mercoledì 4 marzo 2015

Birdman - Alejandro González Iñárritu (2014)

(Birdman: or the unexpected virtue of ignorance)

Visto al cinema.

Un ex divo hollywodiano ormai in declino (famoso per aver interpretato un eroe a inizio anni '90) cerca il rilancio con una piéce teatrale sceneggiata, prodotta, diretta e interpretata da lui. Per farlo si avvarrà di un divo teatrale di difficile gestione e attorno a lui si muoveranno attori, avvocato, famiglia. Ah già, questo attore pare riuscire a muovere oggetti con la telecinesi e sente parlare Birdman, il personaggio da lui interpretato, nella sua testa.

Un film su un personaggio ossessionata dalla realizzazione di uno spettacolo artistico, con guizzi surreali, rapporti familiari difficoltosi e rapporti lavorativi spesso al limite... si insomma siamo davanti a un "Black swan" in versione commedia.

Film densissimo, che parte da un uomo per parlare di riscatto, di invidia, di confusione, di valore personale e per farlo costruisce un personaggio ossessivo che si muove in un mondo dove la sua fantasia (lasciata correre in privato) ha un valore catartico enorme.
Quello che colpisce è che la profondità di un film del genere è accompagnata da una messa in scena ritmatissima.
A partire dalla musica, quasi interamente rappresentata da un assolo di batteria che intensifica l'effetto ansiogeno di molte scene, questo è un film che corre per tutto il tempo; dove i personaggi si muovono continuamente nello spazio e dove i rapporti fra di loro sono in continuo mutamento. Dietro la macchina da presa Iñárritu fa la scelta radicale più azzeccata per dare questo senso di claustrofobia itinerante: sceglie di realizzare quasi un unico piano sequenza per tutto il film (ok, stiamo calmi, è un piano sequenza falso realizzato con il computer); l'effetto è grandioso e riesce a far risaltare ulteriormente quando nel finale si susseguiranno una serie di stacchi rapidi su scene oniriche.
Il film viene inoltre costellato di riferimenti continui, personaggi marginalissimi che interagiscono con i protagonisti, piccoli e costanti inserti surreali (la batteria che compare anche dentro al teatro) e dettagli rilevanti lasciti nella nebbia (il protagonista ha il potere della telecinesi o è solo immaginazione?).
A livello tecnico inoltre il piano sequenza non concede nulla all'improvvisazione, nel film oltre al sonoro anche le luci hanno una parte fondamentale, nascondono o mostrano, rendono il senso del tempo che passa (il piano sequenza viene usato anche per coprire lunghi salti temporali), ma soprattutto costruiscono quadri intensissimi (si pensi all'ultima scena in teatro interamente virata in blu con gli unici dettagli rossi delle due lampade sui comodini).
Il comparto artistico si completa con un cast impeccabile dove a risaltare non è soltanto un Keaton mai così impeccabile (anche visto che la sua biografia fa il paio con quella del suo personaggio) o un Norton così scatenato, ma sono la presenza di un Galfianakis che per la prima volta fuori da un film comico riesce a rendere un personaggio serio in maniera perfetta senza mai strafare e di una Stone incredibilmente credibile (tutti gli attori sono comunque condotti da dio, spiace solo per una Watts ormai in ruoli marginali).

Un film inusuale ma perfettamente realizzato.

2 commenti:

Babol ha detto...

Un film secondo me bellissimo, una gioia per gli occhi che ha meritato tutti i premi che gli sono stati conferiti. Peccato per il mancato Oscar a Keaton, mai così bravo.

Lakehurst ha detto...

un oscar al miglior film atipico, ma sulla regia era ovvio che dovesse vincere Inarritu. Su Keaton, beh si è scontrato con un biopic e quelli di solito vincono sempre come miglior attore (figurarsi poi nell'interpretare anche una malattia