lunedì 4 giugno 2018

Il prigioniero coreano - Kim Ki Duk (2018)

(Geomul)

Visto al cinema.

Un pescatore nordcoreano viene trascinato dalla corrente nelle acque sudcoreane. Verrà arrestato e tenuto in stato di prigionia come spia; davanti a sé solo due opzioni, ammettere di essere una spia ed essere condannato o firmare un documento in cui chiede asilo politico e ammette la propria diserzione volontaria dalla Corea del Nord; in entrambi i casi la sua famiglia (rimasta al nord) subirà gravi conseguenze. Grazie all'aiuto della sua guardia del corpo e di pubblicità dai media la situazione si sbloccherà e verrà rimandato a nord, ma anche la subirà le stesse vessazioni.

Io e Kim Ki Duk ci siamo voluti molto bene una 15ina di anni fa, poi è successo qualcosa nel nostro rapporto (per colpa sua) e ormai non ci frequentavamo da qualche ann, tornare a vedersi, per di più al cinema (cosa che non ci succedeva dai tempi de "La samaritana") è stato un passo importante, ma non si può negare che il tutto sia partito con molti pregiudizi.

Cosa ne è venuto fuori da questo nuovo incontro. Ne è venuto fuori un film diverso dal Kim Ki Duk che ricordavo, ma con molti difetti.
Diverso perché il film ha una trama quasi scontata rispetto alla dolorosa surrealtà a cui si era abituati; qui la trama è concreta, dall'incedere kafkiano, ma assolutamente credibiel; simbolica in maniera esplicita, ma meno prepotentemente allegorica dei precedenti, ma soprattutto, senza poesia (anzi senza la pretesa di poesia a tutti costi che era diventata la vera palla al piede del regista, più interessato a farsi dire bravo dagli amichetti del circolo letterario che non a realizzare film concreti).
Il problema è tutto nella sceneggiatura, il plot di base è buono e gestito con uan quantità di dialoghi che (probabilmente) superaro tutte le parole dette nei film precedenti, am gestite malissimo.
I personaggi sono costruiti con l'accetta e il cattivo è  cattivissimo fino alla follia, blandamente demonizzato dagli altri personaggi di contorno (su tutti il direttore, un automa equilibrato dai cambi d'idea repentini) e una gestione dei fatti assurda (in uno dei film più verosimili del regista), con dei picchi di pietas da far venire il diabete. I racconti di spie coreani hanno il vantaggio di parlare di persone da entrambe le parti (in Europa, le spie stanno a Berlino e sono gli alleti contro i nazisti o l'occidente contro i sovietici, in entrambi i casi sono i buoni contro figura disumanizzate, in Corea non potrebbe esistere Harry Lime), ma sprecare il tutto per aumentare la  melassa e non per dare  un significato più profondo alla vicenda è del tutto inutile.

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