(Pieles)
Visto su Netflix.
3-4 storie in parallelo caratterizzate da freak (per lo più fisicamente, ma spesso anche moralmente) che tentano di sopravvivere e fare i conti con il proprio essere.
L'opera prima di Eduardo Casanova è figlia diretta dei suoi cortometraggi, se "Eat my shit" (ben costruito, ma puerile limitandosi all'idea del tratto gastrointestinale invertito) è preso per intero in una delle storie (e rappresenta un involontario teaser del film), mentre "La hora del bano" ha già tutti gli elementi estetici che ritorneranno successivamente e una capacità di mettere in scena il suo mondo, zuccheroso e grottesco, che è quasi perfetta.
Purtroppo questo film non è come i cortometraggi.
le storie si intersecano fra di loro in maniera parziale e talvolta pretestuosa, evidenziando che il lungometraggio è stato fatto cucendo assieme una manciata di corti che avrebbero potuto avere un senso da soli; unendoli non ne viene amplificato il significato, ma ne viene smorzato l'effetto, dato che tutti vogliono insistere sul grottesco e sul ripugnante e dato che un corto con un finale sospeso è un conto, una serie mischiata insieme con finali parziali fa tutt'altro effetto (negativo).
La messa in scena è alla Tim Burton, ma esagerata, il rosa come colore dolce e zuccheroso utilizzato in maniera estrema per stridere contro le deformità e l'abiezione morale; interessante, ma utilizzato così è stucchevole e rende fino a un certo punto.
Per quanto esagerata la cosa migliore è sicuramente la scena d'apertura, lievemente sopra le righe (come sempre in Casanova) riesce però a introdurre in un mondo terribile, ma gestito in maniera professionale e pragmatica e con un colpo d'occhio da casa di barbie, ma è obiettivamente troppo poco. Meglio tornare ai corti.
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