mercoledì 26 dicembre 2018

Il ferroviere - Pietro Germi (1956)

(Id.)

Visto in Dvx.

La storia di un ferroviere, tendenzialmente buono, ma dedico all'alcol che gli permette di affrontare nel peggior modo possibile, la gravidanza indesiderata della figlia, un incidente di lavoro con gravi conseguenze e la vita famigliare in generale, fatta più di assenze che di presenze.

Melodrammone neorealista di un Germi incredibilmente reazionario. Un film classicissimo nel portare verso una agnizione estrema in un finale drammatico e dolce insieme che sembra uscire da un romanzo ottocentesco. La cifra stilistica però è quella simil-neorealista che ambientazioni popolari e una galleria di personaggi semplici che della piccola borghesia sentono solo un lontano aroma.

Accusato, giustamente di essere troppo alla De Amicis, populista, retrogrado, con una morale già vecchia per l'epoca, ad una visione attuale porta dentro di sé tutti questi difetti con una tracotanza quasi fastidiosa. Curiosa anche la scelta di porre il punto di vista del figlio piccolo, interessante e ricca di opportunità, ma utilizzata solo per sfruttare qualche momenti drammatico e poi accantonata.

Nonostante i molti limiti il film riesce comunque a portare a casa il risultato con l'intimismo insistito (che, a me, colpisce sempre), ma soprattutto la psicologia del protagonista. Il padre-padrone della vicenda non si limita a essere una macchiatta buonista e neppure l'acolista imbruttito da film (fantastico poi trovare una così evidente accusa della dipendenza da vino in un film d'epoca), ma riesce invece ad avere ogni sfumatura nel mezzo e ad aggiungere quella dell'uomo amante del proprio lavoro, dell'uomo bistrattato dal destino, dell'uomo quasi anaffettivo, ecc...
Non un capolavoro, ma un film interessante che può valer la pena recuperare, soprattutto, per chi ama il melodramma.

PS: come al solito magnifica la spalla Saro Urzì.

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