venerdì 30 settembre 2016

La storia della principessa splendente - Isao Takahata (2013)

(Kaguyahime no monogatari)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un anziano tagliatore di bambù trova una minuscola bambina dentro a un tronco, la porta a casa e la alleva come fosse sua figlia, ma la bambina cresce molto rapidamente. Intanto il tagliatore di bambù trova, in altri tronchi, dei vestiti da nobile e dell'oro; capisce che la bambina deve essere una principessa e decide che con quell'oro comprerà un palazzo nella capitale e cercherà di organizzare per lei il miglior matrimonio possibile. La ragazza sir ivelerà essere davvero una principessa, ma non finirà come ci si aspetterebbe.

Per quello che dovrebbe essere (uso il condizionale perché l speranza è l'ultima a morire) Takahata prende una favole classica giapponese e ne fa un capolavoro. Credo sia un cliché abusato che il film di chiusura di una carriera sia il migliore, eppure per quanto mi riguarda questo film può competere solo con "Una tomba per le lucciole" (che credo siamo tutti d'accordo nel considerare un capolavoro).

Chiunque ne abbia visto anche solo qualche immagine sa già che l'estetica è stata già la scelta più radicale possibile. Abbandonato il tratto sicuro, ormai classico, degli anime; per questa storia, leggera e dolce, viene utilizzato un disegno che si avvicina all'acquerello, colori delicati, tratto spesso incerto, uso espressivo dei fondali (nella prima parte estremamente ben disegnati e ricchi di dettagli che diviene pura rappresentazione dell'emotività della protagonista e del dinamismo della scena nella sequenza della fuga dal castello); una scelta enorme, inizialmente destabilizzante, che però rende perfettamente il mood del film con ogni singola inquadratura.
La trama è piuttosto usurata e la struttura diluita per allungare la storia, ma il sentimento di positiva accettazione della vita riesce a rimanere nonostante il finale agrodolce. Finale che viene realizzato (come spesso nei film dello Studio Ghibli) senza la presenza di un antagonista vero e proprio, senza un villain, ma quasi per caso, quasi per scelta, perché la vita, in fondo, non ha un antagonista.

Non ostante il peso della narrazione lenta nel mezzo e nonostant eil finale, per me la parte che più si fa ricordare (e che risulta assolutamente migliore) sono i primi 30 minuti circa.
Anzi i primi 30 minuti sono una delle vette del cinema in generale; nessuno (tranne Miyazaki) è mai riuscito (a mia memoria) a fare così tanto con così poco: sentimenti, cinematograficamente, molto scontati trasmessi con una semplicità e una delicatezza inesprimibili, l'amore dei genitori per la figlia, l'infantile gioia di vivere della protagonista, il passare delle stagione, il rapporto con una natura (costantemente sottolineata in tutta la prima parte) che novità continua; tutto ciò riesce a essere trasmesso senza bisogno di dialoghi importanti e con una freschezza ancora invidiabili.
Credo sia un cliché ancora più abusato l'idea che un ottantenne possa essere "il più giovane de nostri registi".

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