lunedì 29 gennaio 2018

La ruota delle meraviglie - Woody Allen (2017)

(Wonder wheel)

Visto al cinema.

Una donna con figlio a carico che vive con un uomo presso la ruota panoramica di Coney Island ha il bagnino della spiaggia come amante, sexy e intellettuale. L'equilibrio fatto di una vita insipida e aspirazioni elevate concretizzate nel tradimento viene sbilanciato dall'arrivo della figlia di primo letto del marito, una ragazza giovane di cui si innamorerà l'amante della donna.

Questo nuovo film di Allen è un'ennesima variazione sul tema delle tragedia greche, un misto di fato avverso e di hybris punita dal passo pesantissimo e dalla chiusura totalizzante e senza speranza. In poche parole, siamo davanti all'Allen migliore.
Anche in questo caso l'intera vicenda si poggia anche sull'arte come elemento presente (e pervasivo) di alcuni personaggi divenendo fin dalla primissima sequenza (uno dei co-protagonisti che parla direttamente in macchina come in un dramma di Shakespeare) il metro di misura dell'intera messa in scena.
L'arte in questo caso è quella del teatro (scrittura, racconto e recitazione) e dal teatro è preso il melodramma e l'allegoria (dichiarate nella scena d'apertura), nonché la costruzione soffocante del primo showdown fra le due donne (con marito) nella casa della coppia e delle due chiusure fra la donna e i due uomini sempre nella stessa casa; una tripletta di sequenze realizzato con unità di tempo luogo e piano sequenza che rappresentano il punto più basso (la prima scena) e il più alto (le ultime due) dell'intero film. Curiosamente, la prima delle scene sembra essere vistosamente zoppicante dal punto di vista della sceneggiatura (reazioni esagerate, passaggi logici claudicanti o del tutto assenti, lunghezza esagerata) che affossa anche gli attori migliori. Le ultime due invece sono una delle porzioni più appaganti del cinema contemporaneo, con una cura della fotografia (ne dirò) e della regia incredibile (dei piani sequenza soffocanti e isterici insieme) che servono solo a dare più enfasi agli attori anziché distrarre da loro permettendo alla Winslet una delle sue performance da ricordare. (non vorrei esagerare in dietrologia, ma l'abisso fra l'inizio e la fine è talmente grande da farmi sospettare che fosse voluto).

Menzione a parte per la fotografia (Storaro) che sfruttando le luci della ruota panoramica si arroga il diritto di utilizzare colori assurdi, di abbinarli alle attrici (colori caldi per la Winslet, freddi per la Temple) e di utilizzarli quando la scena parla dell'una o dell'altra (o l'assenza di saturazione per la vita normale) in un parossismo cromatico (che va di pari passo con quello emotivo) che sembra la versione in technicolor dell'espressionismo tedesco.

In poche parole siamo davanti a uno dei migliori Allen possibili.

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