sabato 9 aprile 2011

Un giorno di ordinaria follia - Joel Schumacher (1993)

(Falling down)

Visto in DVD. Un uomo, vessato da una società spietata verso i derelitti e separato (legalmente dalla moglie, e fisicamente dalla figlia) arriva al punto di ebollizione, decide che non gliene frega niente di nessuno, gli interessa solo rivedere la figlia… peccato che lungo la strada incontri diverse persone poco cortesi, che scopriranno, a loro spese, che chi semina vento raccoglie tempesta… Si insomma Douglas ne ammazza più che può.

Per prima cosa questo è forse l’ultimo film in cui recita Michael Douglas… non perché sia morto i ritirato, ma semplicemente perché dopo ha smesso di recitare. Qui fa la parte del protagonista, un white collar allo stremo delle forze, incazzato e accaldato; e riesci a dargli tutta la credibilità, la rabbia e i sentimenti che il personaggio richiede nonostante una ridicola pettinatura anni ’90. Bravissimo Douglas.

Ovviamente anche il resto del cast regge, e Duvall è uno splendido contraltare di Douglas, misurato, gentile, accomodante in ogni scena, anche le più dinamiche, rende perfettamente tutta una psicologia con un solo sorriso di circostanza.

La regia è adattissima alla situazione, gioca con i piani sequenza e con il montaggio (su tutto si veda l’incipit assolutamente perfetto), lavora di fotografia, riuscendo a rendere un ambiente claustrofobico nonostante mostri un’intera città; trasforma il viaggio di un uomo attraverso Los Angeles in una traversata oceanica, senza mai stancare o indebolire la storia.

Infine il pezzo forte del film; la sceneggiatura. In primo luogo è un film in cui il protagonista è tecnicamente il cattivo (bravi). Poi bisogna anche ammettere che a conti fatti li nessuno è cattivo, ne il protagonista ne l’antagonista, pertanto ci si trova davanti ad un duello finale ancora più spietato, perché chiunque perda non merita la sconfitta (bravi). Eh già, perché il film parla proprio di sconfitti; di perdenti cronici che, ognuno a modo loro, si ribella alla propria situazione, chi in maniera aggraziata (Duvall, ma proprio per reazione a Douglas), chi invece in maniera scomposta e confusa (Douglas appunto), poi per lo più i perdenti tornano a perdere perché la società non permette di alzare la testa… ma qualcuno ce la fa lo stesso.

Un film di critica sociale come pochi, che si prende il gusto del politicamente scorretto (Douglas uccide/spaventa, all’inizio solo immigrati, sfottendoli per il loro stato, eppure lo fa sempre per un motivo; poi è vero che fa fuori il nazi, un po per ripulire il film dal razzismo, ma un po per chiarire la psicologia del personaggio, e solo alla fine se la prende con lo status quo), ma che risulta impeccabile a livello formale (il film è un perfetto trattato di sceneggiatura classica, a tratti dichiarato, come quando Douglas dice “sono arrivato al punto di non ritorno”) e che si prende la briga di suggerire tutto allo spettatore fin dall’inizio, ma con un tale garbo e un tale rispetto da far impallidire i gialli del genere; tutti gli elementi vengono mostrati e tornano di continuo (il coltello a farfalla, la pistola ad acqua, ecc…) senza mai bisogno di dichiarare quello che sta succedendo; si insomma tutto viene mostrato e nulla viene urlato in faccia. Una sceneggiatura da manuale.

Giusto il finale (con happy ending) può lasciare l’amaro in bocca, ma a conti fatti, non è una vittoria e una qualunque conclusione sarebbe risultata una sconfitta allo stesso modo, quindi la sceneggiatura si prende la briga di far finire il film nel modo più scontato per prendersi il lusso della scena finale con il riscatto di Duvall.

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