giovedì 17 novembre 2011

Tamantashar yom - Registi vari (2011)

(Id.) aka "18 days".

Visto al Festival di Cinema Africano (in concorso); in lingua originale sottotitolato.




Film collettivo, a episodi, che racconta la rivolta di piazza Tahrir e la caduta di Mubarak. Il film raccoglie un po il meglio della manovalanza cinematografica egiziana tra cui gli unici due registi che conosco. Complessivamente il risultato è ottimo.
Solitamente in un film ad episodi il risultato è buono, nella migliore delle ipotesi, facendo al media fra le varie parti; in questo caso invece la qualità di realizzazione del film è mediamente eccezionale e a stabilire la superiorità di un episodio dagli altri è unicamente la trama.
Anche dal punto di vista delle storie raccontate è curioso come tutti i registi abbiano preferito parlare indirettamente di quanto è accaduto; solitamente i personaggi vivono ciò che avviene nella piazza dalla propria abitazione o dal negozio (o dal manicomio) e nessuno, se non la ragazza del secondo episodio è coinvolto direttamente fin dall’inizio. Una scelta curiosa che si fa estrema nel fantastico pezzo realizzato da Abdalla.
Altro fatto curioso, ma lodevole, pur essendo un film decisamente schierato contro Mubarak e quindi favorevole alla rivolta, non prende mai una posizione netta, mostrando in quasi tutti gli episodi i lati positivi di chi difendeva il presidente ed i lati negativi, le paura o le piccole vigliaccherie di chi protestava. Incredibilmente super partes nel dare torti e ragioni pur essendo schierato e pur essendo a pochissima distanza dai fatti raccontati.
Nel dettaglio:

RETENTION: di Sherif Arafa. Divertente descrizione della rivolta filtrata attraverso un gruppo di ospiti di un manicomio nei pressi di piazza Tahrir; ovviamente i personaggi sono un campione dell’intero popolo egiziano e si dividono in favorevoli a ciò che accade (per le più disparate ragioni) e contrari. Divertente, realizzato benissimo (soprattutto la presentazione dei personaggi), ma sostanzialmente inconcludente.

GOD’S CREATION: di Kamla Abu Zekry. Uno dei più tragici, una ragazza ortodossa mussulmana che si tinge i capelli, ma rimane comuqnue schiacciata dal senso di colpa per averlo fatto (Allah non vuole che si cambi il proprio aspetto) e che rimane coinvolta per sbaglio nella guerriglia in piazza Tahrir e mentre viene picchiata dai poliziotti si chiede se quello è un martirio ed in quel caso, se potrà andare in paradiso o se i capelli tinti la porteranno comunque all’inferno. Bello, uno dei più drammatici.

19-19: di Marwan Hamed. Un ragazzo si trova in una prigione del regime, è accusato di essere uno dei promotori della rivolta e torturato per avere informazioni che non sembra avere. Anche in questo caso, come nel primo episodio, la bella realizzazione non sopperisce alla mancanza di una conclusione vera e prorpio, o meglio, non sopperisce alla mancanza di un obbiettivo.

WEHN THE FLOOD HITS YOU…: di Mohamed Aly. L’unica vera e propria commedia del film; un gruppo di persone ragionano su come si possa sfruttare economicamente la situazione, vendendo bandiere ai rivoltosi o immagini del presidente ai difensori del regime; tutto indipendentemente dalle proprio opinioni politiche. Decisamente positivo il risultato che alleggerisce un po il clima generale.

CURFEW: di Sherif Bendary. Nonno e nipote di ritorno dall’ospedale sono bloccati fuori dal loro quartiere dal coprifuoco indetto dalla polizia, vagheranno tutta la notte in cerca di una via di accesso fino a desistere e dormire in macchina. Finale francamente immotivato (il bambino sul carro armato), ma l’episodio è simpatico e riesce bene.

REVOLUTION COOKIES: di Khaled Marei. Un sarto ha il negozio nei pressi di piazza Tahrir è appena uscita dall’ospedale dopo un coma diabetico, non sa nulla della rivolta scoppiata due giorni prima, andato al lavoro sarà vittima involontaria dei lacrimogeni della polizia e si barricherà nel proprio negozietto, con poche medicine, qualche biscotto e delle cassette su cui registrerà le sue impressioni su quanto sta accadendo (lui ipotizza una guerra contro l’Egitto). Deciderà di uscire poco prima della fine di tutto, ma verrà scambiato per un poliziotto… Amaro e in certa misura prevedibile, ma l’idea è buona e, anche se non sfruttata a dovere, rende piuttosto bene.

#TAHRIR 2/2: di Mariam Abou Ouf. Un uomo senza molti mezzi e con famiglia a carico viene ingaggiato da un amico per fare il figurante in una manifestazione in favore di Mubarak, rimarrà coinvolto negli scontri. Ben realizzato, anche se meno dei primi, non aggiunge nulla di nuovo, ma sottolinea ancora una volta come non sia importante la partecipazione diretta a ciò che è successo, ma conta il rapporto indiretto con le manifestazioni, gli affetti e le emozioni legate a quegli scontri e la tv (diciamo le immagini) come mezzo di informazioni di ciò che accadeva a poca distanza.

WINDOW: di Ahmad Abdalla. Decisamente il più originale fra tutti gli episodi è diretto dal regista del bello, ma inutile, “Heliopolis”. La rivolta è raccontata attraverso la vita di un ragazzo che vede ciò che accade attraverso i movimenti della vicina di casa (attivista di piazza), le immagini di youtube e gli aggiornamenti di messenger, oltre che attraverso qualche titolo dei giornali. La rivolta è vista attraverso gli occhi del computer (o attraverso la cecità del computer nei giorni in cui internet fu oscurato), senza nessun dialogo. Originale, perfetto e decisamente la miglior descrizione di ciò che è stato quel periodo.

INTERIOR/EXTERIOR: di Yousry Nasrallah. Una ragazza vuole partecipare alle rivolte di piazza, ma il marito non glielo permette…Quando lei fuggirà, lui la seguirà e si uniranno alla folla… probabilmente il più inutile fra tutti gli episodi, qui i motivi di interesse sono praticamente nulli, peccato perché dietro la macchina da presa c’è il regista dello stupendo “Sheherazade”.

ASHRAI SEBERTO: di Ahmed Alaa. Un giovane barbiere ha il proprio negozio proprio a due passi dagli scontri tra manifestanti e polizia, suo malgrado diventerà il rifugio dei feriti e lui stesso sarà costretto a curare e cucire. Ultimo episodio della serie, decisamente buono, anche se inferiore a molti altri, credo sia stato messo qui per il messaggio positivo e di incoraggiamento che lancia.

Il film è stato preceduto dal corto “La priere” di Hyacinthe Nyong’o. È uno sketch di 3 minuti (il film credo fosse l’esame finale del regista), in cui ad un sontuoso pranzo d’affari in Cameroon, uno degli ospiti innalza una preghiera in lingua bamileke affinchè possa spiegare all’amico come utilizzare le posate in maniera corretta, senza che gli altri lo capiscano.

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