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Visto al Festival di Cinema Africano (in concorso); in lingua originale sottotitolato.
Marocco. Una psichiatra è richiamata ad occuparsi di una ragazza trovata in stato confusionale di notte, con segni di collutazione. Deve capire chi è e che cosa è successo. La situazione che ne viene fuori è quella di una ragazza nata in una famiglia "complicata", con il padre che tenta di far credere a tutti che lei sia un maschio per nona vere il disonore di essere un capo tribù senza discendenti e ne ostacola l'amore nei confronti di un coetaneo e... beh farà di peggio... Ma questa che sembra essere una conclusione non è che l'inizio di un film che, del twisted plot finale, ne fa l'epicentro della vicenda.
Si c'è un colpone di scena finale che costringerà a riconsiderare quanto visto fino a quel momento.
L'idea in se non è esattamente originale (credo che nell'ultimo decennio sia stata usata a annualmente in almeno 2 o 3 pellicole), ma in realtà la tratta bene; dissemina indizi fin dalle prime scene, lambisce l'argomento in più di un momento quel tanto per tenere desta l'attenzione, ma senza mai lasciare intedere troppo... No perchè il colpo di scena è iper abusato, ma io mica c'ero arrivato prima che lo dicessero apertamente.
Pure la messa in scena merita un encomio, fotografia di prim'ordine, gelida per le scene in città e caldissima per quelle ambientate nel deserto; tutto girato in interni o quasi (e pure gli esterni non danno sfogo alle scene che risultano comuqneu claustrofobiche) con una conoscienza e una comprensione di quello che si fa invidiabile.
Tutto questo unito al fatto che viene ricostruito un ambiente ambiguo e straniante fin da subito, una sorta di città fantasma dove a muoversi sono solo gli ambigui protagonisti della vicenda; tutto questo dicevo dovrebbe far propendere per considerarlo un grand e film...
Purtroppo il regista sembra essersi preoccupato troppo della forma per ricordarsi del ritmo ed il film soffre di una lentezza eccessiva che in più punti sfocia nel tentativo di addormentare il pubblico... Peccato.
Il film è stato preceduto dal corto "Tinye so" film del malinese Daouda Coulibaly che parla in maniera tutta sua dell'ultimo avvertimento degli antenati (gli spiriti degli antenati che proteggono i viventi) ad una città del Mali per convincere la popolazione tornare al passato...
Il film è tutto improntato su colori pienissimi e guidato da una macchina da presa che per essere più mobile doveva solo essere allacciata dulla schiena di un canguro (fa davvero di tutto e sempre con competenza); esteticamente bello sotto ogni punto di vista, come spesso succede latita in comprensione...
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