo annuncio di lavoro. Nel momento in cui, a rispondere a quell’annuncio, arriva un ex clown le cose cambiano; stralunato, ingenuo, con una felicità che dona gioia a chi gli sta accanto per il suo semplice esistere (si esatto, è un’Amélie in versione maschile)… ovviamente la figlia del macellaio si innamorerà di lui.

Jeunet non crea un unico personaggio, ma un intero mondo che ubbidisce alle sue regole. Tutti gli abitanti di quel condominio sono personaggi grotteschi, ingenui e vittime dell’ambiente o di loro stessi, sospesi in un mondo, certamente apocalittico, ma pur sempre sospeso, irreale e crudele proprio com’è nelle fiabe. La regia è dinamica e cartoonistica con la solita accuratezza assoluta nella fotografia e nella messa in scena; certo i movimenti di camera sono meno funambolici e gli inserti ancora non ci sono, ma le basi per tutti i suoi film futuri ci son tutti.

Complessivamente questo film è originale, divertente, ma niente di più, non offre nulla a livello di storia, ma poco importa, è solo un banco di prova.

lunedì 27 dicembre 2010

Amore folle - Karl Freund (1935)

(Mad love)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.


Ed ecco il primo seguito di "Orlacs hände”. La storia è sempre la stessa del precedente, ma il film è completamente diverso; qui l’attenzione non è più per l’operato, ma per il medico. Se l’altro era un dramma con venature metafisiche, qui è un horror in piena regola, con un chirurgo pazzo (ma pazzo davvero), che spinge tanto sull’effetto scenico (si inizia, letteralmente, con un horror show) e poco sul dramma personale.


L’idea in se non è malvagia, riutilizza un film vecchio di soli 10 anni, ma lo adatta alle mode del momento, tirando fuori un horror; poi ci mette Lorre nella parte del matto, questo a scapito della recitazione, ma certamente un physique du rôle più adatto non c’era all’epoca.


Quella che è una buona idea dona alcuni grandi momenti (il paragone con Galatea e Pigmalione fino alla statua che prende vita), però purtroppo causa anche molte cadute di stile. Il dramma del pianista è rapido e molto poco mostrato, il fattore soprannaturale è mantenuto vivo (e non spiegato) fino alla fine (a scapito della credibilità), il mostro nel finale spiega tutto il suo piano giusto per non lasciare dei dubbi e poi c’è un happy ending attaccato col bostik che proprio non si può sopportare.


Peccato, perché l’intento era ottimo, ma la realizzazione sfigura al confronto con il predecessore.


domenica 26 dicembre 2010

Orlacs hände - Robert Wiene (1924)

(Id.)

Visto in Dvx.

Un noto pianista perde l’uso delle mani a causa di un incidente, su insistenza della di lui compagna il medico decide di osare l’inosabile… attua un trapianto di mano… al di la dei problemi connessi con la microchirurgia dei capillari e dei nervi, oltre che della questione igienica negli anni ’20, il principale postumo sembra essere un insano istinto omicida insito nelle mani stesse… l’operato ci rimane abbastanza male e strugge per riuscire a capire… vuoi vedere che il dottore, pur essendo un fottuto luminare, mi ha messo le mani di un assassino?

Sorprendente film del 1924 diretto con precisione chirurgica (ah ah ah) da Wiene. Non a caso ho usato il termine sorprendente, infatti qui tutto sorprende. Sorprende l’idea di fondo, per l’epoca eccessiva, ma in un certo senso reale (i trapiantati soffrono della sensazione di non appartenenza dell’arto nuovo), stupendo poi come venga suggerito il contesto paranormale della storia e come poi venga riportato ad una più ovvia normalità il tutto (magnifico che tutto si spieghi così esattamente, sconvolgendo le aspettative che vengono create nello spettatore) ed eccezionale l’uso delle scenografia, scarne come in tutto il cinema del muto, ma efficaci e l’utilizzo delle ombre. Infine quella breve applicazione degli effetti speciali è davvero inquietante, l’immagine del braccio enorme che schiaccia il protagonista convalescente vale tutto il film.

Nella parte del protagonista c'è quella stupenda faccia da film espressionista tedesco di Veidt (li ha fatti tutti lui).

Stupendo.

PS: di questo film ne sono stati tratti, immotivatamente, due remake, uno degli anni ’30 ed uno dei ’60. Mi applicherò per vederli entrambi.

sabato 25 dicembre 2010

Incontri ravvicinati del terzo tipo - Steven Spielberg (1977)

(Close encounters of the third kind)

Visto in DVD.

Un film mitico che ha contaminato il genere e creato una serie di modi e di linguaggio per gestirne la messa in scena.

La storia è nota; un elettricista vede una serie di UFO e rimane ossessionato da una forma, da un’immagine, che scoprirà essere un monte. Riuscirà a raggiungerlo assieme ad altri rimasti sconvolti allo stesso modo e assisterà al primo incontro fra umani ed alieni.

Il film si fa ricordare soprattutto per la classicità nello sviluppo della trama (il lento disvelarsi della storia e il continuo mostrare sempre di più fino al finale dove gli alieni appaiono in carne e ossa. In questo Spielberg non è solo un maestro, ma anche uno degli inventori della formula magica giusta) a cui si sovrappone il soggetto, lo spunto alla base, estremamente originale. A fronte dell’idea della musica come linguaggio universale (altra grande invenzione, solo oggigiorno divenuta banale) vi è il concetto base degli alieni come forza positiva; dell’incontro come tentativo di comprensione. Si insomma, la fantascienza che mostra gli altri come essere viventi in tutto simili a noi e l’incontro come una possibilità di arricchimento. Se si esclude E.T. (che comunque è una favola per bambini e pertanto la creatura è per forza buona) questo è l’unico film con alieni apertamente positivo che io ricordi.

Poi per carità, il film è di una lentezza esorbitante e dopo averlo visto una volta si è a posto per tutta la vita, però uno sguardo lo merita.

venerdì 24 dicembre 2010

The king of comedy - Stephen Chow, Lik-Chi Lee (1999)

(Hei kek ji wong)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Stephen Chow prima di esplodere ed avere un sacco di soldi per gli effetti speciale era già Stephen Chow.
In questo film del 1999, di stampo praticamente neorealista se paragonato alle sue recenti sparate, mette in campo tutto quello che ci sarà dopo; comicità efficace, gag slapstick (ci sono calci da cartone animato anche qui), personaggi semplici e quasi caricaturali, e poi il calssico intreccio dei buoni sopraffatti dai cattivi che però alla fine perdono (che qui è particolarmente strappalacrime, ma per fortuna non toglie niente al resto del film, o non troppo almeno).
Se il film nel complesso funziona con battute che fanno realmente scoppiare a ridere (la mia preferita è tutta la sequenza in cui Chow deve insegnare ad un nerd a chiedere il pizzo) è innegabile l'inadeguatezza dell'insieme in cui viene buttata troppa carne al fuoco, riuscendo soltanto a rendere tortuosa e assurda la trama (a cosa serve la storia dell'infiltrato nel finale?). Di positivo c'è però tutto un discorso dissacrante sul tipo di film (per buona parte questo è un film metacinematografico) d'azione hongkongesi con wire-fu e tripudi di colombe.

PS: cameo di Jackie Chan che personalmente intendo come passaggio di testimone. Ecco adesso ricomincio a piangere.

giovedì 23 dicembre 2010

Grissom gang, niente orchidee per miss Blandish - Robert Aldrich (1971)

(The Grissom gang)

Visto in DVD.

Una rapina fatta da 3 parvenue del crimine organizzato finisce male, ammazzano qualcuno e rapiscono la figlia di un ricco magnate… peccato che l’omonima gang del titolo (una banda rigidamente matriarcale, diretta con un certo acume da una poco posata signora oltre la mezza età) capisca quello che hanno fatto, li ammazzi a sua volta e rapisca la giovane per poter chiedere un riscatto e poi disfarsene. Tutto andrebbe benissimo se solo il figlio vagamente ritardato della capo banda se ne innamori… come nella migliore tradizione dei film di gangster ci saranno parecchie pallottole e visto che siamo nei 70’s anche parecchio sangue.

Impietoso gangster movie di Aldrich, che dirige sicuro un film violento (psiclogicamente prima, e fisicamente poi) e duro, che affondando le radici nel fortunato filone degli anni ’30 (anche se il rapporto con la madre e il rapporto della madre con la banda non può non ricordare “La furia umana”), se ne esce però con una considerazione non banale (all’epoca) del rapporto fra i rapitori e la rapita. Essendo un esperto della macchina da presa Aldrich riesce anche a imbastire i rapporti personali all’interno della banda, quelli delle persone al di fuori d’essa ma legate alla faccenda e pure ci mette le indagini della polizia.

Se non fosse stato per qualche periodo di stanca il film sarebbe perfetto, ma la sceneggiatura purtroppo non è del tutto azzeccata.

PS: torna ancora una volta Wesley Addy, il feticcio di Aldrich, che fa sempre tanta simpatia vedere sullo schermo.

mercoledì 22 dicembre 2010

Serpico - Sidney Lumet (1973)

(Id.)

Visto in DVD.

Un poliziotto onesto e idealista, appena arrivato nel Bronx si trova di fronte a dei casi di corruzione dilagante e sfrontata a cui non può, moralmente, partecipare, ma neppure può sopportare. Si opporrà ricorrendo ad ogni modo legale e ammissibile, poi si rivolgerà all'esterno della polizia aizzandosi l'odio, non solo dei colleghi che ovviamente lo disprezzano, dei superiori. Verrà trasferito, ma ormai il danno è fatto, il suo nome sarà segnato a vita.
Dramma in salsa poliziesca anni '70 crepuscolare e pessimista, con un protagonista carismatico, fuori dai canoni dell'epoca e magnificamente interpretato (da urlo la scena finale nella camera d'ospedale, un Pacino al meglio, come in tutti gli anni '70) che darà poi il la alla creazione del monnezza (!).
Lumet risulta molto formale nel creare una cornice realistica intorno alla vicenda, e l'effetto funziona. Il film risulta, specialmente all'inizio, eccessivamente idealista nella creazione del personaggio di Serpico, che reagisce in maniera esagerata anche a situazioni non eccessiva, ma l'effetto è stemperato nella sua graduale discesa all'inferno e nel finale senza alcuna speranza.
Un caposaldo del genere, che per solidità e asciuttezza dovrebbe essere d'esempio.

martedì 21 dicembre 2010

La calda amante - François Truffaut (1964)

(La peau douce)

Visto in DVD.

Film realizzato coscientemente in antitesi con "Jules e Jim", che contrapponte all'amore anarchico le sfortunate sofferenze amorose di una coppia consueta. Un piccolo dramma borghese senza sussulti, ma con molta onestà, e una vena nera nel finale.
L'idea è trattata con tutto il realismo possibile, e con il distacco che caratterizza l'opera di Truffaut, e fanno di questo classico triangolo amoroso (lui un conferenziere conosce una hostess di cui s'invaghisce e costruisce la consueta storia di depistamenti) un'opera originale e asciutta.
Tutto è realizzato con interesse e con cure, e regala alcuni momenti veramente buoni, come la reazione della moglie al marito che l'abbandona ad esempio.
La regia poi è tutta intenta ad inquadrare oggetti inanimati e dettagli delle mani; si assiste ad un profluvio di scarpe nell'albergo dell'inizio, a maniglie, pulsanti e bottoni (particolarmente pesante è la scena alla pompa di benzina, che comunque risulta apprezzabilissima) e un utilizzo forzato degli specchi nella prima metà.
Truffaut realizza un dramma consueto, senza velleità intellettuali, e forse proprio per questo riesce interamente.