venerdì 19 febbraio 2016

J'ai tué ma mère - Xavier Dolan (2009)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato.

Un 17enne gay vive con la madre divorziata, i due si amano, è evidente, ma è altrettanto evidente che hanno torppe idiosincrasie che li portano a scontri più che frequenti e alla, quasi, totale mancanza di dialogo. La routine, fatta di liti, urla, riconciliazioni traballanti, (spesso dovuta alla follia di lei) esplode e si porta dietro, come conseguenza, l'incarceramento del ragazzo in un collegio.

Potente opera prima di un Dolan appena 19enne. Questo dettaglio fa specie, non tanto per l'aderenza del regista/attore con il personaggio (personalmente mi interessa poco che siano le opinioni di prima mano di un adolescente in presa diretta), ma quanto per la regia articolata, fantasiosa, ma raffinata, mai eccessiva e piuttosto matura.
La costruzione delle immagini è il vero, grande punto di forza del film. Questo assieme alla reale forza nel veicolare il significato del film (il particolare rapporto di amore/odio fra madre e figlio) sono i due motivi per cui recuperare il film.
Detto ciò ora iniziarò una pedissequa (e incompleta) descrizione della regia che continuerà fino al capoverso.
La regia è fantastica e articolata, dicevo; caratterizzata da immagini in presa diretta alternate a sequenze con una precisa costruzione spaziale delle inquadrature (sempre statica, sempre con i personaggi incastrati nello sfondo, spesso inquadrati da soli in un angolo dell’inquadratura); uso delle luci per differenziare gli ambienti e le scene; intermezzi con il protagonista (lo stesso Dolan) ripreso in primissimo piano in bianco e nero che snocciola filosofeggiamenti banalotti; e introduzione delle nuove sequenze con un montaggio serratissimo di immagini statiche (foto o dipindi posti sulle pareti); infine ci sono degli inserti realizzati come tableau vivent che rappresenta quello che pensa o sente il protagonista sotto forma di un’immagine statica. Grandi linee è trutto qua, ma in realtà per capire come tutto questo funzioni (ma anche cosa ho tralasciato) bisogna vederlo.

Quello che ne viene fuori è un film piuttosto meccanico nella struttura, realizzato da un nuovo regista che si ispira ai contemporanei (basta Leone, Kurosawa o Welles) e che ha delle capacità pazzesche data la giovanissima età e l’inesperienza, e riesce a tirare fuori uno stile unico, particolare e granitico senza le sbavature di solito legate all'opera prima (i piccoli difetti di montaggio, di raccordo, l’assenza di scene aggiunte inutili, ma che danno ritmo). Con questo stile riesce a dare ritmo e a tenere in piedi un film imperfetto senza mai un minuto di noia.

Si perché la storia è interessante e, sulla carta, piuttosto originale; il rapporto fra madre e figlio indagato come un rapporto d'affetto obbligato e quasi involontario nonostante l'odio che continuamente si stimolano a vicenda. Purtroppo la sceneggiatura è di Dolan stesso che, pur avendo anche qui grandi capacità, ha il difetto dell'età e si trastulla nell'autoindulgenza, in un personaggio materno con scatti di follia immotivati e con dettaglio d'inconsistente banalità (terribile il rapporto madre-figlio del compagno del protagonsita, un luogo comune di un rapporto aperto e felice, programmatico ed eccessivo, sempre, quasi farsesco).
C’è qualche sprazzo di rapporto a due adulto fra la madre e il figlio, ma per la magigor parte del tempo è solo uno sfogo adolescenziale costantemente dalla aprte del figlio.

In ogni caso un film enorme, da vedere e che da il là a una filmografia che, adesso, intendo recuperare.

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