martedì 31 gennaio 2012

The iron lady - Phyllida Lloyd (2011)

(Id.)

Visto al cinema. Un’anziana Margaret Thatcher, ormai affetta da una demenza che le fa apparire il marito morto da anni, in un paio di giorni (e un paio di notti di delirium) ripercorre la sua vita, politica e personale.

Di fatto non è un vero biopic. La Thatcher è solo un McGuffin per parlare della memoria, dei ricordi filtrati attraverso la demenza e dell’anzianità. Di fatto il film si concentra sulle turbolente notti di una donna ormai vecchia, ne descrive la lotta per sembrare normale, le difficoltà a ricordare il nome della badante e la facilità nel ricordare ciò che successe 60 anni prima; ed è proprio in quest’ottica che si attacca la scusa della biografia. Una donna anziana inciampa in continui ricordi di un passato perduto e da un dettaglio vengono fuori un fiume di fatti, più o meno connessi, più o meno ripetuti, che saltano gli eventi salienti a livello storico per sottolineare ciò che è stato realmente importante per chi li ha vissuti. Le Falkland sono ridotte alle scelte difficili che ha dovuto fare, la sua carriera politica ricorda qualche evento nazionale e molti scontri emotivi, la questione irlandese è accennata e Bobby Sands non è neppure nominato; perché il punto di vista è un altro, non è la storia, ma il racconto disordinato di una vita, fatto da chi quella vita l’ha vissuta e ora comincia a perderne dei pezzi a causa della malattia. In quest’ottica questo è un grande film.

A livello puramente agiografico poi, il film omette parecchio, e ciò che mostra lo fa vedere solo superficialmente; ma di fatto non prende posizione. Come nel migliore dei film il protagonista non è né buono né cattivo e la storia non ne sottolinea solo i pregi o i difetti. La trama però mostra una persona estremamente determinata, che proprio in virtù della sua testardaggine riesce a raggiungere i propri obbiettivi, per poi essere schiacciata da se stessa (e già una parabola del genere mi conquista). Inoltre c’è pura un sottotesto sulla carriera politica della Thatcher, in cui ogni sua scelta sembra poi avere una conclusione (felice o pessima che sia) solo in virtù del caso; dalla guerra al boom economico, tutto sembra succedere per botte di culo (o di sfiga) e che la Thatcher, in definitiva, abbia solo giovato del momento storico, in cui si inserisce perfettamente la sua personalità decisa.

Infine il film complessivo presenta diverse idee vincenti, dai colori dell’abito che cambiano con l’acuirsi dell’acredine della protagonista; alle incursioni della Thatcher anziana all’interno dei proprio ricordi; alle discussioni, dolci e divertenti insieme, con l’allucinazione del marito morto. Ma molte sono anche le occasioni sprecate, dalle lunghe sequenze biografiche che avrebbero potuto essere molto più mischiate con l’idea principale del racconto dell’anziana malata; al continuo concentrarsi sui dettagli della regia, che però durano troppo poco per poter essere notati; alla ripetitività e alla pretestuosità di molte scene.

Complessivamente non è un capolavoro, ma una intelligente via di mezzo tra un biopic canonico e “I’m not there”. Ci si astenga dal vederlo se quello che si vuole è conoscere la vita di Margaret Thatcher.

PS: veramente inutile dire quanto è brava Meryl Streep.

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