(Valhalla rising)
Visto in Dvx in lingua originale sottotitolato in inglese.
Un vichingo imbattibile nella lotta, ma dal passato misterioso e dal mutismo totale, chiamato one eye, si libera dalla schiavitù di un gruppo di connazionali, fugge portando con se un ragazzetto, unico sopravvissuto dal suo massacro, e incontra un gruppo di convertiti al cristianesimo che vogliono andare in terra santa. Si unisce a loro, ma per colpa della nebbia e della bonaccia la navigazione diventa impossibile e vengono trascinati dalle correnti fino in America dove lentamente verranno portati alla follia e alla morte, fra presagi e visioni varie.
Refn è sempre stato un regista che mette la città al primo posto nelle inquadrature, descrive la location prima ancora dei personaggi, quindi trovarlo a descrivere un medioevo senza neppure un villaggio è cosa strana. Ma ovviamente se la cava egregiamente. Più che un regista di città direi, a questo punto, che Refn è un regista di ambienti. La descrizione del paesaggio è perfetta, la natura ha la parte del leone e tutto viene declinato con i colori del fango e della nebbia che pervadono il film in maniera insistita, con solo qualche squarcio del rosso intenso che il regista si porta dietro dai tempi di Fear X. I paesaggi non entusiasmanti riescono ad avere una forza che in mano chiunque altro non avrebbero potuto neppure sperare. E nel complesso candido questo film come il più umido della storia del cinema, forse anche più di Lezioni di piano.
Detto ciò bisogna però ammettere che non è un buon film. La spiritualità e la metafisica che pervadono l’opera sono l’unico collante fra le varie parti senza che ci sia una vera e propria correlazione; i personaggi e la storia si muovono in maniera caotica, utili solo a dare la possibilità a Refn di dilatare i silenzi in lunghe sequenze ridondanti, belle, ma inutili.
Esteticamente notevole, ma mortalmente noioso, è forse il primo, vero, passo falso del regista danese.
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