(Inside Llewyn Davis)
Visto in Dvx.
Un musicista folk in un inverno degli anni '60 a New York, tra la mancanza cronica di soldi, fantasmi del passato, tentativi di essere apprezzato alternato a una saltuaria voglia di sfondare...
ma tutto sommato la trama non conta molto in questa ennesima opera d'arte dei Coen. Ancora una volta quella che viene messa in scena è la vita, mossa dal caso, senza alcun disegno premeditato e una dose di ironia che diviene spesso grottesca nel suo piccolo (alla fine a divertire sono le sfighe di un perdente). Non c'è destino e non ci sono capacità che tengano, tutto quello che c'è è solo il caos che regna in un ciclo che continua a ripetersi all'infinito (con una struttura circolare del film che non si vedeva da molto e che aiuta a non risolvere nulla); una struttura che crea personaggi così disperati e passivi che fa impallidire il cinico disincanto dei noir classici (da cui tutto parte).
A fronte di una struttura che esalta il leit motiv dei Coen si ha la solita regia (e fotografia) eccezionale. Le inquadrature sono sempre composte in maniera impeccabile e, nelle lunghe scene cantate, pur sembrando canoniche i punti di vista riescono a rendere un'intero mood (basti la prima intensissima canzone). La fotografia è tra le più patinate di sempre (così come i vestiti impeccabili, capelli e barbe appena acconciate, trucchi senza sbavature ecc...) e da vita a un film che vuole mostrare la perfezione e la gloria della sfiga che racconta; una sorta di film per esaltare il mito del caos come Ford esaltava il mito della frontiera americana.
A questo si aggiunga una colonna sonora utilizzata in maniera empatica con i personaggi e si otterrà un film strepitoso.
2 commenti:
Tra tutti i film dei Coen forse questo è quello che ho apprezzato meno, anche perché ero poco interessata all'argomento...
Secondo me è una summa, meno trama (come già per A serious man) e molto cinema, più rarefatto e quindi (forse) meno godibile).
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