lunedì 22 novembre 2010

Un homme qui crie - Mahamat-Saleh Haroun (2010)

(Id.)

Visto al Festival di Cinema Africano (in concorso); in lingua originale sottotitolato.

Questo è il film vincitore del 30esimo Festival Africano, presentato di nuovo in chiusura per chi, come me, non era riuscito a vederlo.
Un ex campione di nuoto del Ciad, ormai anziano, lavora come bagnino in una piscina per ricconi assieme al figlio. A causa di tagli al personale gli viene preferito il figlio e lui diventa portiere della struttura… nulla di brutto se non fosse che la piscina era il suo ultimo sogno, il suo ultimo contatto con il suo passato da campione, il suo orgoglio e, forse, il suo unico motivo di gioia… poi il Ciad scivola sempre di più verso la guerra civile e lo stato richiede un pagamento per la guerra… il padre avverte l’esercito che il suo ventenne figliolo dovrebbe andare a combattere, e l’affamato esercito non se lo farà ripetere due volte. Presto arriveranno i sensi di colpa; assieme alla fidanzata gravida del figlio; e ci sarà un ultimo, strenuo tentativo di riparare al danno fatto.
Film esteticamente pulito e lindo e di qualità superiore (ma ha preso finanziamenti dalla UE, dalla Francia e dal Belgio, quindi…); con una regia precisa che sa quello che fa e cosa vuol fare, ma soprattutto ha tutti i mezzi per farlo e qualche velleità autoriale (come il lento ed inesorabile zoom sul volto impassibile del padre mentre macina la terribile decisione)… peccato che il suo obbiettivo sia bissare Antonioni
Lunghi silenzi, tante domande lasciate senza risposta (una cosa molto sgarbata, almeno quando chiedono “come stai?” potrebbero rispondere), molte inquadrature fisse (anche se casomai inutili) e prolungate. Per carità il paragone con Antonioni è eccessivo, ma la noia c’è, e una storia di rivalsa originale come questa, ed una regia asciutta e pulita come questa vengono svilite e ammorbate. Peccato.

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