venerdì 24 agosto 2018

Hereditary: le radici del male - Ari Aster (2018)

(Id.)

Viato al cinema.

Alla sua prima prova sul lungometraggio Ari Aster non delude, anzi, continua il discorso iniziato nei suoi cortometraggi, lo amplifica e lo arricchisce.
Parte dalla solita idea della famiglia disfunzionale, la ammanta di un clima da tragedia greca incombente e (dalla metà in poi) scatena un horror devastante.
Si può paragonare a "Kill list" per l'incedere lento che accelera con il passare dei minuti (e per il finale "di accettazione"), si può paragonare a "The Babadook" per l'orrore che si infiltra in una famiglia spezzata che cerca di scendere a patti con il lutto, si può paragonare a "Rosmery's baby" per l'intero clima cospirativo e satanista (e per un certo interesse più sul dramma che sull'horror).
Ci sta tutto, di fatto però il film si muove più dalle parte di un Haneke (se vogliamo modernizzarci, dalle parti di un Lathimos), dove i propri personaggi vengono bistrattati senza un minimo di compassione e con un'insistenza quasi psicotica. L'intera prima parte è, di fatto, un piccolo dramma famigliare dove tutti sembrano voler sbranare tutti, dove tutti soffrono senza particolare possibilità di uscire dal loop e, soprattutto, dove il destino imperversa senza pietà. Ma, sempre in questa prima, magnifica, parte Aster si avvicina ai livelli di Cronenberg, crea un clima gloomy dove l'ansia è costante per un dramma che si respira chiaramente anche quando non succede nulla, dove un nonnulla (un'allergia, un hobby, un'espressione) hanno impatti devastante sui personaggi e sul pubblico.

Nella seconda parte invece, il film parte per la fase schiettamente horror. Il sovrannaturale entra all'improvviso e si espande gradualmente, ma quello che più conta saranno le reazioni dei personaggi. Il primo incontro con lo spirito del bambino la co-protagonista avrà una delle reazioni più credibili di sempre, il sovrannaturale non è un'evento scontato, quando arriva erode tutto. L'orrore non mancherà (decapitazioni, persone in fiamme, cadaveri decomposti), ma sarà sempre filtrato attraverso le reazioni dei personaggi che rimarranno il centro della vicenda (il lungo primissimo piano del figlio dopo la prima decapitazione è splendido).

Affascinante anche l'uso perfetto degli interni (già accennato nel primo cortometraggio di Aster), luoghi normali e austeri, ma immacolati come un diorama e, altrettanto, misteriosamente inquietanti (tutto le scene vengono incastrate in uno sfondo chiuso che è gabbia e cornice). Da ammirare anche l'intricato utilizzo dei personaggi, in un film in cui il protagonista sembra cambiare 2 o 3 volte.
Finale tecnicamente stupendo.

Ovviamente il film ha anche dei difetti e, su tutti, a mio avviso c'è l'incapacità di utilizzare tutte le suggestioni suggerite (i diorami della madre veicolano pochissime informazioni, la figura della nonna è utilizzata meno di quanto avrebbe potuto offrire) e la disonestà di aver realizzato un dramma famigliare sovrannaturale che di horror ha solo un lungo lunghissimo) finale.

Ottimo tutto il cast con la solita Collette che si porta a casa il risultato con facilità, un grandioso Wolff che è la vera scoperta, l'inquietante Shapiro e il Gabriel Byrne più vecchio di sempre (ok, mi ha stupito scoprire che l'anziano marito fosse lui!).

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