venerdì 5 dicembre 2014

Tigre reale - Giovanni Pastrone (1916)

(Id.)

Visto qui.

Una contessa (sposata) è una vamp che attira a sè gli uomini solo per respingerli, su di lei si addensano storie di suicidi per amor suo o per disperazione causata da lei. Un uomo (un borghesuccio senza particolare appeal) riesce a farsene innamorare... o forse no, il comportamento di lei appare schizofrenico. Allontanatisi e reincontratisi in una notte si chiariranno tutte le ombre, lei è stata innamorata, ma a causa di un trauma ora allontana da sè gli amati... ed è tisica. Allontanatisi di nuovo, lui si fidanzerà con un'altra donna. Reincontratisi lei appare morente, mentre si danno l'addio l'albergo in cui si trovano va a fuoco, il marito di lei li sorprende e preso dalla rabbia li chiude a chiave nella stanza; riusciranno a fuggire e lei (ritemprata dall'amore) guarirà anche dalla tisi...

Due anni dopo "Cabiria" (e a poca distanza da "Il fuoco"), Pastrone interrompe la collaborazione con D'annunzio per girare questo film supervisionato da Verga (no per dire chi lavorava nel cinema italiano all'epoca)... Eppure la differenza non si vede, un ambiente ed un tema dannunziano tale che il vate non avrebbe potuto far diversamente.
Pastrone va sul sicuro ricorrendo di nuovo alla Menichelli nella parte principale (attrice lanciata in Italia proprio dal suo film precedente) della vamp mangiauomini. La Menichelli che Borelleggia più della Borelli con i suoi sguardi sempre in tralice, il mento sempre alzato, gli occhi supertruccati, la bocca bloccata in una smorfia, i capelli pettinati a gufo e le articolazioni del braccio sempre, costantemente piegate tutte insieme... beh è magnifica nel suo eccesso.
La regia decisamente più canonica del Kolossal del 1914 si concentra più nella costruzione degli spazi e negli arredi opulenti, si concede qualche immagine grandiosa solo nel rogo finale (con delle scene di una certa potenza) e si diletta nei movimenti di macchina (che in "Cabiria" erano all'ordine del giorno) solo in un paio di scena (anche se quello nel teatro, grazie alla prospettiva del palco in secondo piano ha un effetto potentissimo).

Il film decisamente più canonico del capolavoro precedente esiste solo nella versione per i paesi anglofoni; amanti dell'happy ending costringe la sceneggiatura al volo pindarico della guarigione miracolosa; la versione originale (molto più in linea con D'Annunzio) prevedeva una morte per tisi della Menichelli, da sola, abbandonata dall'amante respinto ormai fidanzato.

2 commenti:

Christian ha detto...

Grande Lakehurst, non lasciamo cadere nell'oblio il cinema muto (e in particolare quello italiano, che nei primi anni dieci – esattamente un secolo fa! – furoreggiava)!

Presto anch'io vorrei dedicarmi a Pastrone e ai vari Caserini, Guazzoni e De Liguoro, i "grandi" di quell'epoca, oltre naturalmente a recuperare Griffith e Feuillade, e magari andare anche più indietro (Porter, Dickson, Méliès!)

Lakehurst ha detto...

devo essere sincero, mentre dei film di produzione estera (specialmente degli anni '20) me ne sono sempre interessato, gli anni 10 italiani li ho snobbati finora (direi per una forma di razzismo); ma quest'anno con il centenario di Cabiria non potevo esimermi dal vederlo... beh il colpo è stato notevole, un film enorme, magnifico; per colpa sua sto recuperando quel periodo