(Get out)
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Un ragazzo di colore sta per andare a conoscere la famiglia della nuova fidanzata, bianca. I suoceri non sanno dell'interrazialità e lui ne è preoccupato. Una volta arrivato la situazione sembrerà un poco tesa, ma tutto sommato positiva, finché il weekend in famiglia si trasformerà sempre di più in un incubo dai contorni incomprensibili.
Affascinante thriller appena screziato di horror che gioca in maniera impeccabile con tensione costruendo uno dei migliori climax visto di recente.
L'intero film gira attorno a un twist molto anni '50 che farebbe crollare un film meno solido di questo, ma "Get out" riesce a evitare il ridicolo o l'azzeramento della sospensione dell'incredulità concentrandosi sul mood generale più che sui dettagli (non è il twist a spaventare, ma il come si raggiunge e il come cercano di portarlo avanti), concentrandosi sulla sofferenza del singolo più che sul grottesco che ci sta alla base. Encomiabile inoltre il gioco di indizi disseminati costantemente durante la prima parte utili a creare il perturbamento, ma non sufficienti a far capire cosa succede; una caccia al tesoro che, dopo aver capito cosa succede, impone una seconda visione.
Il grande gioco d'equilibrismo di questo film però non è tra la verosimiglianza e il fantasy anni '50, quanto tra il registo thriller e quello comico. Dietro la macchina da presa, ma ancora più importante, dietro alla sceneggiatura c'è Peele, comico nato nelle fucine di Comedy central con all'attivo un'altra a sceneggiatura per il cinema, una commedia action.
Peele dimostra di sapersi destreggiare nel cinema di genere, ma lo sporca in maniera importante con la commedia, creando una spalla comica a tutti gli effetti (l'amico che lavora nella sicurezza aeroportuale) e incastrando i due registri uno dentro l'altro, amalgamati in maniera perfetta, facendo ridere pur conservando l'inquietudine. Direi che qui ci sono già motivi più che sufficiente per amare questo film.
"Get out" però non verrà ricordato per essere un thriller teso dalla trama un poco fatua o per la dicotomia nel tono. Il film verrà ricordato per l'impegno politico. La questione razziale è centrale, ricordata in più passaggi fin dall'inizio e resa intensa dalla mancanza di ipocrisia che fa parlare apertamente delle differenze fra gruppi sociali divisi dal colore della pelle (differenze che sono parte integrante della trama) e che mette dalla parte dei cattivi degli wasp liberal che "avrebbero votato Obama per un terzo mandato".
In USA dove la questione sociale è enorme il film è stato un successo incredibile (guadagnando troppe nomination agli Oscar rispetto ai suoi meriti effettivi e questo nonostante sia uscito quasi un anno prima, tempistica pessima per pensare di vincere un premio) non privo di polemiche. Per un pubblico italiano, anche se informato, credo che l'effetto sia evidente, ma diminuito; tuttavia quel finale in cui tutto sembra finito, ma arriva la polizia e ti rendi conto che per il ragazzo nero i problemi potrebbero essere solo cominciati la dice lunga sull'efficacia (e la mancanza di fronzoli) di questo film.
PS: meraviglioso Kaluuya, nonostante una faccia che ho odiato dal primo istante, riesce a portarsi sulle spalle una parte estremamente varia per sentimenti messi in evidenza, con credibilità ed efficacia.
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