venerdì 4 gennaio 2019

Gattaca. La porta dell'universo - Andrew Niccol (1997)

(Gattaca)

Visto in Dvx.

In un futuro in cui la lettura del DNA permette di prevedere le percentuali di rischio di ogni malattia, solo gli individui più geneticamente dotati vengono scelti per lavori superiori, mentre i portatori di, possibili, tare vengono relegati alla serie B senza possibilità di ascensione sociale. Un ragazzo con una buona probabilità di avere problemi cardiaci in giovane età vuole a tutti i costi diventare astronauta, metterà in piedi un elaborato sistema per eludere i continui controlli (con l'aiuto di un uomo dal DNA strabiliante, ma in sedia a rotelle per un incidente) e partire per la prima missione su Marte. Purtroppo i suoi piani sembrano dover essere scoperti a causa di un omicidio che porterà la polizia a indagare.

Un film che parte da una distopia vagamente huxleyana per portare avanti l'eterno topos americano della volontà che batte ogni costrizione, del self made man più forte dei suoi limiti e dell'ottusità del sistema. A conti fatti niente di veramente nuovo, ma, considerando l'anno d'uscita (la pecora Dolly nacque l'anno prima e il progetto genoma umano si trovava esattamente a metà percorso) è affascinante l'aver preso un concetto scientifico nuovo e pieno di potenzialità per immaginarne le storture in un futuro in cui questo sarebbe stato completamente sfruttabile; si, insomma, la fantascienza alla sua prova di forza speculatoria massima.

Alla sua opera prima Niccol scrive e dirige.
Scrive in maniera fin troppa convenzionale, ma provando a gestire il tutto come un thriller con twist plot e agnizione finale.
Dietro la macchina da presa riesce a fare anche peggio; elimina ogni punta di interesse e di ritmo, riducendo una storia semplice, ma potenzialmente interessante, in una lunga sequela di scene mal recitate (non da tutti, ma la media è negativa).

Quello che davvero si salva è il comparto estetico. Con un cast fatto di attori e attrici bellissimi, con vestiti impeccabili, location moderne senza futurismi impossibili e una fotografia da colori terrei e caldi con luci soffuse degni di ben altri sforzi. Ma ancora più di tutto questo c'è l'idea (da allora riutilizzata periodicamente) di creare un'idea di futuro non localizzabile nel tempo con dettagli (su tutti i vestiti anni '50) retrò, creando un mabiente futuribile, ma comprensibile, affascinante (sfociando facilmente nel dandy) e non databile.

A conti fatti, però, rimane solo una splendida scatola.

Nessun commento: